Il modernismo cattolico – Parte quinta

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Una serie sul modernismo cattolico in sei puntate. Le prime quattro parti sono la riproposta di uno studio pubblicato nel mese di luglio 2005 sul sito Moses [QUI]. Poi, questa parte quinta contiene il testo di Corrado Gnerre Ciò che accadde a Sant’Atanasio: un insegnamento per i nostri tempi dal sito Ricognizioni.it del 3 maggio 2016 e la catechesi di Papa Benedetto XVI Sant’Atanasio di Alessandria durante l’Udienza Generale di mercoledì, 20 giugno 2007. Infine, la serie si conclude con la parte sesta, dedicata ad un breve “manifesto” pubblicato sulla pagina Facebook Traditionis Custodes – Bollettino del monastero benedettino antimodernista, un monastero di stretta osservanza, di rito romano antico e antimodernista.

Prosegue dalla parte quarta [QUI].

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Ciò che accadde a Sant’Atanasio: un insegnamento per i nostri tempi
di Corrado Gnerre
Ricognizioni, 3 maggio 2016

C’è una storia di un grande e famoso santo che però non viene solitamente ricordata nella sua completezza. Si tratta della storia di Sant’Atanasio (295-373), colui che difese il mistero dell’Incarnazione dalle minacce dell’Arianesimo, l’eresia che negava la divinità di Cristo. Ma è proprio ciò che solitamente non si ricorda che rende questo santo molto attuale.

L’epoca in cui visse Sant’Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della dottrina autentica. Siamo intorno al 360. In quel periodo (così come oggi) la verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di San Girolamo che descriveva quei tempi: “E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano”. In tale contesto, Sant’Atanasio non si piegò.

Egli era un giovane Vescovo di Alessandria d’Egitto. Rimase talmente solo a difendere la purezza della dottrina che per quasi mezzo secolo la sopravvivenza della fede autentica in Gesù Cristo si trasformò in una diatriba tra chi era per e chi non per Atanasio.

Qualche cenno biografico

Egli nacque ad Alessandria nel 295. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro, il Vescovo di Alessandria. Concilio famoso quello di Nicea perché fu lì che venne solennemente proclamata la fede nella divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. È lì che fu stabilita la definizione per intendere l’uguaglianza del Figlio con il Padre: homoosius, che vuol dire “della stessa sostanza”. Attenzione a questa definizione (homoosius) perché questa sarà la sostanza del contendere.

Torniamo alla vita di Sant’Atanasio. Il 17 aprile del 328 morì il Vescovo Alessandro e il popolo di Alessandria d’Egitto chiese a gran voce Atanasio come vescovo. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono 46 anni durissimi, 46 anni di lotta contro l’eresia ariana e contro gli Ariani. Questi ovviamente rifiutavano proprio ciò che il Concilio di Nicea aveva detto di Gesù, il termine homoosius, che – come ho già ricordato – vuol dire: della stessa sostanza del Padre.

Il comportamento degli Ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a Sant’Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant’Ilario di Poiters (315-367) racconta che gli Ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero Sant’Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all’unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D’altronde il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.

Gli Ariani però non si limitarono a questo. Operarono anche con grande astuzia. Prima di tutto cercarono di occupare quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Altra tipica “tecnica” delle eresie: queste, una volta condannate, riemergono proponendo un compromesso tra la verità e l’errore. Gli Ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza di una sola lettera, minimale, ma che cambiava tutto. Infatti, il primo termine (homoousion) significa “della stessa sostanza”, il secondo termine (homoiousion) significa “simile in essenza”. Traducendo si capisce quanto la differenza non sia di poco conto.

Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla dottrina, Sant’Atanasio tenne fermo, resistette come un leone.

Subì l’esilio per ben cinque volte, ma non cedette. E – come si suol dire – non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: «Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo».

Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un concilio per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava Sant’Atanasio. Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: “arrogante”, “superbo” e “uomo che vuole la discordia”. Il Papa Giulio I (?-352) cercò di difenderlo, ma poi di lì a non molto morì e il povero Sant’Atanasio fu nuovamente attaccato.

Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui: l’Imperatore Costanzo l’odiava. Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere una condanna di Sant’Atanasio. Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al Papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice.

Fu allora che accadde ciò che viene ricordato come “caduta” di un Papa. Liberio, per ottenere il potere e tornare a Roma come Papa legittimo, decise anch’egli di accettare l’ambigua definizione semiariana, eppure fino ad allora si era distinto per una convinta definizione dell’homoosius del Concilio di Nicea.

Altri concili segnarono il trionfo dell’eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359. Ma era prevedibile che, per come era stato trattato Sant’Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera fede, il castigo fosse alle porte. All’Imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto “l’apostata” (330-363), che arrivò a ripudiare il battesimo cercando di restaurare il paganesimo.

Non passò molto tempo e il nuovo Imperatore Valente, così come il nuovo Papa Damaso, capirono che Sant’Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L’intrepido difensore della fede cattolica morì il 2 maggio del 373.

Ancora due cose vanno messe in rilievo. La prima: ai tempi di Sant’Atanasio a difendere la fede ci fu solo lui e una piccola comunità, i Vescovi dell’Egitto e della Libia. Solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede. La seconda: è significativo che colui che combatté da solo contro l’eresia ariana, non fu mai un teologo. La sua grande sapienza teologica, più che dagli studi, gli venne dall’incontro con i suoi maestri cristiani che testimoniarono il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano; e soprattutto dall’incontro con il grande Sant’Antonio. Ario, invece, raccoglieva consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi.

Atanasio però sapeva quanto qui stesse l’insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio riporta un insegnamento del suo grande maestro: «I demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scritture. (…). A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni».

Le parole di Sant’Atanasio

«Che Dio vi consoli! … Quello che rattrista … è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la fede apostolica.
Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la fede abita in voi.
Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la fede? La vera fede, ovviamente: Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la fede?
È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale.
Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese.
Quanto i più violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa.
Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che sono a loro volta espulsi da essa e vanno fuori strada.
Anche se i cattolici fedeli alla tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo».

Sant’Atanasio di Alessandria.

Sant’Atanasio di Alessandria
Catechesi di Papa Benedetto XVI
Aula Paolo VI
Udienza Generale di mercoledì, 20 giugno 2007


Cari fratelli e sorelle,

continuando la nostra rivisitazione dei grandi Maestri della Chiesa antica, vogliamo rivolgere oggi la nostra attenzione a sant’Atanasio di Alessandria. Questo autentico protagonista della tradizione cristiana, già pochi anni dopo la morte, venne celebrato come «la colonna della Chiesa» dal grande teologo e Vescovo di Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come un modello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian Lorenzo Bernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale – insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino –, che nella meravigliosa abside della Basilica vaticana circondano la Cattedra di San Pietro.

Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande Santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, riducendolo ad una creatura «media» tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia, e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana, Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario.

Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il Logos non era vero Dio, ma un Dio creato, un essere «medio» tra Dio e l’uomo, e così il vero Dio rimaneva sempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il «Simbolo della fede» che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimasto nella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella Liturgia come il Credo niceno-costantinopolitano. In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e che recitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine greco homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il Logos, è «della stessa sostanza» del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce la piena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani.

Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazione persino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. Questi, peraltro, che non si interessava tanto della verità teologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici, voleva politicizzare la fede, rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i sudditi nell’Impero.

La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 e il 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino. Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importante nel sostenere la fede di sant’Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo di Alessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica.

L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato su L’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio «si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità» (54,3). Con la sua risurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse «paglia nel fuoco» (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di Sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente «Dio con noi».

Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legate alle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amico Serapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza, e una trentina di lettere «festali», indirizzate all’inizio di ogni anno alle chiese e ai monasteri dell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra i fedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità.

Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la biografia di Sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo Santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.

Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: «Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù» (93,5-6).

Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso Sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri Santi, ci mostra che «chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino» (Deus caritas est, 42).

Continua il 16 luglio 2022 nella parte sesta [QUI].

Traditionis custodes – Indice [QUI].

Foto di copertina: Sant’Atanasio di Alessandria.

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