Papa Francesco ha desiderio di andare in Ucraina

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Sabato scorso papa Francesco ha incontrato nel cortile di san Damaso del Palazzo Apostolico i piccoli partecipanti all’ottava edizione del ‘Treno dei bambini’, evento organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura nell’ambito dell’iniziativa denominata ‘Cortile dei Gentili’, che hanno rivolto alcune domande, come quella di Sachar, proveniente dalla Ucraina, che ha chiesto di un suo possibile viaggio in Ucraina:

“Sono contento che tu sia qui: io penso tanto ai bambini in Ucraina, e per questo ho inviato alcuni cardinali che aiutino lì e siano vicino a tutta la gente, ma soprattutto ai bambini. Io avrei voglia di andare in Ucraina; soltanto, devo aspettare il momento per farlo, sai?, perché non è facile prendere una decisione che può fare più del male a tutto il mondo che del bene. Devo cercare il momento giusto per farlo. Questa settimana prossima io riceverò rappresentanti del governo dell’Ucraina, che verranno a parlare e a parlare di una eventuale visita mia lì: vediamo cosa succede”.

Altre domande vertevano sulla responsabilità di essere papa: “Questo di sentire la responsabilità è una cosa che dobbiamo sentire tutti, ognuno di noi. Ognuno di noi ha la propria personalità e anche la propria responsabilità… E’ vero che è una responsabilità un po’ pesante, a volte, perché ti fa paura.

Ma io cerco di sentirla nel modo più naturale, perché se il Signore mi ha chiesto questo, è perché Lui mi darà la forza di non sbagliare, stare attento a non sbagliare. Sento la mia responsabilità come un servizio, come tu sentirai la tua come un servizio agli altri, alla tua famiglia, e quando ti sposerai, alla tua famiglia, a tutti”.

Mentre ai dirigenti della Confederazione ‘Federsanità’ papa Francesco ha sottolineato che gli ammalati non sono un ’costo’, invitando alla prossimità come antidoto all’autoreferenzialità: “Vedere nel paziente un altro me stesso spezza le catene dell’egoismo, fa cadere il piedistallo sul quale a volte siamo tentati di salire e spinge a riconoscerci fratelli, a prescindere dalla lingua, dalla provenienza geografica, dallo status sociale o dalla condizione di salute”.

Il papa ha sottolineato che la prossimità non fa distinzione di malati: “Farsi prossimi significa anche abbattere le distanze, fare in modo che non ci siano malati di ‘serie A’ e di ‘serie B’, mettere in circolo le energie e le risorse perché nessuno sia escluso dall’assistenza socio-sanitaria.

E da qui quello che la Presidente ha ricordato sulla sanità pubblica: quando un Paese perde questa ricchezza che è la sanità pubblica, incomincia a fare distinzioni tra la popolazione, coloro che hanno accesso, che possono avere sanità, a pagamento, e coloro che sono senza servizio sanitario. Per questo è una ricchezza vostra, qui in Italia, la sanità pubblica: non perderla, per favore, non perderla!”

Quindi è fondamentale l’integralità: “Se tutto è connesso, dobbiamo anche ripensare il concetto di salute in un’ottica integrale, che abbracci tutte le dimensioni della persona. Senza nulla togliere al valore delle competenze specifiche, curare un malato significa considerare non solo una certa sua patologia, ma la sua condizione psicologica, sociale, culturale e spirituale: il tutto. Quando Gesù guarisce qualcuno, oltre ad estirpare dal suo corpo il male fisico, gli restituisce la dignità, reintroducendolo nella società, dandogli una nuova vita”.

Il papa ha chiesto di ‘usare’ lo stesso approccio di Gesù: “Una visione olistica della cura contribuisce a contrastare la ‘cultura dello scarto’, che esclude quanti, per diversi motivi, non rispondono a certi canoni. E’ una cultura di oggi, così, dello scarto. Quello che non serve è fuori.

Usa e getta, a tutti i livelli. In una società che rischia di vedere i malati come un peso, un costo, occorre rimettere al centro ciò che non ha prezzo, non si compra e non si vende, cioè la dignità della persona. Le patologie possono segnare il corpo, confondere i pensieri, togliere le forze, ma non potranno mai annullare il valore della vita umana, che va tutelata sempre, dal concepimento alla fine naturale. Auspico che la ricerca e le varie professioni sanitarie abbiano sempre questo orizzonte”.

Il terzo antidoto, citando san Giuseppe Moscati, riguarda la salvaguardia del bene comune, soprattutto dopo l’esperienza della pandemia: “La pandemia ci ha insegnato che il ‘si salvi chi può’ si traduce rapidamente nel ‘tutti contro tutti’, allargando la forbice delle disuguaglianze e aumentando la conflittualità. Occorre invece lavorare perché tutti abbiano accesso alle cure, perché il sistema sanitario sia sostenuto e promosso, e perché continui ad essere gratuito. Tagliare le risorse per la sanità è un oltraggio all’umanità”.

(Foto: Santa Sede)

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