Abbà Zerai assolto da favoreggiamento di immigrazione

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Cadono definitivamente le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contro don Mosè Zerai: dopo mesi di rassicurazioni verbali il sacerdote ha ricevuto dal suo legale il decreto di archiviazione. Però ci sono voluti 52 mesi di indagini alla procura di Trapani per arrivare al decreto datato dicembre 2021.

Era il 9 agosto 2017 quando fu notificato l’avviso di garanzia al sacerdote eritreo candidato al Nobel per la pace nel 2015 e impegnato da anni negli aiuti umanitari ai profughi. Era stato iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla Ong tedesca Jugend Rettet con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le indagini erano cominciate nel novembre 2016.

Don Zerai è fondatore e presidente dell’agenzia di informazione Habeshia, ‘salvagente dei migranti’, e ha sempre offerto assistenza telefonica a chi si accinge a partire, avvertendo le autorità quando imbarcazioni che attraversano il mar Mediterraneo si trovano in difficoltà per organizzare il salvataggio.

Una prassi consolidata e del tutto legale che il sacerdote ha sempre seguito in mare fin da quando i migranti erano detenuti nella Libia del rais, il colonmello Gheddafi, e in terra quando lanciava l’allarme per i disgraziati che finivano nelle mani degli spietati predoni beduini trafficanti di organi nel deserto egiziano del Sinai:

“Prima ancora di informare le Ong dopo aver ricevuto le chiamate dei profughi in partenza dalla Libia ho ogni volta chiamato la centrale operativa della Guardia costiera italiana e il comando di quella maltese. Non ho mai avuto rapporti con la Iuventa (posta sotto sequestro dalla Procura trapanese) né, tantomeno, ho mai aderito a chat segrete e ho sempre comunicato attraverso il mio cellulare”.

Ma poi parte l’inchiesta con l’accusa di aver agito in complicità con quei trafficanti che lui ha sempre combattuto. E su di lui e la sua opera ha gravato questa cappa estremamente pesante. E’ stato colpito un simbolo scomodo, un prete africano che dall’Italia aiuta gli africani a raggiungere vivi le coste europee e poi a chiedere asilo.

In questi anni di attesa della giustizia il sacerdote eritreo nato nel 1975 all’Asmara e poi arrivato come rifugiato in Italia negli anni ‘90, ha subito una campagna denigratoria condotta da testate giornalistiche anti immigrazione, man mano più pesanti durante la campagna elettorale del 2018 e il governo gialloverde.

Senza contare gli attacchi condotti a ogni livello dal regime eritreo che non gli perdona l’aiuto a migliaia di profughi in fuga dal servizio militare a tempo indefinito e dalla repressione nel piccolo stato caserma del Corno d’Africa.

Nelle 653 pagine dell’informativa finale consegnata alla Procura di Trapani dalla polizia giudiziaria, nelle migliaia di pagine di intercettazioni telefoniche di attivisti e giornalisti, e dai documenti presentati dai magistrati al giudice per l’udienza preliminare, la tesi che emerge è che le tre ong siano colpevoli di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, un reato che punisce chi ‘promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato’, nel caso in cui queste persone non abbiano titolo per entrarci.

Secondo la procura, le ong si accordavano segretamente con i trafficanti di esseri umani in Libia e concordavano orario e luogo in cui farsi trovare per raccogliere i migranti che partivano dalle coste libiche a bordo delle proprie navi, sapendo che le persone in questione non avevano un regolare permesso per entrare in Italia.

Le 21 persone coinvolte fanno parte degli equipaggi delle navi approntate da Medici Senza Frontiere, Save the Children e Jugend Rettet attive nel Mediterraneo fra l’estate del 2016 e l’estate del 2017, cioè il periodo in cui si concentra l’indagine: sono persone che hanno guidato la nave o organizzato la missione, oppure che semplicemente si trovavano a bordo delle navi nei giorni di alcuni episodi giudicati particolarmente sospetti dalla procura.

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