L’Italia è “ostile” alla NATO. Se ne accorgono anche gli inglesi. Zelensky e i “Panama Papers”: la scarsa memoria dei giornali…

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Condividiamo di seguiti due articoli su alcune retroscena della guerra in Ucraina. Il prima L’Italia è “ostile” alla NATO. Se ne accorgono anche gli inglesi di Andrea Sartori su Visionetv.it: «Gli Inglesi se la prendono con gli Italiani “ostili alla Nato”, dipingendoli come cavernicoli e accusandoli di filoputinismo. Non sarà che invece gli Italiani hanno capito?». Il secondo Zelensky e i “Panama Papers”: la scarsa memoria dei giornali… di C.A. Mauceri su Scenarieconomici.it: «Dato che si parla, giustamente, spesso delle malefatte dei vertici russi, ricordiamo qualcosa anche di ciò che ha fatto l’altra parte. Perché non c’è bisogno di tifosi, ma di persone informate». In aggiunta: Esportazioni di grano e russofobia: la fake news del Corriere della Sera di Francesco Santoianni su L’AntiDiplomatico.it.

L’Italia è “ostile” alla NATO. Se ne accorgono anche gli inglesi
di Andrea Sartori
Visionetv.it, 24 maggio 2022


“Italy’s hostility to NATO is building” (L’ostilità italiana alla NATO si sta strutturando). L’ articolo, con una bella caricatura di Matteo Salvini rappresentato come un cavernicolo (se sei contro la NATO sei un troglodita, retorica vecchia), è apparso su The Spectator, noto giornale inglese, a firma di Nicholas Farrell.

E cosa ci dice Farrell. Ci parla della “non santa alleanza” tra l’”estrema destra” di Matteo Salvini e “l’estrema sinistra” di Giuseppe Conte in chiave anti-NATO. Salvini viene presentato come “uno dei più forti sostenitori di Vladimir Putin fuori dalla Russia” che si sarebbe improvvisamente scoperto pacifista e Giuseppe Conte “un pezzo del vecchio apparato comunista” (ma dove?).

Ma non è questa discutibile analisi politica ciò che interessa davvero. The Spectator parla anche della crescente ostilità della popolazione italiana verso la NATO. E giustamente fa notare come la convergenza tra Salvini e Conte sulla questione ucraina sia popolare “non solo fra gli estremisti”. La NATO è risultata bocciata a livello popolare anche in sondaggi apparsi su media allineatissimi [QUI]. The Spectator se la prende persino con Draghi, definito (giustamente, in questo caso) “unelected president” per aver solo osato dire a Biden che l’Europa vuole la pace.

Cosa è accaduto?

Secondo l’articolista britannico è colpa della mitologica “disinformazione russa” e si punta il dito verso un’Italia che osa, orrore orrore, intervistare Lavrov. Ma se tutto fosse andato bene la mitica “disinformatja” non avrebbe attecchito, come non attecchì più di tanto durante la Guerra Fredda, quando in Italia c’era il più grande e potente Partito Comunista d’Occidente che, grazie ai finanziamenti di Mosca, teneva in mano con guanto di ferro editoria, mondo della cultura, cinema e università. All’epoca la maggior parte delle persone persino tra i comunisti preferiva “l’ombrello della NATO” per parafrasare Berlinguer. E comunque tra i non comunisti nessuno metteva in discussione l’Alleanza Atlantica, nemmeno i missini eredi del fascismo.

La NATO all’epoca era realmente vista come uno scudo difensivo contro un’URSS potenzialmente aggressiva e portatrice di un’ideologia che spaventava molti. Dopo il 1989 tante cose sono cambiate. La Russia non è più comunista, ha libertà d’impresa privata, non incarcera e non tortura più i religiosi, non vuole più esportare la rivoluzione e cercava anzi di fare affari con l’Occidente. Dall’altra parte la NATO è lei diventata aggressiva e ideologica, e guerrafondaia. Questo oramai è chiarissimo all’Italiano medio, anche non estremista come dice The Spectator.

E poi sicuramente c’è il fatto che abbiamo “perso la verginità”, non siamo più ingenui. Fino alle Primavere Arabe siamo fondamentalmente cascati nella narrazione dei ribelli buoni contro il dittatore cattivo. Dopo l’esito disastroso delle rivoluzioni mediorientali e la guerra della NATO in Libia, il velo di Maya è stato squarciato e non crediamo più alle favole.

“Nelle subdole parole di Papa Francesco, l’Occidente ha provocato la Russia ‘abbaiando’ alla sua porta. Non importa che la Nato sia un’alleanza difensiva, non offensiva, a cui gli ex paesi comunisti hanno cercato disperatamente di aderire perché terrorizzati dall’invasione della Russia”.

Bastano queste parole dell’articolista per smontare tutta la retorica anglosassone. Qua Farrell se la piglia col Papa dipinto come un volpone, nel classico stereotipo del prete untuoso. Nulla di nuovo, la caduta del muro di Berlino sancì il divorzio tra Vaticano e USA, con un Giovanni Paolo II sempre più critico sulle varie guerre della NATO e i media statunitensi e britannici sempre più furiosamente anticattolici. Ma la favola dell’alleanza solo difensiva poteva giusto funzionare sino al 1989. Anche su quell’insistere sui Paesi “ex comunisti” che temono la Russia. Di grazia, anche la Russia è un Paese “ex comunista”.

Ecco, un Italiano medio più informato di quel che si creda oramai non ci casca più. Negli ultimi anni abbiamo capito che la narrazione semplicistica che ci veniva proposta non teneva conto di grandi complessità. Oggi abbiamo capito che non tutti i regimi arabi sono islamisti e che anzi gli Americani hanno attaccato proprio quei regimi laici che facevano la guerra ad al Qaeda. Così come sappiamo che la Russia non è l’URSS e Putin on è Stalin.

Le “subdole parole di Papa Francesco” in realtà nascondo quel che ogni Italiano ha compreso sin dai bombardamenti su Belgrado: che se mai la NATO è stata un’alleanza difensiva, quel tempo è finito e ora è diventata un’alleanza aggressiva che ha lo scopo di distruggere la Russia. Sono anni che si è compreso l’atteggiamento provocatorio e aggressivo della NATO. E questo fenomeno è assolutamente trasversale, e comprende sia il vecchio nostalgico comunista sia molti ex filoamericani.

La disinformazione russa non c’entra. Che la NATO sia diventata aggressiva e guerrafondaia è un dato di fatto. Ed è vero, l’ostilità italiana cresce, anche per il timore di una guerra in casa col suo corollario di morte e distruzione, anche per il timore di conseguenze terribili, come il taglio del gas e delle forniture di grano, oltre che per la perdita di un gigantesco volume di affari. Il tutto aggravato da un razzismo antirusso sconosciuto ai tempi della Guerra Fredda.

No, non è la disinformazione russa. È proprio l’essersi informati che ha costituito il fronte anti-NATO.

Zelensky e i “Panama Papers”: la scarsa memoria dei giornali…
di C.A. Mauceri
Scenarieconomici.it, 24 maggio 2022


L’attenzione di tutti ormai è rivolta solo sul conflitto tra Russia e Ucraina (dopo che a vantare il titolo di “notizia del giorno” è stata la pandemia – ora non se ne parla quasi più – come se tutto fosse finito). Diciamolo subito: attaccare uno stato sovrano, iniziare una guerra non è MAI la scelta giusta. Se non altro perché, come insegna la storia, a pagare il prezzo più alto delle guerre non sono mai i leader, i piani alti del potere: sono sempre i più deboli. Da una parte e dall’altra.

I “capi”, i cosiddetti “leader”, quasi mai pagano per le loro colpe. Al massimo escono di scena e vanno a cullarsi in qualche paradiso fiscale con i soldi che hanno accumulato in modi non sempre chiari e trasparenti.

Tutte le guerre sono accompagnate da valanghe di falsità diffuse sui media e da verità taciute. La guerra in corso in Ucraina non è diversa. Ogni giorno i media riversano in rete fiumi di immagini della guerra a senso unico. Da parte dei media e dei governi è ferma la condanna del leader russo Putin (lo ripetiamo: attaccare un altro Paese e iniziare una guerra è sempre una scelta sbagliata). Dall’altro lato, però, osannare in modo stucchevole e ripetitivo il Presidente ucraino Zelensky in primo piano dovunque e dappertutto potrebbe non bastare più. Dopo oltre due mesi di conflitti, però, pare che la sua maglietta verde e le sue continue richieste di armi e soldi (e i suoi rifiuti di qualsiasi accordo) abbiano un stancato il pubblico. E allora, ecco scendere in campo la moglie. Presentata dai giornali come una santa, come la “prima donna” vittima della guerra.

Eppure su di lei ci sarebbe tanto da dire. Di lei i giornali avevano già parlato. E non durante la guerra: prima.

Alcuni anni fa, Pandora Papers, un’inchiesta giornalistica condotta da centinaia di giornalisti investigativi in centinaia di Paesi del mondo (in Italia, collaborò il gruppo L’Espresso/la Repubblica) fece emergere la prassi diffusa di personaggi famosi di portare i propri soldi in paradisi fiscali. Tra i politici di primissimo piano coinvolti c’era anche il nome del Presidente ucraino Zelensky. Alcuni documenti dimostrerebbero che Zelensky (e i suoi amici della società di produzione televisiva, Kvartal 95), già nel 2012, avrebbero utilizzato una rete di società offshore con sede nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e in Belize. A ricoprire un ruolo chiave in tutta quella sporca vicenda proprio la moglie del leader ucraino. Al centro delle indagini dei giornalisti, una società, la Maltex, divisa equamente tra società di comodo riconducibili a Zelensky e a persone a lui vicine. Secondo i giornalisti investigativi, Zelensky, insieme alla moglie (la stessa che ora viene presentata come la prima vittima innocente del conflitto in Ucraina), possedeva un quarto di Maltex attraverso una società registrata in Belize chiamata Film Heritage. Nel 2019, nel pieno della campagna elettorale di Zelensky, Film Heritage trasferì la proprietà di Maltex a un’altra società, di proprietà di Serhiy Shefir, futuro assistente capo del futuro Presidente ucraino. I documenti di trasferimento, preparati da un avvocato, Iurii Azarov, pare prevedessero che Maltex avrebbe continuato a pagare dividendi alla Film Heritage anche se non possedeva più alcuna partecipazione nella società (?). Dal 2019, secondo il registro online delle dichiarazioni patrimoniali dei funzionari, la moglie di Zelensky, Olena Zelenska, è l’unica titolare effettiva di Film Heritage, il che significa che tutti i pagamenti successivi sarebbero andati a lei. Alla persona che ora viene riportata affranta sulle prime pagine dei giornali per non aver visto il proprio marito per due mesi se non in video conferenza (in pratica, che fanno tutte le mogli i cui mariti imbarcati su navi commerciali o da crociera o al lavoro sulle piattaforme o all’estero mandare un pezzo di pane a casa).

Stranamente, di tutto questo, i giornali che hanno pubblicato le foto della first lady ucraina distrutta e dispiaciuta non hanno parlato. Così come non hanno detto che Zelensky avrebbe dimenticato di menzionare la Maltex nelle sue dichiarazioni patrimoniali pubbliche, inclusa quella presentata per il 2018, quando possedeva ancora il 25% della società. I documenti nei Pandora Papers contengono dettagli che combaciano con accuse più ampie di macchinazioni offshore mosse contro Zelensky e i suoi partner durante le elezioni del 2019. Ma anche di questo nessuno pare voler parlare quando citano l’“eroe” ucraino.

Durante quella campagna elettorale (in tempi ben lontani dall’invasione da parte della Russia), un membro del Parlamento ucraino della fazione opposta a quella di Zelensky, accusò lui e i suoi partner di essere beneficiari di una rete offshore di società che hanno ricevuto $41 milioni di pagamenti provenienti da Privatbank, l’istituto finanziario ucraino che l’oligarca Kolomoisky avrebbe saccheggiato. Lo fece presentando un grafico (finito anche su Facebook) che mostra la complessa rete di transazioni tra strati di società con sede in paradisi offshore tra cui BVI, Cipro e Belize. Il grafico mostrava che il denaro scorreva dalla banca attraverso una serie di apparenti entità di copertura a società che si presume fossero di proprietà di Zelensky. La conferma che questa era la verità venne ancora dai Pandora Papers: almeno 10 delle società che avrebbero ricevuto il denaro sarebbero appartenute a Zelensky e ai suoi partner.

Nel 2019, per mostrare di essere “pulito”, Zelensky nominò procuratore del paese Ruslan Ryaboshapka. Fu rimosso dall’incarico all’inizio del 2020 dopo aver dichiarato all’OCCRP che “un presidente non dovrebbe possedere società offshore. In generale, le società offshore sono cattive, indipendentemente dal fatto che siano di proprietà di un presidente o meno”. Secondo Ryaboshapka, il trasferimento di denaro offshore “una vecchia tradizione” in Ucraina, perché il Paese era percepito come un luogo pericoloso senza “stato di diritto”. Tuttavia, l’uso di tali società oggi solleva bandiere rosse di “evasione fiscale o legalizzazione del denaro sporco”.

Secondo Forbes, l’affranta Olena Zelenska e il marito avrebbero un conto bancario con circa 2 milioni di dollari (tra contanti e titoli di stato), auto e gioielli per un milione, e immobili che, sempre secondo Forbes, varrebbe circa 4 milioni di dollari. Non male per chi governa uno dei paesi più poveri d’Europa e del mondo. Secondo quanto riportato, a febbraio 2021 (vale a dire prima della guerra), dalla Vicepresidente della Verkhovna Rada, Elena Kondratyuk, il livello di povertà in Ucraina era circa il 50%: erano circa 19 milioni i poveri. Già nel 2019, il rapporto annuale di Bloomberg metteva l’Ucraina era nella classifica delle prime 10 economie “più misere” del mondo, sulla base della disoccupazione e dell’inflazione. 8 pensionati su 10 vivevano al di sotto della soglia di povertà molti ucraini dovevano lottare per sopravvivere: un pensionato con una pensione equivalente a circa trenta euro al mese doveva spenderne un terzo per comprare il pane. Anche l’ex Ministro dell’Economia ucraino Viktor Suslov aveva dichiarato che 9 cittadini su 10 rischiano nel futuro di andare sotto la soglia di povertà: “…L’Ucraina è sull’orlo di una grave crisi socio-politica a causa dell’impoverimento della sua popolazione…Una grave crisi ci attende. Colpirà non solo il settore finanziario, ma anche quello socio-politico… Ciò è causato dall’impoverimento della popolazione. Abbiamo il 90% della popolazione, che sarà presto al di sotto della soglia di povertà, e avremo il 10% di persone abbastanza ricche…Affronteremo una grave crisi socio-politica e ci sarà un’ulteriore crisi di stratificazione sociale”.

Ma tutto questo non riguardava il presidente e la gentile consorte. Quella che ora alcuni media presentano affranta e dispiaciuta, nascosta nella residenza di lusso in cui si è rifugiata.

Visto che la possibilità di far entrare l’Ucraina tra i paesi NATO, alcuni hanno pensato come soluzione alternativa di annetterla rapidamente all’Unione Europea. Ancora una volta una forzatura che non terrebbe conto dei fatti reali: non più tardi di settembre dello scorso anno, la Corte dei conti dell’UE ha pubblicato un documento nel quale affermava che “la grande corruzione e la cattura dello Stato” sono ancora diffuse in Ucraina [QUI]. E che “di fatto, gli aiuti dell’UE avevano portato solo pochi risultati”. In tutti in settori. Anche dal punto di vista giudiziario dove “il sostegno dell’UE alla riforma giudiziaria non ha prodotto risultati sufficienti” e “i progetti dell’UE e l’assistenza allo sviluppo delle capacità hanno contribuito a riformulare la Costituzione ucraina”, “ma questi risultati sono costantemente a rischio, con numerosi tentativi di bypassare leggi e annacquare le riforme”.  Un sistema dove la corruzione impera: “Le principali istituzioni anticorruzione che l’UE ha contribuito a creare stanno ancora lottando per far sentire la loro presenza”. Anzi, secondo la Corte dei Conti europea, lo stesso Ufficio nazionale anticorruzione “è costantemente minacciato”. In pochi mesi tutti questi giudizi, tutti questi fatti (e misfatti) sono finiti nel dimenticatoio.

Viene da domandarsi se, invece di chiedere “armi e armi e armi” (come ha fatto un delegato del governo alla NATO) e fare apparizioni in tutti gli eventi mediatici del pianeta, per i leader ucraini non sarebbe stato meglio chiedere pane per le decine di milioni di concittadini che muoiono di fame.

Esportazioni di grano e russofobia: la fake news del Corriere della Sera
di Francesco Santoianni
L’AntiDiplomatico, 24 maggio 2022


Ma davvero, come riporta Il Corriere della Sera «La flotta russa impedisce (…) le esportazioni di grano e altri prodotti agricoli, soffocando l’economia ucraina, ma soprattutto rischiando di provocare una crisi alimentare globale che si ripercuoterà in particolare sui Paesi più poveri»?
La verità è che, ai primi del marzo di quest’anno, l’Ucraina ha minato il mare prospicente i porti di Kherson, Nikolaev, Chernomorsk, Ochakov, Odessa, Yuzhniy e Mariupol vietando alle navi commerciali di numerosi paesi lì ormeggiate di potere prendere il largo. Dapprima per “motivi di sicurezza”; poi – dopo che, a metà marzo, i russi hanno realizzato un sicuro corridoio di transito, sminando un lungo tratto di mare – vietandolo e basta. Perché? Secondo la stampa della Turchia (sono ben 21 le navi turche cariche di grano bloccate nei porti ucraini) per utilizzare gli equipaggi delle navi bloccate come scudi umani.
Intanto, il 28 aprile, la Commissione Trasporti dell’Unione Europea ha chiesto di intensificare l’embargo alle navi commerciali russe (che già non possono attraccare nei porti dell’Unione Europea) impedendo a queste di varcare lo stretto dei Dardanelli. Unica ipocrita eccezione “a meno che non trasportino aiuti umanitari”, cioè facendo rientrare nell’embargo il grano russo che, da anni, viene acquistato da Paesi, altrimenti alla fame come Egitto Libano, Tunisia, Bangladesh, Siria…
A rendere surreale la situazione, il 21 maggio, l’insensata proposta di Dmytro Kuleba, Ministro degli Esteri di Kiev: teniamo bloccati i porti nel mare di Azov e trasportiamo (nei suddetti Paesi) 20 milioni di tonnellate di grano ucraino via ferrovia o via strada. Peccato che ci vorrebbero decenni.

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