Altra sberla a Papa Francesco dalla Cina comunista. Per silenziare il dissenso, arrestato il Cardinale Zen: sostiene la democrazia e i diritti civili e umani

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Il Vescovo emerito di Hong Kong, il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, S.D.B, 90 anni lo scorso gennaio, che contesta il regime comunista cinese, è stato arrestato ieri e poi liberato su cauzione [QUI]. È accusato da Pechino di collusione coi «ribelli». Nato a Yang King-pang, nella Diocesi di Shanghai, Joseph Zen, il 13 settembre 1996 viene eletto da Giovanni Paolo Il Coadiutore della Diocesi di Hong Kong e diventa Ordinario per successione il 23 settembre 2002. Creato cardinale da Benedetto XVI il 24 marzo 2006.

In Cina è da sempre una delle figure più note del cattolicesimo e non ha fatto mai mistero delle posizioni anti-governative diventando un bersaglio dei pro-Pechino. Vescovo emerito di Hong Kong dal 15 aprile 2009, ha proseguito la lotta pro-democrazia. La Città-Isola Hong Kong, un tempo Città-Stato avamposto della civiltà occidentale, oggi è luogo di un esperimento da parte delle autorità comuniste per incatenare un popolo di 7 milioni di persone, che hanno ancora memoria della libertà di cui godettero fino al 1997, quando Blair – considerato con Clinton e Prodi espressione della sinistra che capeggiava la globalizzazione – cedette alla Cina la sovranità di Hong Kong.

Riportiamo di seguito il Comunicato Stampa della Diocesi di Hong Kong, un contributo di Renato Farina su Libero Quotidiano e l’Editoriale di Riccardo Cascioli su La Nuova Bussola Quotidiana.

Comunicato Stampa della Diocesi di Hong Kong, 12 maggio 2022

Response of the Catholic Diocese of Hong Kong to Cardinal Joseph Zen’s Incident
The Catholic Diocese of Hong Kong is extremely concerned about the condition and safety of Cardinal Joseph Zen and we are offering our special prayers for him.
We have always upheld the rule of law. We trust that in the future we will continue enjoying religious freedom in Hong Kong under the Basic Law.
We urge the Hong Kong Police and the judicial authorities to handle Cardinal Zen’s case in accordance with justice, taking into consideration our concrete human situation.
As Christians, it is our firm belief that: “The LORD is my shepherd; there is nothing I lack.” (Ps.23:1)

[Risposta della Diocesi Cattolica di Hong Kong all’incidente del Cardinale Joseph Zen
La Diocesi Cattolica di Hong Kong è estremamente preoccupata per le condizioni e la sicurezza del Cardinale Joseph Zen e eleviamo le nostre preghiere speciali per lui.
Abbiamo sempre sostenuto lo stato di diritto. Confidiamo che in futuro continueremo a godere della libertà religiosa a Hong Kong ai sensi della Legge fondamentale.
Esortiamo la polizia di Hong Kong e le autorità giudiziarie a trattare il caso del Cardinale Zen secondo giustizia, tenendo conto della nostra concreta situazione umana.
Come cristiani, siamo fermamente convinti che: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla” (Sal 23,1)].

Schiaffo cinese. Arrestato un cardinale. Sosteneva la democrazia
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 12 maggio 2022


La vicenda accaduta ieri ad Hong Kong potrebbe essere riassunta con questo titolo: “Sequestro lampo di un cardinale di 90 anni. I rapitori lo liberano dopo il pagamento del riscatto”. Non ci stanno in questa sintesi alcuni elementi essenziali: ad operare il ratto (quelle che nelle sue lettere dal carcere Aldo Moro chiamava eufemisticamente “prelevamento”) sono state le autorità comuniste della Città-Isola, un tempo Città-Stato, avamposto della civiltà occidentale, ed oggi luogo di un esperimento per incatenare un popolo di 7 milioni di persone che hanno ancora memoria della libertà di cui godettero fino al 1997.

I giornali britannici si erano indignati nei giorni scorsi per il riscatto pagato dal Papa per liberare Suor Gloria, piccola religiosa colombiana in mano ai terroristi musulmani in Mali. Vedremo se i fogli progressisti londinesi, come il Guardian, si batteranno con qualche editoriale il petto, così facile a scandalizzarsi purché si possa mettere sotto accusa altri popoli e altri Stati. Quel che è accaduto al prelato (e al Vaticano) è figlio della ottusa decisione di Tony Blair che, senza pensarci un solo istante, appena salito al potere a Downing Street, cedette alla Cina la sovranità piena di Hong Kong. È vero, c’era un contratto di affitto che scadeva con il Regno Unito dopo 99 anni, ma rinnovarlo sarebbe stato nei desideri di tutta, ma proprio tutta la gente che vi abitava e aveva gustato non solo virtù e vizi del capitalismo (che Blair, con il suo mercato finanziario, si preoccupò di tutelare e farsi garantire dalle autorità di Pechino) ma anche quel valore immateriale eppur più prezioso dell’aria che è la libertà di pensiero, parola, educazione, religione.

Blair, considerato in quegli anni di fine millennio, insieme a Clinton e Prodi, espressione della triade di sinistra che capeggiava il processo di globalizzazione che, a loro avviso, doveva per forza includere la Cina comunista, fece questo bel capolavoro. Si accontentò di promesse generiche tipo “un solo Paese, ma due sistemi”, senza sanzioni in caso di violazione dei diritti umani e dello Stato di diritto da parte dei nuovi padroni.

La Cina progressivamente ha stretto i lacci intorno al collo di questo popolo svenduto da Blair con il plauso degli Usa. Dopo di che Blair si impegnò con cannoni e missili a esportare la democrazia in Iraq. Ma forse era meglio conservarla dove c’era invece che trattarla come una merce vendibile in nome dell’allargamento dei mercati della City. Un regalo della sinistra al mondo, questa gabbia intorno a una Città-Stato campione di vivacità economica e intellettuale.

Università

Che quella mossa di “restituzione” non fosse affatto innocente, è sempre stato chiaro nelle università e tra i leader laici ed ecclesiastici cattolici (sono 400mila, hanno scuole di grande qualità e pesano grandemente sul sentire comune), ci sono stati rigurgiti di arrabbiatura nel 2017, con articoli contro Blair, “che ha regalato il potere al Partito Comunista Cinese e non ha vigilato sulla democrazia”, quando la mano morta cinese cominciò a farsi fin troppo viva e opprimente. Ma l’inganno si è fatto palese quando Blair nel novembre dello scorso anno, ripreso dalla stampa di Taipei, ha dichiarato: “La Cina sappia: Taiwan non è Hong Kong”. Traduzione: vi ho dato Hong Kong, accontentatevi. Torniamo al “sequestro lampo”. La vicenda ha avuto per protagonista, suo malgrado, il porporato Joseph Zen, salesiano, data di nascita 13 gennaio 1932. È stato catturato al mattino insieme a una pop star e a un accademico. Il reato per cui hanno dovuto subire l’onta delle manette – o, cambiando punto di vista, il privilegio del sacrificio per il suo popolo – è gravissimo: tutti e tre sono finiti in cella in base alla legge sulla sicurezza nazionale. Il Vaticano aveva espresso in precedenza la sua “preoccupazione”. Toni bassi: per non compromettere la trattativa. «La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell’arresto del Cardinale Zen e sta seguendo la situazione con estrema attenzione», ha dichiarato il Direttore del Sala Stampa della Sede, Matteo Bruni. Anche la Casa Bianca ha reagito, e lo ha fatto con maggiore veemenza chiedendo alla Cina di «rilasciare immediatamente (gli attivisti) che sono stati ingiustamente detenuti e accusati, come il Cardinale Joseph Zen», secondo quanto dichiarato da Karine Jean-Pierre, Vice Portavoce di Biden, durante un briefing con la stampa.

Rivolta

Non si ricorda l’arresto di un cardinale da parte dei comunisti dai tempi eroici dell’ungherese József Mindszenty, che dopo otto anni di carcere, riparò durante la rivolta del 1956 nell’Ambasciata americana di Budapest prima di essere liberato e condotto in Vaticano, e di Alojzije Viktor Stepinac, che sperimentò le medesime delicate manette in Jugoslavia, ma nessuno seppe che nel frattempo era stato fatto in segreto cardinale da Pio XII.

Forse le autorità comuniste credevano di fare un piacere a Papa Francesco arrestando Zen. Il quale è sempre stato contrario agli accordi “provvisori” tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, da Zen considerati un assoggettamento ad un potere totalitario. La stampa governativa di Pechino aveva sul finire di gennaio dedicato quattro articoli denigratori al cardinale, tacciandolo sul quotidiano Ta Kung Pao di provocatore per conto dello straniero e di aver incitato nel 2019 gli studenti a rivoltarsi contro l’incrudelirsi della dittatura. Allora il Vaticano non espresse alcuna difesa pubblica. Credevano che la Chiesa fosse come il Partito Comunista Cinese e fosse ben felice di disfarsi di un cardinale dissenziente. Hanno sbagliato i calcoli. Francesco non ha abbandonato il confratello.

Il cardinale Zen

L’arresto del cardinale Zen è una sfida per il Vaticano
di Riccardo Cascioli
La Nuova Bussola Quotidiana, 12 maggio 2022


Mentre la domanda più ricorrente sui media riguarda le intenzioni della Cina, l’arresto del 90enne cardinale Zen pone un grave imbarazzo per la Santa Sede, la cui prima reazione è di sostanziale silenzio. In ballo c’è il rinnovo dell’accordo segreto con la Cina per la nomina dei vescovi, ma sarebbe un disastro se a questo si sacrificasse la libertà di un cardinale e della Chiesa.

L’arresto a Hong Kong del cardinale Joseph Zen l’11 maggio, in base alla legge sulla sicurezza nazionale in vigore dal 2020, è un avvenimento scioccante che solleva molte domande ed è presagio di tempi molto bui per Hong Kong e non solo. Il fatto che sia stato rilasciato su cauzione (e lo stesso è accaduto per le altre 3 persone arrestate con lui) non toglie nulla alla gravità e alla brutalità del gesto. 

Come noto al cardinale Zen è contestato l’aver fatto parte di un comitato che ha raccolto e distribuito fondi per aiutare gli attivisti democratici di Hong Kong che sono stati arrestati dopo la violenta repressione delle manifestazioni del 2019 contro la nuova legge sulle estradizioni in Cina. Comitato che peraltro è stato chiuso lo scorso ottobre proprio a causa della nuova legge sulla sicurezza nazionale.

La domanda che maggiormente ricorre sulla stampa internazionale riguarda il perché la Cina (nessun dubbio che dietro la decisione delle autorità di Hong Kong ci sia Pechino) abbia voluto fare un gesto del genere, colpire un anziano cardinale di 90 anni che da molti mesi ormai ha scelto la strada del silenzio: «Le persone in questione – hanno fatto sapere dall’ufficio di Hong Kong del Ministero degli Esteri cinese – sono sospettate di cospirazione in collusione con paesi o forze straniere mettendo in pericolo la sicurezza nazionale. Si tratta di un atto grave». E il fatto che ad essere entrato nel mirino della polizia sia una personalità religiosa «è completamente irrilevante», dicono sempre all’ufficio cinese: «Nessuno è al di sopra della legge». Il che però non risponde effettivamente alla domanda.

In realtà, dice Mark Simon, che per dieci anni è stato braccio destro dell’imprenditore editoriale cattolico Jimmy Lai, anche lui finito nelle maglie della giustizia per la sua partecipazione al movimento democratico, «la Cina ha paura del cardinale Zen». Lo ha scritto ieri sul Washington Post, sottolineando che Zen resta «l’ultimo simbolo del movimento democratico di Hong Kong» che resiste saldamente alle pressioni dell’apparato di sicurezza cinese. E gli viene riconosciuto ancora un notevole potere «come forza di resistenza nella Chiesa cattolica di Hong Kong». A rendere pericoloso il cardinale Zen per il regime cinese, dice Simon, è «la sua integrità morale, il suo coraggio e il potere della sua testimonianza», oltre alla «sua umanità, generosità e compassione». In altre parole, conclude Simon, «il cardinale Zen è tutto ciò che non è il brutale regime cinese», che quindi lo vede come un pericoloso antagonista.

Ma se è lecito farsi domande sui perché della Cina, ancora più interessante è capire le reazioni vaticane. Perché, in effetti, il cardinale Zen è un fastidio anche per Roma. Le sue critiche all’accordo segreto sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, siglato giusto 4 anni fa, sono state durissime e ripetute, e in modo particolare se l’è presa con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, giudicato il principale artefice di questo accordo. Né si può dimenticare quanto successo nel settembre 2020, alla vigilia del rinnovo dell’accordo tra Cina e Santa Sede, quando il cardinale Zen si presentò a Roma chiedendo invano di poter incontrare personalmente il Papa e dovette tornare a Hong Kong umiliato e a mani vuote.

La scarna dichiarazione rilasciata dal direttore della Sala Stampa Matteo Bruni nella serata dell’11 maggio, tradisce l’imbarazzo: «La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell’arresto del cardinale Zen e segue con estrema attenzione l’evolversi della situazione», Praticamente un tentativo di prendere tempo per pensare a cosa dire e cosa fare. Neanche un riferimento al Papa, alla sua auspicabile vicinanza con un cardinale arrestato e al ricordo nella preghiera per chi è vittima di tale ingiustizia. Nulla. La Santa Sede pensa anzitutto all’accordo con la Cina per il quale si dovrà decidere a breve sull’eventuale rinnovo, ed evita di pronunciare una qualsiasi parola che possa urtare l’interlocutore cinese.

Recentemente il cardinale Parolin ha lasciato intendere che anche in Vaticano cominciano a nascere dubbi sull’efficacia di questo accordo per la Chiesa cattolica, e in una intervista ad Acistampa ha detto di sperare nella possibilità di cambiare qualcosa nell’accordo. Sia voluta o no, l’arresto del cardinale Zen è una chiara risposta da parte cinese: una prova di forza, la dimostrazione di chi comanda e detta le condizioni. E simbolicamente colpisce proprio il cardinale Zen, il più grande oppositore di questo accordo.

Dalle prime reazioni, l’impressione è che la Santa Sede sia stata colta di sorpresa, dimostrando in tal modo di non conoscere affatto il regime comunista cinese e neanche cosa stia accadendo a Hong Kong. E che ancora una volta si adeguerà alle condizioni imposte da Pechino, quali che siano. Sarebbe un disastro per la Chiesa cinese e non solo.

Si può solo sperare che, dopo lo smarrimento iniziale, in Vaticano si sveglino e prendano atto che il bene della Chiesa non può essere in contrasto con il bene dei cattolici e con la chiarezza su dove sia la luce della fede. E che davanti all’arresto brutale di un cardinale 90enne che ha sempre difeso il popolo cattolico cinese e la popolazione di Hong Kong, non si può neanche far pensare che la Santa Sede stia dalla parte di chi lo perseguita. Se c’è un momento in cui si deve alzare la voce è questo.

Foto di copertina: il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, S.D.B., con un ombrello. Il Umbrella Movemento è stato un movimento politico emerso durante le proteste democratiche di Hong Kong del 2014, noto anche come Occupy Central Movement (28 settembre – 15 dicembre 2014). Il suo nome deriva dall’uso degli ombrelli come strumento di resistenza passiva all’uso dello spray al peperoncino da parte della polizia di Hong Kong per disperdere la folla durante l’occupazione di 79 giorni  della città (Ammiragliato, Mong Kok, Causeway Bay) chiedendo elezioni più trasparenti, innescate dalla decisione del Comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese del 31 agosto 2014, che prescriveva una preselezione selettiva dei candidati per le elezioni del 2017 del Capo dell’Esecutivo di Hong Kong, cioè la decisione del Regime comunista della Cina continentale di escludere il suffragio universale completo a Hong Kong. Il movimento consisteva in decine di migliaia di persone che hanno partecipato alle proteste iniziate il 26 settembre 2014. Dall’inizio delle proteste del 2014, gli attivisti del movimento si sono lamentati delle molestie da parte di oppositori politici “in modo allarmante simile al modo in cui gli attivisti della Cina continentale e le loro famiglie sono stati a lungo presi di mira” e sono stati perseguiti e incarcerati per la loro partecipazione ad atti di protesta.
Il nome “Umbrella Revolution” è stato coniato da Adam Cotton su Twitter il 26 settembre 2014, in riferimento agli ombrelli usati per la difesa contro lo spray al peperoncino della polizia, e ha rapidamente ottenuto un’ampia accettazione dopo essere apparso in un articolo su The Independent il 28 settembre 2014 che riportava l’uso di lacrimogeni contro i manifestanti quel giorno.

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