La testimonianza di Fabrizio Tirabassi alla 19ª udienza del processo penale vaticano sui fondi della Segreteria di Stato: “Io sono stato solo uno strumento”
Questa mattina, 31 maggio 2022 nel Tribunale dello Stato della Città del Vaticano è stata svolta la diciannovesima udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, con il secondo interrogatorio dell’ex funzionario dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi. Occasione, che il Promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi non ha perso per fare l’ennesima figuraccia, come titola il Faro di Roma, facendo riferimento nell’articolo [QUI] alla difesa di Tirabassi, che ha contestato il metodo utilizzato da Alessandro Diddì nell’interrogare gli imputati, citando il giurista Marco Felipe Perfetti che sul sito Silere non possum (nell’articolo che riportiamo di seguito) scrive: “L’avvocato romano non ha ben capito come funziona l’ordinamento vaticano e continua a fare domande non pertinenti. Oltre Tevere è divenuto lo zimbello di cardinali e vescovi che ridono (anche se ci sarebbe da piangere) nell’apprendere le figuracce che fa in aula”.
Ormai, abbiamo perso il conto e anche la speranza che “il Supremo” intervenga per far calare il sipario di questo epicedio accompagnato da danze come era il costume greco. Ma è pur vero che Spes ultima dea: si può sperare fino all’ultimo, secondo il mito greco della dea Speranza che resta tra gli uomini, a consolarli, anche quando tutti gli altri dei abbandonano la terra per l’Olimpo.
“Io sono stato solo uno strumento: il mandatario della Santa Sede a Londra era Gianluigi Torzi”, ha dichiarato Tirabassi, accusato dei reati di corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio. “In maniera repentina, autorizzato dal Cardinal Becciu, Mons. Alberto Perlasca spinse per questo affare”, ha affermato Tirabassi – secondo quanto ha riferito il pool di giornalisti accreditati ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani – nel corso dell’interrogatorio portato avanti dal Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, in merito alla vicenda dell’acquisto dell’immobile al numero 60 di Sloane Avenue a Londra.
Tirabassi ha spiegato che “fu Raffaele Mincione a proporre l’acquisto dell’immobile come opportuno investimento. Il Cardinale Becciu autorizzò ad andare avanti”. L’ex funzionario dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato ha poi aggiunto che “fu Enrico Crasso ad introdurre Raffaele Mincione per l’operazione, fatta poi attraverso il Credit Swisse”. Interrogato da Diddi sul motivo di un mutuo così elevato per l’acquisto dell’immobile di Sloan Avenue, Tirabassi ha risposto: “Era nell’autonomia del gestore”, cioè di Mincione. “Per parte mia – ha precisato – io consigliai a Mons. Perlasca di dare in mano tutta la situazione agli avvocati. Però in quel periodo la situazione era in evoluzione, c’era una combinazione favorevole con la Brexit, e questo attenuava i problemi. Il palazzo si era rivalutato. Perlasca di questo aspetto non parlò mai ai superiori”.
Il Promotore di Giustizia aggiunto ha fatto notare che sul fondo di Londra erano state richieste delucidazioni da parte del Prefetto della Segreteria per l’Economia, il Cardinale George Pell, e Tirabassi ha replicato che la Segreteria di Stato non era tenuta a sottoporre il dossier alla valutazione della Segreteria per l’Economia.
Varie volte, nel corso dell’interrogatorio, si sono registrati momenti di frizione tra le parti, con interventi del Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, per calmare gli animi e uno dei difensori di Tirabassi, l’Avvocato Massimo Bassi, ha denunciato la modalità di interrogatorio “alla pesca” e con domande non attinenti ai capi di imputazione.
“Con Mons. Perlasca – ha riferito infine Tirabassi – c’era un clima teso, volto a confondere le acque”. Riguardo alle mille azioni con diritto di voto in mano a Gianluigi Torzi, Tirabassi ha osservato: “Non ci rendemmo conto della diversità delle azioni: mi dissero che servivano Torzi come amministratore del Palazzo di Londra e anche come compenso. Mons. Perlasca ha firmato questo accordo”.
L’interrogatorio di Tirabassi non si è ancora concluso con l’udienza di oggi, ma continuerà il 6 giugno prossimo.
L’articolo Un ex funzionario vaticano descrive la frenesia per ribaltare l’accordo di Londra di Nicole Winfield pubblicato da The Associated Press – che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese – riferisce che l’ex funzionario Tirabassi ha testimoniato dei frenetici incontri del 2018 che la Segreteria di Stato aveva pensato avrebbero salvato il suo investimento di 350 milioni di euro nel palazzo di Sloane Avenue e che avrebbe arginato le sue perdite. Invece, i contratti negoziati e firmati in quei giorni finirono per cedere il controllo della proprietà londinese all’intermediario Torzi e fece perdere altri milioni alla Segreteria di Stato. L’AP rileva che la testimonianza di Fabrizio Tirabassi oggi ha descritto una tempesta perfetta di incompetenza, presunta criminalità e cieca fiducia nelle persone presentate come amici di Papa Francesco.
Inoltre, riportiamo le osservazioni sulla diciannovesima udienza pubblicate da Silere non possum e una nota di Marco Felipe Perfetti In realtà il neo card. Cantoni non può essere considerato un teste a carico di Becciu, ma Diddi non lo sa, pubblicata da Faro di Roma.
Repetita iuvant. Le cose ripetute giovano, come dicevano gli antichi Romani: la testimonianza dell’ex consulente finanziario della Segreteria di Stato di lunga data, Enrico Crasso, conferma quanto documentato in modo esaustivo dal Cardinale Angelo Becciu e dal suo collegio difensivo: “In Segreteria di Stato ho avuto rapporti solo e sempre con Perlasca e Tirabassi. Mai con il Sostituto Becciu!”.
Un ex funzionario descrive la frenesia per ribaltare l’accordo di Londra
di Nicole Winfield
The Associated Press, 31 maggio 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Un ex funzionario della Segreteria di Stato ha testimoniato oggi, martedì 31 maggio 2022, che era stato sotto una forte “pressione psicologica” per concludere un accordo sul travagliato investimento della Santa Sede in una proprietà londinese, ma che era entrato nelle trattative senza un avvocato e non si era reso conto che l’accordo non portava niente alla Santa Sede.
Fabrizio Tirabassi ha testimoniato per circa sette ore sui frenetici incontri a cui ha partecipato a Londra dal 20 al 22 novembre 2018 a cui la Santa Sede aveva pensato potesse salvare il suo investimento di 350 milioni di euro nell’ex magazzino di Harrod’s e arginare le perdite.
Invece, i contratti negoziati in quei giorni finirono per affidare il controllo della proprietà londinese a un intermediario italiano, Gianluigi Torzi, sconosciuto alla Santa Sede solo un mese prima, ma entrato perché raccomandato da conoscenti di Papa Francesco.
La tempesta perfetta di incompetenza, presunta criminalità e cieca fiducia nelle persone presentate come amici di Francesco sono al centro del grande processo per frode e appropriazione indebita del Vaticano. I pm vaticani hanno accusato 10 persone, tra cui Tirabassi, di aver derubato la Santa Sede di decine di milioni di euro, e Torzi di aver poi estorto alla Santa Sede 15 milioni di euro per ottenere la piena proprietà della proprietà. Tutti negano gli addebiti.
Tirabassi era il N. 2 dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, che gestiva un patrimonio di circa 600 milioni di euro, comprese le donazioni dei fedeli al Papa per beneficenza. A partire dal 2012 circa, l’ufficio ha deciso di diversificare il proprio portafoglio e di investire circa 200 milioni di euro in un fondo che, tra l’altro, stava investendo nel magazzino di Londra e trasformandolo in una proprietà residenziale di lusso.
Verso la fine del 2018 il fondo aveva perso 18 milioni di euro del denaro della Santa Sede e il Revisore generale della Santa Sede faceva domande: il Revisore aveva fissato una scadenza di fine anno alla Segreteria di Stato per spiegare l’affare e ribaltare la situazione. Tirabassi ha detto di sentirsi “psicologicamente sotto pressione” per trovare una via d’uscita.
Tirabassi e il suo capo, Mons. Alberto Perlasca, hanno lavorato con una gruppetto di uomini d’affari italiani, che sono stati presentati come aventi un “rapporto privilegiato con il Santo Padre”, ha detto Tirabassi, per trovare un modo per rilevare dal gestore del fondo, Raffaele Mincione, le quote dell’immobile di proprietà della Santa Sede.
Uno di quegli amici di Papa Francesco ha presentato Tirabassi a Torzi e, tra metà ottobre e metà novembre 2018, Torzi si è fatto avanti con una soluzione che era stata definita nei suoi uffici di Londra dal 20 al 22 novembre, ha detto Tirabassi.
Perlasca ha inviato Tirabassi e il consulente finanziario esterno di lunga data a Londra per elaborare i dettagli, ma una volta arrivati lì si sono resi conto di aver bisogno di un avvocato. Un sms letto in tribunale da Perlasca in quei giorni diceva che “saremmo in grossi guai” se il Revisore Generale scoprisse di aver stipulato una nuova serie di contratti sulla proprietà londinese senza la presenza di un avvocato.
Perlasca aveva rifiutato di spendere 160.000 sterline per un avvocato con conoscenza dell’affare, ha detto Tirabassi, e così hanno deciso di affidare i loro interessi all’avvocato di Torzi, pensando di essere dalla stessa parte.
L’accordo prevedeva che la Santa Sede detenesse 30.000 azioni dell’edificio in una delle holding di Torzi, Gutt, con Torzi che conservava 1.000 azioni. Ma Torzi stabiliva nel contratto firmato che le sue azioni avevano tutti i diritti di voto, il che significava che possedeva e controllava effettivamente l’edificio.
Tirabassi ha testimoniato di non essersi reso conto della “diversità delle azioni” in quel momento e ha detto che pensava che le 1.000 azioni di Torzi fossero necessarie per lui per gestire la proprietà e sarebbero servite come risarcimento se il la Santa Sede avesse mai venduto la proprietà.
Alla fine, la Santa Sede ha comprato per 15 milioni di euro le 1.000 azioni con diritto di voto di Torzi, fondamento dell’accusa di estorsione nei confronti di Torzi, che lui smentisce.
Tirabassi nel processo Sloane Avenue
Silere non possum, 31 maggio 2022
Diciannovesima udienza per il processo Sloane Avenue. Questa mattina oltre Tevere è stato interrogato, per la seconda volta, Fabrizio Tirabassi. Già nella prima parte dell’interrogatorio, l’ex dipendente della Santa Sede aveva chiarito l’ipotesi Mosquito e le iniziative di Enrico Crasso.
Momenti di tensione si sono registrati anche nell’udienza odierna, diverse volte è intervenuto il Presidente Giuseppe Pignatone. La difesa di Tirabassi ha contestato il metodo utilizzato da Alessandro Diddì nell’interrogare gli imputati. L’avvocato romano infatti non ha ben capito come funziona l’ordinamento vaticano e continua a fare domande non pertinenti. Oltre Tevere è divenuto lo zimbello di cardinali e vescovi che ridono (anche se ci sarebbe da piangere) nell’apprendere le figuracce che fa in aula. Oggi Tirabassi ha riferito al Collegio: “Io sono stato solo uno strumento: il mandatario della Santa Sede a Londra era Gianluigi Torzi”. Ha anche ribadito con convinzione che fu Perlasca a spingere per terminare l’affare e portarlo a compimento. L’ex dipendente della Santa Sede ha spiegato al Promotore di Giustizia che “fu Raffaele Mincione a proporre l’acquisto dell’immobile come opportuno investimento. Il cardinale Becciu autorizzò ad andare avanti”. In merito a chi introdusse Mincione, Tirabassi ha detto che “fu Enrico Crasso ad introdurre Raffaele Mincione per l’operazione, fatta poi attraverso il Credit Swisse”. Gli è stato anche chiesto per quale motivo fu fatto un mutuo così elevato per l’acquisto dell’immobile di Londra, “Era nell’autonomia del gestore”, cioè di Raffaele Mincione, ha risposto l’imputato.
“Per parte mia io consigliai a mons. Perlasca di dare in mano tutta la situazione agli avvocati. Però in quel periodo la situazione era in evoluzione, c’era una combinazione favorevole con la Brexit, e questo attenuava i problemi. Il palazzo si era rivalutato. Perlasca di questo aspetto non parlò mai ai superiori” ha spiegato. Anche Tirabassi ha confermato quanto sostenuto dal Cardinale Giovanni Angelo Becciu, ovvero che la Segreteria di Stato non era tenuta a sottoporre il dossier alla valutazione della Segreteria per l’Economia. Oggi è stato ribadito dall’interrogato che “Con Mons. Perlasca c’era un clima teso, volto a confondere le acque”. Questo a conferma del fatto che colui che si costituisce oggi parte civile è in realtà colui che ha reso possibile questo disastro finanziario. Quando gli è stato chiesto delle mille azioni con diritto di voto di Gianluigi Torzi, ha riferito: “Non ci rendemmo conto della diversità delle azioni: mi dissero che servivano Torzi come amministratore del Palazzo di Londra e anche come compenso. Mons. Perlasca ha firmato questo accordo”.
Non essendo terminato l’interrogatorio, Tirabassi sarà sentito anche il 6 giugno.
Pubblichiamo [QUI] l’ordinanza del Tribunale Vaticano che ammette la costituzione di parte civile di Mons. Alberto Perlasca solo nei confronti del Cardinale Angelo Becciu. Pur non concependo che Perlasca, il quale risulta dalle testimonianze il responsabile di questo affaire, si costituisca parte civile; non possiamo che condividere le argomentazioni della Corte che tiene a puntualizzare alcune questioni di diritto fondamentali nello S.C.V. Inutile sottolineare che la difesa del Cardinale Angelo Becciu avrebbe dovuto presentare in tempo l’opposizione e purtroppo non lo ha fatto. Già questo avrebbe permesso al tribunale di non tener conto delle argomentazioni fatte. Il tribunale però va oltre e smonta, a ragione, diverse argomentazioni. Lo abbiamo sempre detto e lo ripetiamo, è fondamentale conoscere l’ordinamento in cui si esercita, non si può pensare di difendere degli imputati senza avere cognizione della normativa procedura penale dello Stato in cui vengono processati.
In realtà il neo card. Cantoni non può essere considerato un teste a carico di Becciu, ma Diddi non lo sa
di Marco Felipe Perfetti
Faro di Roma, 31 maggio 2022
Con l’annuncio fatto da Papa Francesco domenica scorsa, con il quale ha reso noto il prossimo concistoro, si è avviata una campagna di “toto conclave” che cerca di tratteggiare i profili dei prossimi elettori. Fra i nomi italiani più discussi c’è quello di mons. Oscar Cantoni. Il vescovo di Como, infatti, ha un ruolo in diverse vicende giudiziarie Oltretevere. In merito a quella che vede coinvolto anche il cardinale Angelo Becciu, Oscar Cantoni è stato chiamato in causa da mons. Alberto Perlasca, punta di diamante di Alessandro Diddí, il promotore di giustizia aggiunto che di questo processo ha fatto una sua sfida personale (il che è sempre pericoloso).
L’ex capo ufficio dell’Amministrazione della Santa Sede, ha riferito con una lettera inviata “in spirito di leale collaborazione” ai Promotori di Giustizia, che il cardinale Becciu avrebbe fatto pressione sul suo vescovo diocesano per farlo ritrattare.
Per questo motivo al porporato viene contestato il reato di subornazione e Alberto Perlasca è stato ammesso anche come parte civile proprio per questo capo di imputazione. Ma realmente Becciu fece questa cosa? Dal racconto del monsignore comasco, il quale ovviamente è carico di livore nei confronti del suo ex superiore, troviamo una sua libera interpretazione di un fatto che tutto sembra tranne che subornazione. Si tratta di un colloquio privato che ha visto il cardinale Becciu, riferire ad un confratello, mons. Cantoni, che era addolorato per le falsità che Perlasca ha detto. Peraltro falsità che stanno emergendo chiaramente nel dibattimento, in un caso nel quale il coinvolgimento di Alberto Perlasca è tutt’altro che marginale. Addolorato è costretto a querelarlo per calunnia, null’altro. Se una persona è convinta della sua innocenza e della falsità delle accuse che gli vengono rivolte, è libero di contro querelare l’accusatore.
Per questo motivo non si comprende dove possa configurarsi la subornazione. Peraltro, non è possibile neppure sapere cosa ha riferito il Vescovo di Como al Promotore dì Giustizia. Il verbale di sommarie informazioni del 03 aprile 2021, pubblicato da Silere non possum non è utilizzabile si fini processuali in quanto il Promotore dì Giustizia ha compiuto atti fuori dalla sua giurisdizione, ovvero nella Repubblica Italiana. Dal verbale emerge che quella attività istruttoria fu compiuta dal professor Milano nel Palazzo vescovile di Como.
Poi si tratta di una affermazione laconica: “confermo integralmente i fatti e le circostanze riportate nella allegata lettera”, avrebbe detto Cantoni. Bisogna però domandarsi: cosa conferma Cantoni? Becciu gli parlò di questa vicenda? O “fece pressione per fare ritrattare Perlasca”? Sarà possibile saperlo solo a seguito della sua testimonianza in aula. Gli avvocati della difesa sono già pronti a contro interrogarlo.
* * *
La Rassegna Stampa sul “Caso Becciu” curata da Andrea Paganini [QUI] intende aiutare a farsi un’idea compiuta della vicenda, nella certezza che la verità ci renderà liberi. Tutti. La Rassegna Stampa offre ovviamente una scelta di ciò che è stato detto e scritto sull’argomento. I contributi – vagliati con discernimento dal curatore – propongono letture più o meno condivisibili (non necessariamente tutte concordanti). Il curatore spera invece di evitare articoli disonesti o calunniosi. Sempre nella convinzione della sacralità del principio della presunzione d’innocenza, che Papa Francesco ha definito «un diritto umano»; fino a prova contraria.