Sono certi silenzi a risultare assordanti

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«A distanza di tempo ci si continua a interrogare sui quaranta, lunghissimi secondi di silenzio di Francesco di fronte a una domanda dell’intervistatrice, nel corso dell’intervista per la trasmissione A sua immagine [Video QUI e testo QUI], su come vivere l’ora della morte di Nostro Signore. Perché il papa non ha parlato? Su quel silenzio innesta la sua riflessione Alessandro Sdaderini Busà nel contributo che gentilmente ci ha inviato», scrive l’amico e collega Aldo Maria Valli su Duc in altum oggi, 31 maggio 2022 [QUI]. Di seguito riporto il contributo di Sdaderini Busà, preceduto da una mia riflessione partendo da un episodio di dieci anni fa.

Infatti, questo episodio del silenzio di Papa Francesco di Venerdì Santo 2022, mi ha fatto ricordare un altro silenzio, quel silenzio dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti sulla disoccupazione giovanile nell’INTERVISTA A MONTI – I GIOVANI, nel corso del programma Piazza Pulita su La7 di giovedì 24 maggio 2012. Intervistato da Corrado Formigli sul futuro dei giovani in Italia, Monti rimane in silenzio per diciassette secondi [QUI] (al minuto 2 e 32 secondi). Feci un Tweet su questa intervista, lapidario, pensando anche a miei figli, emigrati per forza all’estero: «Una massa di parole a vuoto. Parte migliore è il primo minuto … un silenzio assordante». Questo mi costò un richiamo formale: «Oggetto: Tweet del Sig. Vik ri-twittato da altri come critiche al Primo Ministro… Caro Vik, mi permetto di segnalarti che forse bisogna fare attenzione. Anche se tu sei una persona privata con libertà di espressione, i colleghi giornalisti sanno benissimo che sei in servizio alla Sala Stampa della Santa Sede… Chi mi aiuta nel monitoraggio, mi ha segnalato questa situazione. Cordialmente». Risposi: «Lo terrò presente. Vik». La questione finì lì, nel silenzio sul Premier Monti. Avevo capito il messaggio, che mi fece capire la situazione: al Professor Monti non piace il contradditorio.

In televisioni certi silenzi valgono più di mille parole. Colpiva e fece discutere la reazione di Monti di fronte alla domanda postagli di Formigli. Dopo tante perifrasi del Professore sulla crisi, sui disavanzi strutturali e congiunturali, il giornalista di La7 portò all’attenzione del Primo Ministro alcuni problemi che riguardano direttamente i cittadini, ed in particolare le giovani generazioni. Così, ha chiesto a Monti: “A un suo figlio di vent’anni, laureato, che guadagna 5 euro l’ora in un call center con questi tipi di contratti, cosa direbbe? Vai via dall’Italia? O come lo convincerebbe a restare?”. Alla domanda di per sé nemmeno così spietata, Monti si è di colpo impietrito. Passano cinque, dieci interminabili secondi ma niente: il premier tace e fissa il vuoto. Il conduttore Formigli prova a rompere l’imbarazzo creatosi e imbecca: “È difficile?“. Solo allora, quando sono trascorsi ben diciassette secondi di silenzio – che in televisione sono un’infinità, figuriamoci se diventano quaranta secondi, come nel caso di Papa Francesco al termine dell’intervista di Venerdì Santo, 15 aprile 2022, di cui nell’articolo che condividiamo di seguito- Monti spiega: “È difficile, ma sto cercando le parole…“.

La mattina seguente, il programma Agorà di Andrea Vianello su Rai 3 è ritornato a riflettuto sulla reazione avuta dal Primo Ministro Monti nell’episodio su La7. E in effetti l’episodio in questione meritava alcune considerazioni soprattutto per quanto riguarda la comunicazione televisiva. Nella sua apparizione a Piazza Pulita, ancora una volta Monti aveva scelto una modalità di intervento che non lo esponesse al contraddittorio o a domande scomode. Il Prof. Monti stava tenendo un’altra delle sue lezioni, ed era bastato un riferimento al precariato e alla disoccupazione dei giovani per mandarlo in cortocircuito. L’incidente ha mostrato anche la differenza tra un tecnico e un tradizionale politico, abituato a rispondere a qualsiasi domanda, anche alla più compromettente. Mentre nei talk show tendono le parole a frastornare il pubblico, sono però certi silenzi a risultare assordanti [V.v.B.]

Quel silenzio di Francesco

Un mese e mezzo dal Venerdì Santo, la Pentecoste prossima a venire, e quel silenzio è ancora lì. Pesante come una pietra. E non come la pietra del Sepolcro, leggera alla Potenza che la fece rotolar via la domenica della Resurrezione. Non come il silenzio del Cristo nella Passione, che tutto sublimò: risposta alle infamie del Sinedrio e a Pilato, sopportazione nella flagellazione e sulla via del Golgota, misericordia fra gli scherni della folla ed il sarcasmo dei sacerdoti. Crescendo lirico, inno, sinfonia, quel divino silenzio. Tutt’altro che il tentennamento o il terrore che la nostra natura conosce nel momento delle sofferenze, ma piuttosto sintesi di verità e sapienza. Risposta ultima, ultima lezione del Maestro. Il Verbo fatto carne, così, operava, a fronte dell’insensatezza umana, quello svuotamento del linguaggio terreno, propedeutico al più intimo dialogo col Padre e all’adesione totale alla Sua Volontà. Qui, invece, parliamo di un silenzio differente. Di un silenzio che sapienza non è, in quanto nulla spiega. Di un silenzio che non è verità, in quanto la bypassa. Silenzio che non va incontro al prossimo, e semmai lo abbandona. Silenzio che confonde chi ascolta, e perfino può turbare. Il silenzio di Francesco.

Non avevo seguito la sua intervista in onda su Rai 1, per la puntata di A sua immagine della Settimana Santa 2022. Vedendola solo più tardi, ho pensato non potesse trattarsi di cosa realistica. Ovvero, ho temuto ci si volesse far beffa del Cattolicesimo nella figura del vescovo di Roma, proprio nei giorni liturgicamente più importanti. Reputavo che qualcuno avesse eseguito, tagliando via ad hoc il necessario, uno di quei montaggi per manipolare un video da far diventare virale, così da intrappolare l’illustre ospite nel laccio del risibile. Verificando in rete, però, tutto corrispondeva, purtroppo, alla realtà di quanto effettivamente era stato registrato in Vaticano. Un’intervista, quella di venerdì 15 aprile, che, col titolo La Speranza sotto assedio, partiva nel segno dell’Ucraina invasa dai russi, ergendo i “corpi senza vita sulla strada”, i “forni crematori ambulanti”, “stupri, devastazioni, barbarie”, a emblema su larga scala di quanto avvenuto con la Crocefissione della Vittima per eccellenza, dell’Innocente per antonomasia, del Cristo, il Figlio del Dio vivente. Tematiche quali la guerra, la violenza sulle donne, i rifugiati, lo sfruttamento dei lavoratori, eccetera, l’inevitabile esito dei quesiti lanciati, domande di questo mondo in cerca di risposte altrettanto mondane. Forse un poco a senso unico oltreché in controtendenza evangelica, se le parole del Messia al tentatore diabolico restano “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Infine, l’intervistatrice, la cui mimica tradiva l’emozione di una liceale, giungeva alla domanda conclusiva che, trattandosi di un Venerdì Santo, aveva l’obbligo di rappresentare il senso e la summa della conversazione intera.

“Santità, sono quasi le tre” chiedeva dunque la Bianchetti. “Come dobbiamo vivere questo orario, oggi?”

La telecamera passava a inquadrare Francesco. Indugiava su di lui. Erano attimi interminabili. Il suo sguardo andava avanti e tornava indietro, fissandosi nel basso. Francesco non parlava. Lo spettatore doveva pensare stesse meditando le parole più esatte, e che da un istante all’altro sarebbe seguita la risposta. A ognuno il suo, non ci si attende da Bergoglio il fulgore speculativo di un Tommaso d’Aquino o la sintesi moderna di un Fulton Sheen. Qualcosa, però, era bene che egli pur la dicesse. Invece continuava a non parlare. La telecamera stringeva su di lui, piano, discretamente, postulante. Quaranta secondi così, finché Francesco non chiudeva la questione con un sorriso di circostanza imbarazzato e imbarazzante, per lui e per noi. Quasi un minuto di silenzio che, se anche fosse stato di raccoglimento, sarebbe andato bene su un campo da calcio, non in risposta a una domanda posta, non dalla Cattedra di san Pietro. E dopo tanto svolazzare nel vuoto, alla risposta mancata non restava che precipitare. Il dialogo fra i due, la guida spirituale e la fedele, il pastore e la pecorella, si perdeva. Anzi, si ribaltava. Allora il carico emotivo virava drasticamente da lei a lui, e si aveva come l’impressione di riconoscere, in quello sguardo incerto o – perfino – perduto di Francesco, lo scolaro interrogato dalla professoressa, l’allievo che fa scena muta, poiché non conosce le risposte. E rischiava di cadere perfino l’idea che potesse attribuirglisi l’autorità del successore di Pietro. Così come, guardando al Biden che stringe mani nel vuoto, che si rivolge a interlocutori invisibili, che si inceppa nel mezzo dei discorsi, sorgono leciti dubbi se chiamarlo oppure no presidente degli Stati Uniti. Un finale lugubre, ma non perché accadeva nella riproposizione del Venerdì più tragico della storia dell’uomo. Qualcosa di mai visto, di infelice e di strano, anche solo televisivamente parlando, il modo con cui si chiudeva quest’intervista. Per definire il senso di straniamento, stupore, rammarico, che – a giudizio di chi scrive – ne scaturiva, non sarebbe esagerato ricorrere a quel neologismo in voga oggi, ghosting. Vale a dire la scomparsa repentina dell’altro, la fuga da ogni rapporto, dialogo, contatto, fra una delle due parti nella relazione affettiva. Perché, indubbiamente, di relazione di affetti trattasi, ciò che intercorre fra il rappresentante di una religione e la schiera dei fedeli.

Tutt’altra natura muoveva “la scomparsa” del Figlio di Dio avvenuta, sotto gli occhi degli apostoli, nell’Ascensione celebrata domenica scorsa, preludio e porta d’ingresso per l’azione dello Spirito Santo, non certo abbandono o ritirata: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”. Né la risposta della Bianchetti che sui titoli di coda ringraziava Francesco, abbracciandolo “a nome di tutti”, poteva ripristinare la normalità, oramai perduta, con quel vuoto spaventoso. A meno che nell’abbraccio inteso dall’intervistatrice non intendessimo il perdono da parte di tutti noi, all’antitesi dei consolati, delusi e in qualche modo traditi. In quanto attendevamo risposte, eppure assistevamo a come il vertice della Chiesa di Roma venisse meno al suo ruolo di “confermare i fratelli nella fede”, scomparendo dai radar. Ammutoliti, di riflesso, noi cattolici – anche perché pericolosamente assuefatti alla stravaganza del nostro tempo – interpretazioni e commenti giunti al riguardo, sui social e sui media, mostravano altra chiave di lettura. Quella della narrativa mainstream ferrata nel capovolgere l’anomalo col normale, la pienezza col vuoto, la bellezza col brutto, capace di trovare nel “non detto bergogliano” ragioni per commuoversi e pregnanza di significato. Punti di vista, che se rivelavano una matrice intellettualmente formata sul radical sciocchismo, sarebbero magari più adatti a esprimersi su certe pellicole o installazioni da lido di Venezia, quanto su temi religiosi in sede romana. Cos’era dunque, davvero, quel non voler o poter dire di Francesco sull’ora del Sacrificio di Gesù, nessuno sa.

Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi.

Un mese e mezzo dal Venerdì Santo, la Pentecoste prossima a venire, e quel silenzio è ancora lì. Pesante come una pietra tombale sulla bocca di Francesco. E pregheremo affinché, come lo Spirito Santo poté fare, nel Cenacolo, di quei pescatori pavidi degli eroi senza paura, del vescovo vestito di bianco, in Vaticano, possa forse fare un Papa.

Alessandro Sdaterini Busà
Duc in altum

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