Con la crisi della liturgia rischiamo di avere solo il nulla di fronte. I Vescovi devono reagire! «Salus animarum suprema lex»

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Condividiamo di seguito cinque contributi a margine della discussione sulla Lettera apostolica del Santo Padre Francesco ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sulla formazione liturgica del Popolo di Dio Desiderio desideravi [QUI].

  • Santità, quali sono le cause della crisi della liturgia? di Cristina Siccardi su Corrispondenza Romana del 6 luglio 2022. «Ogni Santa Messa è un vero atto di culto perché riporta il corpo e sangue di Cristo fra gli umani e non può essere una banale e secolare “memoria” perché la memoria è un atto passivo e non attivo, è un atto umano e non miracoloso come la transustanziazione, un termine decisivo, ma che non viene mai riportato né nel Motu proprio Traditionis custodes, né nella Lettera apostolica Desiderio desideravi.
  • Mons. Ics. Ma il Papa sa che cos’è l’Eucarestia? I Vescovi devono reagire su Stilum Curiae, 6 luglio 2022. Viviamo tempi di grande confusione e ambiguità, e purtroppo chi dovrebbe aiutare a vedere chiaro sembra contribuire ad aumentare la confusione. Come potete leggere da quanto scrive Mons. Ics. «Parafrasando Sergio Quinzio. “Con Bergoglio, la gnosi che stiamo vivendo l’abbiamo già alle spalle, ora di fronte rischiamo di avere solo il nulla”. I Vescovi devono reagire!».
  • Elogio dell’ipocrisia di Mattia Spanò sul Blog di Sabino Paciolla del 7 luglio 2022. «Perché un problema politico dovrebbe far perdere ad un pastore le sue prerogative? Il pastore fa il pastore, non l’assessore all’APSA come Mons. Zanchetta. Carica politica creata dal nulla dal Papa e conferita al monsignore».
  • La cancel culture è nemica della ragione e della fede. Dichiarazione dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò a proposito della Lettera apostolica Desiderio desideravi del 2 luglio 2022. Messaggio in difesa della tradizione contro il fanatismo modernista che tende a identificare il concetto di progresso con quello di bene.
  • La “morte” di Papa Francesco su Caminante Wanderer del 4 luglio 2022. La Desiderio desideravi e la fase terminale di un papato. «I suoi sproloqui evidenziano anche le ossessioni e i capricci di cui soffre e che mutano in base alle stagioni ma sono sempre incoerenti. Se un tempo era fissato con i preti borghesi e i vescovi itineranti, o con le suore zitelle e i fedeli pelagiani, ora la sua ossessione sono i restaurazionisti e l’indietrismo».

Santità, quali sono le cause della crisi della liturgia?
di Cristina Siccardi
Corrispondenza Romana, 6 luglio 2022


Nessuna posizione viene presa dai Sacri Palazzi per le profanazioni e le blasfemie che continuamente vengono commesse nella società, per esempio, durante i Gay pride oppure nell’ “arte” contemporanea, che sforna senza ritegno oltraggi alla religione cattolica. Tuttavia, i vilipendi alla Fede vengono perpetrati ormai come nulla fosse proprio dentro le chiese, con il beneplacito dei parroci, come accecati dall’onda antiliturgica. Ecco quindi ostie consacrate elargite e prese senza la dovuta sacralità e attenzione; canti assolutamente distanti dalla pietà cristiana; atti contro la Carità divina; spose discinte e scomposte; sposi con abiti e tatuaggi eccentrici ed edonistici; invitati a comunioni, cresime, nozze o funerali senza neppure rendersi conto di non andare allo stadio per un concerto rock, bensì in chiesa; cani che portano all’altare gli anelli degli sposi con tanto di video YouTube virali… ormai non c’è più freno alle blasfemie e, allo stesso tempo, al ridicolo e alle pagliacciate circensi da guinnes world records.

Nonostante questi accadimenti massivi e impressionanti che danneggiano e scherniscono la Chiesa, Papa Francesco, invece di fare chiarezza e mettere un po’ di ordine con i mezzi di una tradizione bimillenaria, punta ancora il dito su chi è fedele alla Santa Messa apostolica, secondo il Rito Romano antico. Lo ha fatto nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno scorso, con la Lettera apostolica Desiderio desideravi «sulla formazione liturgica del popolo di Dio», diretta ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli.

Il Pontefice inizia il suo scritto con queste parole: «Cari fratelli e sorelle, con questa lettera desidero raggiungere tutti – dopo aver già scritto ai soli vescovi in seguito alla pubblicazione del Motu Proprio Traditionis custodes [del 16 luglio di un anno fa, ndr] – per condividere con voi alcune riflessioni sulla Liturgia, dimensione fondamentale per la vita della Chiesa. Il tema è molto vasto e merita un’attenta considerazione in ogni suo aspetto: tuttavia, con questo scritto non intendo trattare la questione in modo esaustivo. Voglio semplicemente offrire alcuni spunti di riflessione per contemplare la bellezza e la verità del celebrare cristiano».

Sì, la Liturgia è veramente la dimensione fondamentale per la vita della Chiesa, altrimenti quest’ultima non avrebbe neppure ragione di esistere. È intorno all’altare che si è costituito il Cristianesimo, che si sono costruite le catacombe, le chiese, le pievi, i monasteri, le abbazie e le cattedrali. Ma sui milioni di altari dello spazio geografico e del tempo è sempre avvenuto un sacrificio vero e proprio (incruento) per opera di Dio attraverso le formule e le mani dei sacerdoti, Suoi ministri. Non si è mai celebrata, come pretendono gli eresiarchi protestanti, una semplice e virtuale memoria, atto che offende, snatura ed elimina l’essenza sia del Santo Sacrificio sia del sacerdozio. Alla luce di queste verità nei Santi Misteri appaiono allarmanti le riflessioni del Papa: «Se non avessimo avuto l’ultima Cena, vale a dire l’anticipazione rituale della sua morte, non avremmo potuto comprendere come l’esecuzione della sua condanna a morte potesse essere l’atto di culto perfetto e gradito al Padre, l’unico vero atto di culto. Poche ore dopo, gli Apostoli avrebbero potuto vedere nella croce di Gesù, se ne avessero sostenuto il peso, che cosa voleva dire “corpo offerto”, “sangue versato”: ed è ciò di cui facciamo memoria in ogni Eucaristia».

Ogni Santa Messa è un vero atto di culto perché riporta il corpo e sangue di Cristo fra gli umani e non può essere una banale e secolare «memoria» perché la memoria è un atto passivo e non attivo, è un atto umano e non miracoloso come la transustanziazione, un termine decisivo, ma che non viene mai riportato né nel Motu proprio Traditionis custodes, né nella Lettera apostolica Desiderio desideravi.

Invece di porre dinanzi alla cattolicità l’evidenza dei fatti e dei frutti del Novus ordo, con tutti i suoi errori scaturiti da un’esigenza ecumenica utopica e lesiva, mutando gli ordini dei fattori in maniera teologica e fattuale come ormai in moltissimi sanno, si canonizza ancora il Concilio Vaticano II che ha portato nella Chiesa il regno dell’incertezza, come ebbe a denunciare tragicamente Paolo VI in quel 29 giugno di 50 anni fa esatti, quando sostenne che: «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita», quando è la Chiesa l’unica depositaria della vera vita, e poi si «credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli». Ma già tre anni dopo la chiusura dell’Assise, papa Montini parlò di «autodemolizione» della Chiesa, giunta oggi ad uno stadio impressionante per l’ignoranza che si è creata e per gli errori propagati in un’evangelizzazione/missionarietà che non è più tale come quella ordinata da Gesù in persona ai suoi Apostoli.

Citando Romano Guardini (ricordiamo che l’opera più importante di questo celebre autore, Lo spirito della liturgia del 1918, è divenuta pietra miliare del Movimento liturgico sorto in Europa nella prima metà del XX secolo e che influenzò la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II), Papa Bergoglio invita alla formazione liturgica in un’ottica cristiano-antropocentrica: «È necessario trovare i canali per una formazione come studio della liturgia: a partire dal movimento liturgico molto in tal senso è stato fatto, con contributi preziosi di molti studiosi ed istituzioni accademiche. Occorre tuttavia diffondere queste conoscenze al di fuori dell’ambito accademico, in modo accessibile, perché ogni fedele cresca in una conoscenza del senso teologico della Liturgia – è la questione decisiva e fondante ogni conoscenza e ogni pratica liturgica – come pure dello sviluppo del celebrare cristiano, acquisendo la capacità di comprendere i testi eucologici, i dinamismi rituali e la loro valenza antropologica». Ma la liturgia nuova, scaturita da un movimento intossicato dal liberalismo e quindi dal relativismo, non potrà mai dare buoni effetti, come dimostrano più di 50 anni di esperienza in questo senso. Al contrario, il Vetus ordo ha mietuto e continua a mietere attenzione e successi, qualitativamente e quantitativamente, in abbondanza, soprattutto fra le nuove generazioni.

La participatio actuosa (partecipazione attiva)dei fedeli alla liturgia, come è intesa nel Novus ordo, non è come l’adesione spirituale alla Santa Messa del Vetus ordo. È una partecipazione collettiva e non di ogni singola anima, la quale in verità è chiamata ad assistere al Miracolo eucaristico con la concentrazione e la sacralità dovute perché si è realmente di fronte all’Agnello immolato e realmente ci si può nutrire, solo se si è in grazia di Dio, di Lui. Troviamo perciò nella Lettera del Papa un criterio corretto quando afferma sulle note di Leone Magno: «La pienezza della nostra formazione è la conformazione a Cristo. Ripeto: non si tratta di un processo mentale, astratto, ma di diventare Lui. Questo è lo scopo per il quale è stato donato lo Spirito la cui azione è sempre e solo quella di fare il Corpo di Cristo. È così con il pane eucaristico, è così per ogni battezzato chiamato a diventare sempre più ciò che ha ricevuto in dono nel battesimo, vale a dire l’essere membro del Corpo di Cristo. Scrive Leone Magno: «La nostra partecipazione al Corpo e al Sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo» (Sermo XII: De Passione III,7)». Sono messi tranquillamente insieme Leone Magno e Romano Guardini, creando un’altalena di concetti tradizionalmente ineccepibili e insegnamenti contradditori, fino a dichiarare: «Il compito non è facile perché l’uomo moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza».

Purtroppo la responsabilità dell’analfabetismo è solo dei pastori, gran parte dei quali hanno scelto la rivoluzione ecclesiale per abbracciare il mondo, mettendo alle corde la Lex orandi, Lex credendi della Chiesa, roccia sulla quale la Sposa di Cristo si fonda. Cambiare la Messa – voltando le spalle a Dio, eliminando passi e gesti essenziali della liturgia divina mai sfregiata fino al ‘69, celebrando l’assemblea invece del Crocifisso, ponendo nella «riserva eucaristica» la divina Ostia, concelebrando con più sacerdoti… – è stato un atto umano e non divino. Eppure si continua a non prendere in considerazione il cuore del problema, ma si «tratta, piuttosto, di recuperare la capacità di porre e di comprendere i simboli della Liturgia. Non dobbiamo disperare, perché nell’uomo questa dimensione […] è costitutiva e, nonostante i mali del materialismo e dello spiritualismo – entrambi negazione dell’unità corpo e anima – è sempre pronta a riemergere, come ogni verità». È proprio così, Santo Padre, ogni verità è sempre destinata ad emergere: le chiese, infatti, si spopolano e le persone che vi entrano lo fanno spesso con quegli atteggiamenti che abbiamo riportato all’inizio dell’articolo.

«La domanda che ci poniamo è, dunque, come tornare ad essere capaci di simboli? Come tornare a saperli leggere per poterli vivere?». Ebbene, non certo con un rito fondato su dei compromessi ecumenici, stabiliti a tavolino con rappresentanti del protestantesimo come avvenne con la rivoluzione liturgica del 1969. Sia la formazione liturgica che i simboli, punti sui quali il Papa più insiste in questo documento, sono elementi che si radicano sul rito e quando il rito è in crisi, come lo stesso Pontefice evidenzia, significa che lo scopo principale di esso non è dare Gloria a Dio e salvare le anime, bensì creare uno spazio accettabile nel mondo, un’accettazione che poi in realtà non avviene, come accade quando si svende la propria identità per compiacere la cultura dominante, invece di guidare tutti noi peccatori.

I fallimenti catechetici e la scristianizzazione di massa delle famiglie dovrebbero illuminare le menti di quei pastori che umilmente potrebbero oggi fare una giusta e corroborante autocritica di anni ed anni passati a “contemplare” una lesiva e tragica teologia della liberazione, ecumenica, interreligiosa, ecologista. Allora sì che si potrebbe dire, come nella Desiderio desideravi: «L’ars celebrandi non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire».

È vero che «la norma più alta, e, quindi, più impegnativa, è la realtà stessa della celebrazione eucaristica che seleziona parole, gesti, sentimenti, facendoci comprendere se sono o meno adeguati al compito che devono svolgere», ma il Novus ordo ha selezionato ciò che non doveva. È vero che Maria Santissima «“sorveglia” i gesti del suo Figlio affidati agli Apostoli», ma se poi la Madonna viene lasciata alle “mani” di monsignor Tonino Bello di quale Vergine Santissima stiamo parlando? È verissimo che è «la celebrazione stessa che educa», ma se la celebrazione è intossicata, quale pedagogia ne esce? Sì, è estremamente vero che il sacerdote viene formato nell’azione cultuale dei Santi Misteri, ma se essi sono annacquati e addirittura avvelenati da uno schema ingiusto e svilente egli si forgerà su di esso.

«Per questo motivo non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. […] Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano».

No, Santità, non possiamo, come clero, religiosi e fedeli «abbandonare le polemiche», perché non si tratta di critiche distruttive, ma di domande che esponiamo in maniera caritativa e costruttiva e che esigono risposte secondo logica, coerenza, giustizia e misericordia. D’altra parte, Santa Romana Chiesa, che è Madre e non matrigna, è tenuta a difendere e custodire la Fede e i suoi riti con l’obiettivo principale di condurre il più possibile anime al Verbo incarnato, perché «Salus animarum suprema lex».

Mons. Ics. Ma il Papa sa che cos’è l’Eucarestia? I Vescovi devono reagire
Stilum Curiae, 6 luglio 2022


Comincio ad apprezzare l’attitudine a cercare il “pelo nell’uovo” e rimpiangere i tempi in cui, in materia di fede cattolica, si “spaccava il capello in quattro”.

Mi spiego. Oggi su La Verità, un articolo del bravo Lorenzo Bertocchi, ci parla del viaggio possibile di Bergoglio a Kiev e a Mosca.

Ma nel pezzo Bertocchi fa riferimento alla sentenza della Corte americana sull’aborto e sulla comunione data a Nancy Pelosi durante la Messa del Papa in San Pietro. mentre le era stata negata dall’Arcivescovo di San Francisco Cordileone per il suo sostegno alle politiche pro-aborto.

Commenta Bergoglio (virgolettato): “Quando la Chiesa perde la sua natura pastorale, quando un Vescovo perde la sua natura pastorale, crea un problema politico (sic). Questo è tutto ciò che posso dire” (Smentendo così Cordileone).

La mia reazione immediata è stata: “Ma se la Chiesa e un Vescovo prende natura politica, non rischia un danno pastorale”?.

Vorrei però tentare una riflessione utile ai lettori di Stilum Curiae (se ci riesco) poiché ho l’impressione che Bergoglio ammetta di aver creato volutamente un problema dottrinale e anche politico, tutto in una volta.

Vediamo cosa è “natura pastorale” e che uso ne ha fatto Bergoglio.

La “natura pastorale” della Chiesa e di un Vescovo si riferisce alla predicazione del Vangelo (Fides et Ratio n.70) essendo natura di evangelizzazione.

La natura pastorale verso “l’errante” ( il peccatore sostenitore dell’aborto) consiste certo nel dialogare, ma per correggere, non per assicurargli la comprensione.

La Chiesa, il Vescovo, annuncia il mistero della salvezza perché Dio vuole che tutti siano salvi arrivando alla conoscenza della Verità (San Paolo 1° Lettera a Timoteo), conseguentemente deve occuparsi di assicurare questa conoscenza, oltreché salvare le vite umane altrimenti massacrate nel seno delle madri. Perbacco!

La natura pastorale della Chiesa consiste nell’insieme dei mezzi usati per attuare gli insegnamenti di Cristo, non per consolare Nancy Pelosi o Joe Biden o la Emma Bonino. Con che risultati, poi??

Certo non è la prima volta (né sarà l’ultima) che Bergoglio usa un linguaggio equivoco e confondente.

Nel 2021 chiarì (confondendo) la distinzione tra dottrina e pastorale spiegando che “L’aborto resta omicidio, ma io non ho mai rifiutato la comunione a nessuno”.

Aristotele e San Tommaso si “saranno girati nella tomba” ascoltando (son sicuro che San Tommaso lo ha ascoltato dal Paradiso e riferito a Aristotele…) un para-sillogismo così assurdo.

Sarebbe come far crollare nelle stesso momento il Sacramento della Eucarestia e della Confessione. E come spiega Don Nicola Bux sul suo splendido libro sui Sacramenti (“Con i Sacramenti non si scherza”), questi sono come un “domino”, se crolla uno fa crollare tutti gli altri.

Sono oltremodo sospettoso?

Si, perché con la vita eterna non si può scherzare. Bergoglio la comunione non la nega a nessuno, è vero, ma è perché non crede al Sacramento della Eucarestia o perché non crede a San Paolo nella Lettera ai Corinti (“chiunque mangia in modo indegno…”)? Bergoglio ha incoraggiato la comunione ai divorziati (non è premio per i perfetti, ma rimedio per i deboli), poi ha incoraggiato la comunione ai protestanti (come sempre lasciando libertà alla coscienza), spiegando (senti, senti !…) che “poiché abbiamo lo stesso Battesimo, dobbiamo camminare insieme…”.

Certo non tutti sono rigorosi come lo scrivente, il Card. Muller, per esempio, uomo di grande statura e fede, riferendosi a Amoris laetitia, nella introduzione al libretto irrilevante di Rocco Buttiglione, insiste molto sul “discernimento pastorale”.

Speriamo che questi sacerdoti ci riflettano bene sulle loro capacità di avere e saper attuare detto discernimento. Ma voglio concludere.

Il Diritto Canonico, canone 915, dice che non sono ammessi, in quanto di fatto scomunicati, coloro che collaborano all’aborto, pertanto i politici abortisti. Cioè coloro (parafrasando una scialba e sempre equivoca frase di Bergoglio) che concedono l’uso delle armi ai sicari pagati per uccidere la creatura nel seno della madre.

Bertocchi conclude il suo pezzo citando Bergoglio sulle sue possibili dimissioni. “Quando vedrò che non ce la faccio, lo farò”, risponde Francesco. E ricordando la rinuncia del suo predecessore, dice “è stata una cosa buona per la Chiesa e per i Papi. Un grande esempio”.

Parafrasando Sergio Quinzio. “Con Bergoglio, la gnosi che stiamo vivendo l’abbiamo già alle spalle, ora di fronte rischiamo di avere solo il nulla”.

I Vescovi devono reagire!

Elogio dell’ipocrisia
di Mattia Spanò
Blog di Sabino Paciolla, 7 luglio 2022


Questo è tutto quello che posso dire”. Papa Francesco ha così concluso il suo commento alla vicenda dell’Arcivescovo di San Francisco che aveva vietato la Comunione alla cattolica stagionata Nancy Pelosi. La quale, nei giorni del ribaltamento della sentenza Roe Vs Wade, non si è fatta scrupoli: ha attraversato l’Atlantico ed è venuta in S. Pietro a ricevere le Santissime Specie, non senza salutare cordialmente il padrone di casa.

Davvero Papa Francesco non può dire di più? Cosa ne tarpa il volo, il titolo storico di Vicario di Cristo? Cosa significa la frase precedente, “quando un vescovo perde la sua natura pastorale, causa un problema politico”? Sono macchie di Rorshach: il fedele piacione capisce quel che vuol capire, anche nulla. La politica vive di conflitti, o problemi come li chiama il papa. Un problema politico, in politica è la norma.

Perché un problema politico dovrebbe far perdere ad un pastore le sue prerogative? Il pastore fa il pastore, non l’assessore all’APSA come Mons. Zanchetta. Carica politica creata dal nulla dal Papa e conferita al monsignore.

La pastoralità non è una natura, ma un compito. Cristianamente si chiama “vocazione”. La vocazione cristiana che segue il battesimo, in particolare il sacerdozio, sono richieste particolari di Dio all’uomo. Non sono “naturali”. A parte questo, è il pastore che guida le pecore, non le pecore il pastore.

Mi sembra che l’episodio del Vangelo del Buon Pastore che insegue la pecorella smarrita venga talvolta malinteso: il pastore non scappa con la pecorella, ma la insegue per riportarla all’ovile. L’ovile è il luogo dove la pecora è nutrita, accudita, protetta. La pecora fuori dall’ovile tende a morire male.

C’è poi un fatto cronologico: Cordileone vieta la Comunione alla Pelosi prima della visita della Speaker del Congresso in Vaticano. È Cordileone che provoca un problema politico, o è la politica sedicente cattolica Pelosi che provoca un problema religioso ricevendo dopo la Comunione in San Pietro? Sembra la favola del lupo che divora l’agnello perché intorbida l’acqua bevendo a valle del lupo.

Non esistono soltanto problemi politici ma anche problemi religiosi. Quelli creati dalla pecorella in fuga, non dal pastore. Quelli che oggettivamente contrappongono un arcivescovo al papa, e mentre il primo non fa altro che applicare una legge divina, il secondo sembra non condividerla, o almeno pensare che ci siano leggi superiori.

Le disposizioni riguardo all’accostarsi ai sacramenti possono piacere o meno, ma sono semplici e chiare: se si vive in stato di peccato mortale, di perdita della Grazia che assiste normalmente il cristiano, non ci si deve accostare ai sacramenti. Punto.

Questi divieti devono essere chiari innanzitutto al fedele. È sul fedele che ricade la responsabilità dell’atto: il celebrante può essere corresponsabile nel momento in cui conoscendo bene il fedele, non lo ammonisca e non gli rifiuti il sacramento.

Abbiamo riferito di casi in cui la Comunione sulla lingua è stata rifiutata da sacerdoti a semplici fedeli, dobbiamo concludere poco rilevanti politicamente, dunque non problematici. Potremmo anche concludere che il vero peccato è non contare nulla, mentre l’essere notabili è il lavacro di molte colpe, se non tutte.

L’unico sacramento esentato da questa grazia speciale è la Riconciliazione, volgarmente detta “confessione”, proprio perché atto a emendare il fedele sinceramente pentito da colpe anche molto gravi.

Il sacramento che riconcilia con Dio è la confessione, non la Comunione. Non è vero che nell’Eucarestia “Gesù […] sana le nostre fragilità […] per aiutare gli altri nelle loro fragilità“. Altri non meglio identificati i quali, colpiti dalla grazia divina di rimbalzo, non avrebbero alcuna necessità di Comunicarsi, il che contraddice in modo insanabile il puntiglio di Nancy Pelosi nel ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo, e lo rende un sacrilegio a sangue freddo.

Come non è vero che ci si possa confessare senza il prete, incassando un perdono preventivo dietro una blanda promessa. Non c’è pandemia o catastrofe naturale che tenga, e spiace che il papa imbocchi certi vicoli ciechi che non menano da nessuna parte.

Come abbiamo visto lo Stato – e il Vaticano non ha fatto eccezione, anzi – non ha minimamente tollerato per lunghi mesi che non vaccinati andassero al ristorante, al lavoro o entrassero in posta nonostante non stessero violando alcun obbligo di legge, come del resto non potevano entrare in un supermercato senza mascherina.

Non si vede allora perché qualcuno senta l’urgenza di accostarsi in stato di peccato mortale all’Eucarestia, cosa che se sul piano pratico non può essere impedita – tranne nel caso di personalità pubbliche come Nancy Pelosi, la cui condotta e i cui pensieri siano in parte noti – è però chiaramente vietata. Comunicarsi è un precetto, ma lo è anche farlo in grazia di Dio.

La cosa non convince, non piace, non è condivisibile? Basta non andare a messa, non fare la Comunione e non dichiararsi cattolici, o definirsi cattolici non praticanti con autentico sprezzo del ridicolo: posizione assurda che vale quella di praticante non cattolico. La soluzione mi pare più semplice del problema stesso, il che significa che il problema non è tale.

Come anche una persona affetta da nebbia cerebrale dovuta a long-Covid capisce benissimo, la verità è che da svariati decenni si pretende che la Chiesa si adegui alla sensibilità dei fedeli, riducendo il fatto religioso a nominalismo puro. Come dire che siccome mi piacciono i bambini e gli voglio bene, allora posso mangiarli o andarci a letto.

Il Papa stesso può constatare che nella Chiesa esistano ormai due tipi di pastori: il piccolo resto che cerca di trattenere il gregge nell’ovile recuperando le pecore ribelli (direi che la proporzione di una che fugge contro le novantanove che restano si è nel frattempo capovolta), e quelli che pensano di portarle a pascolare nella prateria, scambiandole per bisonti americani. Anche il maestoso bisonte, per quanto adatto allo stato brado, è stato puntualmente decimato.

Mentre i primi pastori sono rari come le oasi nei deserti, i secondi invece sono insospettabilmente cauti e trattenuti, nonostante il loro numero e una posizione di forza soverchiante. Restando nel vasto e complesso mondo degli erbivori, si vede che scalpitano come puledri per dare il rompete le righe e disperdere il gregge, eppure qualcosa di invisibile li trattiene dal farlo. Alludono, propongono, insinuano, praticano un discernimento compulsivo, ma non riescono a sferrare il colpo del K.O. alla Chiesa Cattolica.

Con la cura premurosa che il non credente ha per la salvezza dei credenti fatti fessi da un cumulo di fandonie, si potrebbe pensare che esitino perché se la Chiesa fosse stravolta o finisse, perderebbero i propri privilegi. Non ne sono convinto, perché il mondo incredulo è sempre molto riconoscente coi propri apostoli. Probabilmente vivrebbero molto meglio, senza un mucchio di fastidiosi vecchi precetti.

Per quanto un numero non irrilevante di loro trovi ormai l’idea stessa dell’esistenza di Dio supremamente ridicola – figuriamoci poi un Dio fatto uomo – qualcosa di ancora più sottile li trattiene. Penso che questo qualcosa sia l’ipocrisia.

Se infatti nascondo le mie reali intenzioni, convinzioni, pensieri e credenze dietro qualcosa di radicalmente opposto a queste, mi chiudo a doppia mandata in quel qualcosa che le cela. L’ipocrita, diversamente dal bugiardo o dall’assassino, vive in strana e indissolubile simbiosi con ciò che nasconde i pensieri del suo cuore.

È anche l’ipocrisia, qualità squisitamente politica (in questo senso, e solo in questo, il Santo Padre ha perfettamente ragione nel parlare di un problema politico) a preservare la Verità che la Chiesa da duemila anni pretende di annunciare agli uomini. Splendido e divinamente ironico paradosso, mentre la verità sopravvive benissimo senza la menzogna, la menzogna senza una verità da nascondere o negare non sopravvive un secondo. Mentre cerca di soffocarla a morte, affannosamente è condannata a mantenerla in vita.

Una volta i re dicevano “Parigi val bene una messa”. Oggi sono i preti a dire “la messa val bene Parigi”. Prosit, invece che amen.

Mons. Viganò: “Deep state e deep church sono unite dall’odio contro Cristo”.

La cancel culture è nemica della ragione e della fede
Dichiarazione dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò a proposito della Lettera apostolica Desiderio desideravi


In un editoriale apparso il 30 giugno 2022 sul Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân [QUI], dal titolo Cancel culture: l’eterno sogno gnostico di ricominciare da zero, Mons. Giampaolo Crepaldi ha stigmatizzato, con grande lucidità di analisi, quell’«atteggiamento che privilegia il nuovo sull’antico, che fa coincidere la virtù con l’adesione alle novità storiche e il peccato con la conservazione del passato», e che consiste in una sistematica e spietata damnatio memoriæ di tutto ciò che si oppone alla modernità. Scrive l’Arcivescovo di Trieste: «Il progresso vuole che tutto cambi, ma non il progresso, che deve rimanere. Il progresso deve conservare il progresso come qualcosa di incontestabile e mai criticabile, mai superabile, mai cancellabile. Lo stesso dicasi della rivoluzione: le rivoluzioni cambiano tutto, ma non la realtà immutabile della rivoluzione, che rimane assoluta. Anche la “cancellazione” deve cancellare tutto, ma la cancellazione deve rimanere un principio assoluto».

Questa denuncia evidenzia il ritorno della gnosi anticristiana, non a caso alleata «della propaganda illuministica ed antireligiosa della borghesia anglofona e protestante», frutto di «secoli di disinformazione pianificata». Dalla pseudoriforma luterana in poi, l’unità dell’Europa cattolica è stata spezzata dall’eresia del frate tedesco e dallo scisma anglicano, mostrando inequivocabilmente come le rivoluzioni civili (che potremmo definire eresie politiche) trovino le proprie basi ideologiche in precedenti errori dottrinali e morali.

Questa coraggiosa disamina di Mons. Crepaldi si ferma, almeno apparentemente, alla Cancel culture nella società civile, mentre sorvola su quella non meno grave che viene perseguita con tetragona ostinazione in seno alla Chiesa Cattolica, a partire dal Concilio Vaticano II. Ciò conferma che l’apostasia delle Nazioni cristiane, giunta a eliminare sistematicamente qualsiasi traccia di Cristianesimo dal corpo sociale, doveva necessariamente essere preceduta da un’analoga rimozione del passato nel corpo ecclesiale, a cui doveva corrispondere l’imposizione del nuovo come ontologicamente migliore e moralmente superiore, a prescindere dalle sue basi, dalle intenzioni di chi lo imponeva e soprattutto dalla valutazione delle sue conseguenze. San Pio X definì Modernismo l’eresia che deriva da questo errore filosofico. Il nuovo come bene assoluto, in quanto nuovo. E questo nonostante l’evidenza dei disastrosi effetti che la cancellazione del passato della Chiesa – dottrinale, morale, liturgico e disciplinare, ma anche culturale, artistico e popolare – poteva provocare, come prevedibilmente avvenuto.

Il Concilio ha eretto la novità e il cosiddetto progresso a norma, ma non si è limitato a questo: i suoi artefici hanno dovuto cancellare il passato, perché il semplice confronto tra novus vetus sconfessa la bontà del primo e la condanna del secondo, in ragione dei risultati che determina. La stessa riforma liturgica fu «disinformazione pianificata»: anzitutto nell’averla imposta sulla base di una menzogna pretestuosa, ossia che i fedeli non comprendessero la celebrazione in latino dei riti; e in secondo luogo per il fatto che la lex orandi diventò espressione di una lex credendi deliberatamente svincolata dall’ortodossia cattolica, anzi sua negatrice. Il principale strumento della propaganda progressista e della Cancel culture applicata in ambito ecclesiale fu proprio la liturgia riformata, esattamente come fece la pseudoriforma luterana, che eliminò progressivamente dal popolo cristiano quell’eredità di Fede, di tradizioni e di gesti quotidiani di cui secoli di Cattolicesimo vissuto avevano impregnato la vita dei fedeli e delle Nazioni.

La Cancel culture è inevitabile, laddove il nuovo deve essere accettato acriticamente, e dove l’antico – liquidato come “vecchio” – deve essere dimenticato perché non incomba, come severo monito, sul presente. E non è un caso se il romanzo 1984 di George Orwell preconizzò la censura ex post dell’informazione, giungendo a correggere le notizie del passato in funzione della mutevole utilità presente. D’altra parte, la presenza di un termine di paragone, da sola, manifesta una differenza che stimola al giudizio, mette in discussione il dogma del progresso, mostra tesori di ieri che oggi nessuno sarebbe in grado di replicare, proprio perché essi erano il risultato di un mondo che il presente rifiuta aprioristicamente.

Ma se negli ultimi decenni i seguaci del “progressismo cattolico” – espressione che di per sé è già un ossimoro – si sono adoperati per scalzare la Tradizione e sostituirvi la sua antitesi, in questi dieci anni di “pontificato” bergogliano la Cancel culture ha assunto i connotati di una furia ideologica, spaziando dalla morale della situazione di Amoris lætitia all’ecologismo neomalthusiano di Laudato si’ all’ecumenismo massonico di Fratelli Tutti, ma anche manifestandosi nella sfrontata rimozione di segni esteriori, dalle vesti liturgiche alle insegne e ai titoli papali, per giungere, con Traditionis custodes e con Desiderio desideravi, alla sostanziale cancellazione della Liturgia apostolica, a cui il Motu Proprio Summorum Pontificum aveva riconosciuto una parentesi di relativa libertà, dopo quarant’anni di ostracismo.

Ed è Cancel culture a tutti gli effetti, sia per le modalità di realizzazione, sia per gli scopi che si prefigge, sia per l’ideologia che essa sottende, sia per il comun denominatore che unisce coloro che la promuovono. Un’operazione eversiva, certamente, perché usa l’autorità della Chiesa allo scopo di demolire la Chiesa stessa, sovvertendo il fine che le è proprio, esattamente come l’autorità dello Stato è usurpata contro gli interessi della Nazione e il bene comune dei cittadini.

«A volte portare qualche merletto della nonna va bene, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no?», ha affermato Bergoglio. E l’ha fatto con quella superficialità irriverente che mostra l’incolto dinanzi a un’opera d’arte o a un capolavoro letterario di cui ignora il valore. O piuttosto, propria di chi ne conosce bene il valore, ma avendo da proporre in alternativa ciarpame e paccottiglia, non può ricorrere ad altro se non al discredito e alla derisione. Liquidare i tesori inestimabili di dottrina e spiritualità della Liturgia apostolica con semplificazioni da social media – «il merletto della nonna» – tradisce la consapevolezza di non avere argomenti, e spiega il motivo di tanta insofferenza verso qualcosa che una persona in buonafede sarebbe altresì spinta a conservare, a custodire, a comprendere.

Coloro che ancora si ostinano a confutare singolarmente gli “atti di magistero e di governo” di Jorge Mario Bergoglio non vogliono prendere atto di una realtà tremenda e dolorosa, che significativamente trova il proprio contraltare nel mondo occidentale. Il quale, come sempre è avvenuto, prende esempio dalla Chiesa, ieri nell’ispirarsi al bene e oggi nel seguire il male. È quindi inutile confutare quel documento o quella dichiarazione, scandalizzandosi per ciò che possono rappresentare rispetto alla Tradizione cattolica: la Cancel culture – in quanto espressione di un pensiero gnostico e rivoluzionario – è ontologicamente nemica della ragione, ancor prima che della Fede. E chi denuncia i danni incalcolabili di questa operazione criminale di rimozione e condanna del passato, anche semplicemente mostrando lo stato disastroso in cui versano le parrocchie e le comunità religiose, sembra non rendersi conto che sono proprio quei danni che si voleva consapevolmente ottenere. Costoro cadono nell’inganno di quanti, in occasione della psicopandemia, si stupiscono che in presenza di effetti collaterali gravi e di “malori improvvisi” evidentemente causati dal siero sperimentale, le Autorità sanitarie non vietino la distribuzione del cosiddetto vaccino, quando è palese che esso doveva servire – come ci ha spiegato il signor Gates – per ridurre la popolazione mondiale del 10-15%.

In realtà, il non voler considerare il rapporto tra causa e effetto è consequenziale al rifiuto dell’intero sistema logico e filosofico occidentale, che è essenzialmente aristotelico e tomistico. Poiché un pensiero deviato può essere accettato solo nell’irrazionalità cieca e nell’obbedienza servile. Anche se, a ben vedere, gli artefici della rivoluzione hanno un piano lucidissimo e logico, che però non possono dichiarare apertamente, in quanto eversivo e criminale.

Deep church deep state si muovono parallelamente e in sincronia, perché ciò che li muove è l’odio per Gesù Cristo. La matrice anticristica risiede nell’inganno, che è il marchio del Mentitore: un inganno iniziato col far credere a Adamo ed Eva che la loro disobbedienza li avrebbe resi simili a Dio, quando in realtà essi erano stati creati «a immagine e somiglianza di Dio» proprio nel conformarsi liberamente al kosmos divino impresso dal Creatore nelle creature e nel creato. Lo stesso inganno lo ritroviamo nel far credere che l’uomo possa negare Dio e ribellarsi alla Sua Legge senza conseguenze, quando Satana per primo, peccando di orgoglio, si è dannato per l’eternità. È una menzogna il mito della libertà, di cui la licenza e il libertinaggio sono la contraffazione. È una menzogna la laicità dello Stato, che rinnega la Signoria di Cristo Re nella società. È una menzogna l’ecumenismo, che pone la Verità di Dio e l’errore sullo stesso piano in nome di una pace e di una fratellanza che non possono sussistere al di fuori dell’unica Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa cattolica. È una menzogna l’aver eretto il progresso a bene assoluto, perché ciò che esso considera un bene è in realtà un male che si ripercuote sui singoli e sulla società, tanto quella secolare quanto quella spirituale. È una menzogna lo spacciare per conquista del popolo qualcosa che un’élite di cospiratori ha deciso di imporre alle masse, col solo intento di dominarle e di condurle alla perdizione.

Ecco perché, dinanzi ai vaniloqui bergogliani, che celebrano apoditticamente i successi del Vaticano II e le conquiste della chiesa postconciliare pur in presenza di una crisi immane, ogni commento è superfluo. Quello che ci viene venduto come ultimo ritrovato della modernità – dall’ideologia gender al neomalthusianesimo sanitario – è vecchio ciarpame ideologico che ha come unico scopo quello di allontanare le anime da Dio, perché nell’adagio Mal comune mezzo gaudio sia compendiata l’azione malefica del demonio, invidioso che a creature dotate di anima e corpo sia stata concessa dalla Provvidenza quella Redenzione che gli angeli, in quanto puri spiriti, non hanno avuto. Una Redenzione compiuta tramite l’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, perpetuata nei suoi frutti dal Corpo Mistico di Cristo, la Santa Chiesa.

Bergoglio accusa di gnosticismo e di pelagianesimo coloro che non possono accettare l’idea di un Papa gnostico e pelagiano, per il quale il bene non consiste nell’adeguarsi al modello di perfezione voluto per noi dal Dio Creatore e Redentore, ma a ciò che ciascuno crede di essere. Ma questo, in fondo, non è altro che il peccato di Lucifero, il Non serviam eretto a regola morale.

Bene ha fatto quindi Mons. Crepaldi a evidenziare la matrice anticristica della Cancel culture; ma questa analisi, valida e vera per quanto avviene nel mondo civile, deve essere coraggiosamente estesa anche al mondo cattolico, nel quale essa vige incontrastata da quando il Concilio Vaticano II ha eretto il nuovo e il transeunte a idolo, rinnegando duemila anni di Tradizione fondata sulla Parola di Dio e sull’insegnamento degli Apostoli e dei Romani Pontefici. La furia ideologica di Bergoglio è solo la logica conseguenza di quelle premesse, e il fatto che un massaggiatore possa progettare il logo gay friendly del Giubileo 2025 [QUI] è solo la squallida conferma di una metastasi in atto.

Esorto i miei Confratelli nell’episcopato, i sacerdoti e i fedeli a comprendere questo aspetto fondamentale dell’apostasia presente, perché nulla potremo fare di buono per convertire la società civile e restituire la Corona regale a Cristo, finché quella Corona sarà usurpata in seno alla Chiesa dai Suoi nemici.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
2 luglio 2022


La “morte” di Papa Francesco
Caminante Wanderer, 4 luglio 2022

(Traduzione italiana dall’inglese a cura di Valentina Lazzari per il blog Duc in altum [QUI])

Dopo una rapida lettura della Desiderio desideravi di Papa Francesco mi sono chiesto se valesse la pena spendere tempo ed energie per leggerla più attentamente e scriverne qualcosa. Ho deciso che non era il caso. La lettera, in linea di massima, non è male finché dice ciò che la Chiesa ha sempre detto sulla liturgia, mentre alcuni paragrafi qua e là non contengono altro che le solite incongruenze e superficialità che già conosciamo. Inoltre, altri commentatori (pochissimi, a dire il vero) hanno già fatto un’analisi al posto mio. Raccomando in particolare la lettura di Padre Z [QUI] e Luisella Scrosati [QUI].

La pubblicazione della Lettera, tuttavia, ha aggiunto un ulteriore elemento che dimostra una realtà ormai sotto gli occhi di tutti: Papa Francesco è “morto” e non ci resta che attendere che la triste mietitrice faccia il suo lavoro. Curiosamente, la sua è un’immagine speculare a quella del Presidente peronista argentino, Alberto Fernández, anch’egli “morto”, anche se per i funerali dovremo aspettare fino al dicembre 2023 (ma il fetore è tale che potrebbero essere anticipati).

A supporto della mia tesi del pontefice “morto” segnalo un altro fatto. Venerdì scorso, l’agenzia di stampa ufficiale argentina Telam ha pubblicato una lunga intervista al Sommo Pontefice [QUI], ma essa non ha avuto ripercussioni sui media internazionali e nemmeno sui quelli nazionali. Per quanto ne so, fra i media argentini di una certa importanza solo due le hanno concesso uno spazio, sia pure del tutto marginale: Infobae e Página 12. I quotidiani più importanti, come La Nación o Clarín, non si sono neanche accorti del reportage. Resta da vedere se il motivo sia la totale insignificanza (la morte di fatto) di Bergoglio, o la semplice pietà, poiché è un atto di carità coprire la vergogna dell’ubriacone o dell’anziano.

Le dichiarazioni del Papa sulle Nazioni Unite e le sue frasi chiaroveggenti come ad esempio “se non cambiamo il nostro atteggiamento nei confronti dell’ambiente, andiamo tutti a fondo”, o “è importante aiutare i giovani in questo impegno socio-politico e anche a non farsi rifilare una fregatura” sono i segnali che Bergoglio è anziano, lo è sempre di più, e, cosa più grave, insiste nel rendere pubblici i suoi giudizi deboli e terminali.

I suoi sproloqui evidenziano anche le ossessioni e i capricci di cui soffre e che mutano in base alle stagioni ma sono sempre incoerenti. Se un tempo era fissato con i preti borghesi e i vescovi itineranti, o con le suore zitelle e i fedeli pelagiani, ora la sua ossessione sono i restaurazionisti e l’indietrismo. Per la festa dei Santi Pietro e Paolo ha imposto il pallio (“stola”, ha detto il mentecatto dell’annunciatore) ai nuovi arcivescovi, e il suo discorso [QUI] è stato esilarante per le sciocchezze a cui ha fatto ricorso più e più volte. Infatti, ha messo in guardia sui pericoli dell’indietrismo, ricorrendo a un neologismo italiano che potremmo tradurre in spagnolo come volveratrasismo: la Chiesa non deve volgere nostalgica lo sguardo al passato, a tempi che sarebbero stati migliori e più luminosi. Ma ciò, senza neanche dover ricorrere a dissertazioni di autori restaurazionisti, pone diverse difficoltà all’interno del suo stesso discorso.

In primo luogo, qual è il punto a quo, dal quale si potrebbe guardare la Chiesa? Dal tenore delle sue ultime dichiarazioni, sembra che si tratti del Concilio Vaticano II. Possiamo osservare la Chiesa solo da quel grande momento e non guardare indietro ai tempi passati, e con questo Francesco avalla la tesi della cosiddetta Scuola di Bologna: il Vaticano II significa una rottura nella Chiesa e una sua rifondazione. Di conseguenza, Bergoglio si colloca agli antipodi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. D’altra parte, in che modo giustifica quel lasso temporale? Perché mai non ci è permesso di guardare più indietro con nostalgia e desiderio di restaurazione? Quali motivazioni teologiche, oltre alla volontà del papa romano, sorreggono una tale decisione? Sono domande alle quali non ha mai risposto e non risponderà mai, perché non è in grado di farlo.

In secondo luogo il Papa afferma che l’indietrismo è molto in voga nella Chiesa di oggi. Vale a dire che c’è un gran numero di cattolici, chierici e fedeli che guardano con nostalgia al passato e vanno persino alla ricerca di restaurazioni proibite. Ma non ha appena enfatizzato in quello stesso discorso che c’è spazio per tutti nella Chiesa? O non sarà forse che il papa spinge perché adulteri ed esponenti LGBT abbiano il loro posto nella Chiesa, ma impedisce che ne abbiano gli indietristi? Come si spiega che il Papa della sinodalità, che esige “l’ascolto del popolo”, il quale è fonte della rivelazione e manifestazione divina, insista nel non ascoltare e, anzi, nel perseguitare buona parte di quel popolo (lui stesso ammette che sono tanti) per il semplice fatto di guardare indietro nella storia della Chiesa? Assurdità e incongruenze che nessuno può più negare.

È giocoforza riconoscere che la stupefacente mediocrità che osserviamo nel romano pontefice non è solo una sua prerogativa. I governanti che oggi hanno le redini degli affari planetari sconcertano per la loro stupidità. Come esempio [QUI], è sufficiente questo: durante il recente vertice dei paesi NATO riunito a Madrid, i partecipanti hanno potuto scegliere come antipasto, in base al menu, “insalata russa”. A causa dei commenti e dei reclami, i responsabili del catering hanno dovuto ristampare i menu e rinominarla “insalata tradizionale”. A vantaggio delle tasche degli organizzatori, Papa Francesco non è stato invitato al vertice.

Traditionis custodes – Indice [QUI].

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