Il Cardinal Zen e la diplomazia fluida di Papa Francesco

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La notizia dell’arresto del Cardinale Joseph Zen l’11 maggio [QUI] è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Il cardinale è stato accusato da Pechino di collusione con forze straniere e arrestato insieme ad altre tre persone, che gestivano un fondo per fornire le spese legali per le persone detenute dalle proteste del 2019.

L’arresto è parso subito una dimostrazione di forza dell’ex capo della polizia John Lee, nominato pochi giorni fa governatore di Hong Kong. Ma è anche un forte segnale che – dopo tutto – il motto “uno stato, due sistemi”, che la Cina ha affermato che avrebbe applicato quando Hong Kong fosse tornata al suo controllo, non è qualcosa che possono tollerare a Pechino e nei suoi dintorni.

Soprattutto, l’arresto appare come un duro colpo alle trattative in corso per il possibile rinnovo dell’accordo tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi. O forse, era semplicemente un avvertimento: in Cina non cambierà nulla, nemmeno con l’accordo.

Proprio il fatto che il Cardinal Zen fosse addirittura preso in considerazione per un arresto, la dice lunga su come viene percepita la Santa Sede nel Paese del Drago Rosso. Il Cardinal Zen è considerato parte della vecchia guardia, un avversario che non ha molta influenza su Roma e il cui arresto, quindi, non avrebbe generato problemi diplomatici.

Dopo l’arresto, la Santa Sede ha fatto sapere di seguire da vicino l’evolversi degli eventi. Naturalmente, non essendoci relazioni diplomatiche, è difficile ricorrere a risposte diplomatiche. A volte, però, dichiarazioni di un certo tipo, come la protesta resa pubblica dalla Segreteria di Stato per l’espulsione del Nunzio Apostolico in Nicaragua qualche tempo fa, manderebbero almeno un segnale forte.

In situazioni come questa, la “diplomazia fluida” di Papa Francesco mostra tutte le sue debolezze. Papa Francesco punta più sulle relazioni personali che sull’attività diplomatica istituzionale. Per lui è fondamentale aprire processi, anche se possono essere dolorosi. L’accordo con la Cina per la nomina dei vescovi è stato uno di questi processi.

L’accordo è stato firmato nel 2018 e confermato ad experimentum per altri due anni nel 2020. I termini dell’accordo non sono noti. Tuttavia, è stato ipotizzato che la Santa Sede si impegni insieme al governo a rivedere i candidati all’episcopato fino a quando il Papa non nomina un vescovo che è il benvenuto anche a Pechino. Tuttavia, nell’accordo sarebbe preservata la completa autonomia del Papa nella scelta dei vescovi.

Il Cardinal Zen era stato sacrificato proprio sull’altare di questo patto. Il Vescovo emerito di Hong Kong si è sempre opposto all’idea di accordi con la Cina, rilevando le continue violazioni della libertà religiosa da parte di Pechino. Nell’ottobre 2020, era stato persino a Roma, alla ricerca insistente di un incontro con Papa Francesco. Il Papa non lo ricevette. Ebbe invece solo un breve incontro con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità.

Nell’ottobre 2019, Papa Francesco ha inviato un telegramma a Hong Kong mentre sorvolava il suo territorio per raggiungere il Giappone [QUI]. Aveva minimizzato il telegramma sul volo di ritorno, dicendo che era un telegramma di cortesia inviato a tutti gli Stati. Questo erano commenti in parte fuorvianti, perché Hong Kong non è uno Stato, ma è stato apprezzato da Pechino, tanto che il Ministro degli Esteri Geng Shuang aveva sottolineato che “la Cina apprezza l’amicizia e la gentilezza” del Papa.

Non solo. Papa Francesco aveva sorvolato la Cina e Taiwan nel suo itinerario verso il Giappone. La Cina era stata accolta come una “nazione” nel telegramma inviato a Pechino. Allo stesso tempo, i saluti a Taipei sono stati rivolti al “popolo di Taiwan”, anche se la Nunziatura di Taipei è significativamente chiamata Nunziatura in Cina.

Nel luglio 2020, Papa Francesco aveva anche deciso di omettere un accenno ad Hong Kong al termine dell’Angelus, in un momento delicato in cui si stava rinnovando l’accordo.

Erano tutti segnali chiari per la Cina, che l’ha apprezzato. L’accordo era stato rinnovato così com’era. Ma l’accordo non ha portato grandi risultati concreti. Al di là del fatto che tutti i vescovi della Cina sono ormai considerati in comunione con il Papa, ci sono state, negli ultimi quattro anni, solo sei nomine di vescovi nell’ambito dell’accordo, due delle quali però erano già state previste prima dell’accordo con la Cina.

Non è un caso, che anche il Cardinal Segretario di Stato Parolin abbia fatto sapere che “spera” di cambiare l’accordo [QUI]. Ma l’ostacolo principale sembra essere il Papa, che vuole mantenere l’accordo e che vuole che l’accordo si rinnovi così com’è.

È la diplomazia fluida di Papa Francesco. Nell’incontro a porte chiuse con i Nunzi del giugno 2019 (ogni tre anni, il prossimo sarà a settembre di quest’anno) si è discusso anche dell’accordo, e il Papa aveva superato ogni criticità dicendo di voler “processi aperti” e che “ama la Cina”.

Ma è una sorta di diplomazia fluida, che ne svela i limiti. Se nemmeno un cardinale è considerato nella sua dignità e formalmente difeso dalla Santa Sede, cosa valgono gli accordi?

Certo, in passato, si è parlato spesso dell’abbandono della diplomazia della Santa Sede, dei vescovi che erano oltre la cortina di ferro [QUI], e da lì provengono tutte le critiche all’Ostpolitik della Santa Sede. Ma uno sguardo più attento ci mostra che la Santa Sede ha difeso i suoi vescovi, ha inviato note dure e ha cercato un dialogo, proprio per salvare i sacerdoti nella zona.

Si potrebbe dire che nulla è diverso dall’esperienza della Cina di oggi. Ciò che è diverso è il Papa, che, avendo bisogno di aprire processi ad ogni costo, lascia da parte ogni ragionamento istituzionale e diplomatico.

Succede con la Cina, e oggi con lo scenario ucraino [QUI], dove l’approccio fluido ha portato a rendere infelici gli Ucraini e a non avere risultati in termini di dialogo con la Russia. Al di là della volontà del Papa di parlare con l’aggressore russo (dalla visita all’Ambasciata russa presso la Santa Sede allo scoppio del conflitto, all’annunciata intenzione di recarsi a Mosca) la situazione in Ucraina mostra anche una Santa Sede che sembra ha perso tutti i punti di riferimento per l’Oriente. E la Cina, in questo scenario, si frega le mani, consapevole di poter approfittare della situazione.

La Santa Sede, che emerge dalle dichiarazioni del Papa, è incredibilmente debole. Lui è sempre un uomo solo al comando, mettendo sempre la sua persona al di sopra di tutto. Alla fine, non ha un approccio istituzionale e diplomatico che permetta, se non di trovare soluzioni, almeno di avere analisi che permetterebbero di guardare al futuro. Una diplomazia fluida, proprio perché basata sui sentimenti personali e sulle relazioni personali. La diplomazia, quindi, non ha influenza. Il Papa riceve prontamente i fari puntati addosso, quando parla di fraternità umana, di ecologia e di obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia, il Papa è messo da parte, quando si tratta di questioni significative del mondo. E lo è dimostrato anche con l’arresto del Cardinal Zen, in una Cina dove la Chiesa sembra essere lasciata senza punti di riferimento concreti.

Questo articolo è la nostra traduzione italiana della versione originale in inglese, che è stata pubblicata dall’autore oggi, 16 maggio 2022 sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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Foto di copertina: Papa Francesco tiene in mano una lettera consegnato dal Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, SDB, durante l’udienza generale in Vaticano il 10 gennaio 2019. In una dichiarazione del 29 gennaio 2020 il Cardinal Zen ha affermato di essere venuto a Roma al solo scopo di consegnare personalmente la lettera del Vescovo di Shantou, Mons. Zhuang Jianjian. I media hanno affermato che al Mons. Zhuang, un vescovo approvato dalla Santa SEde, è stato chiesto di dimettersi e che un vescovo sostenuto dal governo comunista cinese prenderebbe il suo posto (Foto di Paul Haring/CNS).

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