Al processo vaticano il finanziere Enrico Crasso: “Nessun piano per frodare la Segreteria di Stato”. Scagionato – per l’ennesima volta – il Card. Becciu. In arrivo 200 testimoni
Nella ventiduesima udienza del processo in corso nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani nella Città del Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, dedicata all’ultima parte dell’interrogatorio del finanziere Enrico Crasso (foto di copertina), dopo la prima parte nell’udienza del 30 maggio [QUI], viene scagionato – per l’ennesima volta – il Cardinale Angelo Becciu. Crasso si difende energicamente, confermando –e non è una novità – la scorrettezza degli inquirenti. Il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha reso noto che l’udienza prevista per domani non ci sarà e che il processo proseguirà il 7 luglio, con il secondo interrogatorio di Fabrizio Tirabassi, per proseguire poi l’8, il 14 e il 15 luglio. Pignatone ha inoltre chiesto alle difese di “cominciare a pensare ai testimoni”. Ne sono attesi duecento. Assente il Promotore di giustizia aggiunto Alessandro Diddi.
“Undici capi imputazione non sono pochi, io mi auguro che questo Tribunale voglia giudicare la mia attività di gestore, non mi metta in condizione di pagare attività di altri soggetti”, ha detto il finanziere Enrico Crasso nella sua seconda dichiarazione spontanea. “Negli ultimi 5 minuti che sono stato all’interrogatorio della Gendarmeria, un signore mi disse: Dottor Crasso, ma è possibile che lei non ha un sassolino nella scarpa? Tutti qui hanno parlato male di lei. Tutti indistintamente. Ma lei non ha nulla da dire? Mi rendo conto come, è vero che tanti nemici tanti onori, ma qui si mette in gioco la vita e la reputazione delle persone. Non sono in grado e mai userò qualcuno”. “Io vorrei fare tante dichiarazioni… la mia vita è cambiata. Sono stato definito nelle chat il vecchietto, Crassus. Quello che ho capito è che sono stato un baluardo per la difesa della liquidità della Segreteria di Stato, non un mezzo per frodare qualcuno”. “Non c’è un pezzo di carta, un documento nelle 550 pagine di chat che provi – ha dichiarato il finanziere – che io con Torzi abbia predisposto un piano per frodare la Segreteria di Stato, mio cliente per 26 anni. Non c’è un momento in cui si dice Crasso mi ha chiesto soldi, mi voleva fare un contratto. Nulla di nulla, sarebbe emerso un discorso di questo genere. Auguro a tutti di arrivare a 70 anni come sono arrivato io. Mi chiedo dove sono finito. Mi auguro – ha concluso rivolto ai giudici – che voi riuscirete a giudicarmi per quello che ho fatto io e non per quello che hanno fatto gli altri”. Riferendosi poi alla mail con la quale nel 2017 aveva accettato l’incarico di consulente, Crasso ha commentato: “Quella mail è stata una sliding door, come dice il film. Io da questa storia dovevo restare fuori. È stato un errore andare a Londra il 20 novembre 2018”.
Comunicato stampa nell’interesse di Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, 22 giugno 2022
All’udienza odierna avanti il Tribunale vaticano, da poco terminata, si è concluso l’interrogatorio del dottor Crasso: ancora una volta in udienza emerge come il Cardinale Becciu non prese mai parte a confronti con i consulenti finanziari per le proposte di investimento. Il referente principale per tali attività della Segreteria di Stato fu — lo ha confermato anche Crasso — Monsignor Perlasca, Capo dell’Ufficio Amministrativo, di comprovata esperienza tecnica, che «aveva una sua visione degli investimenti». Come è noto, la posizione di Perlasca è stata archiviata perché ritenuto in buona fede nello svolgimento dell’attività. Quello di oggi è un ulteriore contributo a conferma dell’assoluta estraneità del Cardinale ai fatti oggetto di verifica da parte del Tribunale, nella cui terzietà ed indipendenza si confida con piena serenità.
Avvocati Fabio Viglione, Maria Concetta Marzo
Crasso: non ho frodato la Segreteria di Stato, non voglio pagare errori di altri
Concluso l’interrogatorio del finanziere nella ventiduesima udienza del processo vaticano per presunti illeciti con i fondi della Santa Sede. Fissate le udienze di luglio. Pignatone: forse avremo 200 testimoni
di Salvatore Cernuzio
Vatican News, 22 giugno 2022
“Undici capi di imputazione non sono pochi… Mi auguro che mi giudicherete per quello che ho fatto io e non per quello che hanno fatto gli altri”. Quasi un appello al Tribunale vaticano, quello di Enrico Crasso, imputato nel processo per presunti illeciti con i fondi della Santa Sede. Il finanziere, ex area manager di Credit Suisse Italia e poi amministratore di diverse società, dagli anni ’90 “consulente finanziario” (pur ribadendo di non aver mai avuto un incarico formale) della Segreteria di Stato, ha concluso il suo interrogatorio oggi, ventiduesima udienza nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani.
Già interrogato il 30 maggio dal Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi (oggi assente), e dai rappresentanti delle parti civili, Crasso questa mattina – in un’udienza dai tempi rapidi rispetto alle precedenti (due ore e mezza circa, dalle 13.20 alle 15.50) – si è sottoposto alle domande del suo legale, Luigi Panella. “È falso”, “non so nulla”, “respingo nella maniera più assoluta questa accusa”, sono state le frasi più ricorrenti nelle sue risposte. Il finanziere si è detto estraneo a una serie di operazioni contestate dall’accusa: depositi effettuati sul Fondo Athena di Raffale Mincione, 38 milioni di dollari depositati in Deutsche Bank, sottoscrizione di bond in società sempre di Mincione, investimenti in Carige, poi finanziamenti, quotazioni in borsa, acquisto crediti sanitari e altro. Nel rinvio a giudizio, Crasso risulta accusato di truffa, corruzione, estorsione, peculato, abuso d’ufficio, riciclaggio, autoriciclaggio, falso in atto pubblico e scrittura privata. Tutti reati che oggi, così come nell’altra udienza, ha rigettato.
In una dichiarazione spontanea, l’imputato si è rivolto al Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, e ai giudici a latere: “Mi auguro che questo Tribunale voglia giudicare la mia attività di gestore, non mi metta in condizione di pagare attività di altri soggetti…”. Ricordando un interrogatorio, ha raccontato che “un signore mi disse: ‘Dottor Crasso, ma è possibile che lei non ha un sassolino nella scarpa da togliersi? Tutti qui hanno parlato male di lei indistintamente. Lei non ha nulla da dire?’. È vero: tanti nemici, tanto onore, ma qui si mette in gioco la vita e la reputazione delle persone…”.
Esibendo diversi documenti, il finanziere ha rivendicato poi i “risultati” prodotti in Segreteria di Stato in termini di reddito e profitto. E ha affermato che, pur essendo stato schernito in alcune chat trovate negli atti come “vecchietto o Crassus”, lui è stato “un baluardo per la difesa della liquidità della Segreteria di Stato”. “Non c’è un pezzo di carta, un documento nelle 550 pagine di chat che provi che io con Torzi abbia predisposto un piano per frodare la Segreteria di Stato, mia cliente per 26 anni. Mi chiedo dove sono finito”.
Diverse le domande del difensore di Torzi, l’avvocato Marco Franco, tutte sulla vicenda che ha portato all’acquisto del Palazzo di Londra. In particolare ci si è soffermati sulla già citata riunione del novembre 2018 in un bar a via Margutta, al centro di Roma, con Torzi, Tirabassi e l’avvocato Manuele Intendente. Crasso era stato invitato “per un caffè”. Tirando fuori “all’improvviso” il discorso Palazzo di Londra, Torzi disse: “Ci parlo io con Mincione, a me non può dire di no”. Il finanziere ha detto di non sapere il significato di quelle affermazioni e di aver capito solo in seguito il motivo dell’incontro: “La Segreteria di Stato era libera di trasferire le proprie liquidità, non vedevo il motivo della riunione… L’ho capito dalle chat negli atti. Da un mese parlavano di questo problema di uscire da Athena. Mi è dispiaciuto… Nella vita non si finisce mai di imparare”.
Dalla riunione al bar si passò in poche settimane alla grande riunione a Londra (20-22 novembre 2018) nello studio di Torzi in cui furono stabiliti i termini del passaggio dal Gof di Mincione al Gutt dello stesso Torzi. Crasso, inviato da monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, ha smentito di essersi mai “appartato” con Torzi e Tirabassi “per fare un calcolo di quanto restituire a Mincione”: “In 42 anni nella finanza non faccio pezzi di carta”.
Allo stesso modo ha detto di non aver né saputo né capito allora che a Torzi erano state concesse mille azioni con diritto di voto, che di fatto gli davano il controllo totale dell’immobile. Torzi spiegò che servivano a gestire il Palazzo o pagare una fee in caso di vendita. “Perlasca aveva la volontà di continuare con Torzi nella gestione dell’immobile”, ha aggiunto ancora Crasso. Mentre lo studio Baker & McKanzie, in contatto con la Segreteria di Stato, suggeriva di “chiudere” col broker evitando azioni legali, principalmente per motivi reputazionali. “Sono convinto che se non avesse preso le mille azioni, Torzi sarebbe ancora il gestore del Palazzo”, ha chiosato il finanziere. Riguardo al suo ruolo in tutta questa vicenda, ha invece affermato: “È stato un gravissimo errore. Da questa storia dovevo restarne fuori”.