Quattordicesima udienza del processo vaticano con la seconda deposizione del Cardinal Becciu. La verità è luce che illumina le bugie di chi vuole distruggere il prossimo

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È durata dalle ore 09.45 alle 16.25 la quattordicesima udienza del processo al Tribunale vaticano sulla gestione dei fondi finanziari della Segreteria di Stato. Riportiamo di seguito quanto riferito dal pool di giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede, ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani dove si svolgono le udienze, come riportato da Agenzia di Informazione SIR, ACI Stampa, Vatican News e Il Fatto Quotidiano, seguito da un estratto da Silere non possum. Il Cardinale Angelo Becciu ha letto per due ore e mezzo una dichiarazione spontanea, per poi sottoporsi all’interrogatorio del Promotore di Giustizia aggiunto, il Prof. Avv. Alessandro Diddi. L’interrogazione del Cardinal Becciu prosegue nella prossima udienza, fissata dal Presidente, Giuseppe Pignatone, al 18 maggio 2022.

Nel rispetto della verità,
il Cardinale Angelo Becciu
– vittima di perfida
cattiveria,
di
mostruose calunnie
e di feroce accanimento –
ha reso dichiarazioni
utili a comprendere i fatti

Comunicato stampa nell’interesse di Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, 5 maggio 2022

Dopo una lunghissima e dolorosa attesa, serbata nel più profondo rispetto per il Tribunale, il Cardinale Becciu oggi ha finalmente potuto affermare la verità dei fatti oggetto di accertamento. Lo ha fatto chiarendo ogni punto e dissipando ogni ombra, riaffermando così una volta di più la propria innocenza, assoluta e completa, e dimostrando la totale infondatezza di ogni accusa.

Avvocati Fabio Viglione, Maria Concetta Marzo

Il Cardinale Angelo Becciu ha inizia la sua deposizione oggi con le seguenti parole: «Signor Presidente, dico subito che per me, sacerdote, non sarà facile parlare perché dilaniato da un profondo dissidio interiore, in quanto se da una parte la ricerca della verità giudiziaria m’impone di dire quanto so, dall’altra parte la mia identità sacerdotale mi porta a perdonare, a non sbandierare il male compiuto da altri, ad essere ricco di misericordia verso chi ha sbagliato, secondo quanto ci ricorda spesso Papa Francesco. Ma, in obbedienza al Santo Padre, mi predispongo a dare il mio contributo per l’accertamento della verità. Mi concentrerò sulle singole contestazioni contenute nei capi di accusa che sono stati ipotizzati nei miei confronti».

Processo in Vaticano
Agenzia di Informazione SIR, 5 maggio 2022

All’inizio dell’udienza il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha comunicato che Mons. Alberto Perlasca, attraverso l’Avvocato Alessandro Sammarco ha presentato richiesta di costituzione parte civile, sia nei confronti del Cardinale Becciu che nei confronti di altri tre imputati: Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi, Enrico Crasso e Nicola Squillace. Il Tribunale si è riservato sulla decisione, mentre i difensori degli altri imputati si sono opposti. Nel dettaglio, Perlasca ritiene di essere parte lesa e vorrebbe costituirsi parte civile contro Becciu per il capo di imputazione di subornazione di testimone, in quanto a suo dire il cardinale si sarebbe rivolto all’allora Vescovo di Como Oscar Cantoni affinché Perlasca ritrattasse la sua testimonianza. Perlasca, inoltre, ha chiesto la costituzione di parte civile nei confronti degli imputati citati per il capo di imputazione di truffa, in quanto avrebbero indotto Perlasca a firmare un Framework Agreement affinché si cedessero le mille azioni del Palazzo londinese.

“Ho sempre voluto preservare il Papa e la sua autorità morale senza coinvolgerlo troppo in responsabilità terrene: questo non vuol dire non informarlo, ma non dargli troppe responsabilità”. Così il Card. Angelo Becciu, interrogato dal Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha sintetizzato il suo ruolo di Sostituto alla Segreteria di Stato dal 1° giugno 2011 alla fine di giugno del 2018.

Al centro dell’udienza di oggi, la dichiarazione spontanea del porporato, circa 50 pagine lette per due ore e mezza. Riguardo all’ipotesi di peculato in favore della Cooperativa Spes, interrogato dal Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha ribadito: “Ho già evidenziata e documentata l’assoluta correttezza delle mie condotte e ribadisco come le uniche contribuzioni oggetto di contestazione, che sono poi le uniche somme che nei sette anni vennero elargite dalla Segreteria di Stato, nel 2015 e nel 2018, come è stato documentalmente provato, hanno avuto una destinazione caritativa. La richiesta del Vescovo Sanguineti del 2015 di 25.000 euro è servita ad acquistare il macchinario utile al Panificio per ripartire dopo l’incendio. Quella del Vescovo Melis, del 2018 è stata destinata a contribuire, nella somma di 100.000 euro, alla realizzazione della Cittadella della Carità, il cui costo complessivo si aggirava su 1.300.000 euro. La somma è stata accantonata in attesa dell’impiego, come provato e dichiarato dal Vescovo, e i lavori per l’Opera sono cominciati materialmente lo scorso 28 febbraio, come documentato”. “Tengo a precisare che tutto ciò che attiene alla Diocesi di Ozieri, alle sue risorse, alla sua organizzazione, così come alla locale Caritas o alla Cooperativa Spes, esula da una mia previa conoscenza”, ha aggiunto il Cardinal Becciu.

“Approfitto di questo momento per ringraziare il Papa pubblicamente di avermi dispensato dal rispetto del segreto, consentendomi così da poter parlare liberamente e difendermi con totale trasparenza”, ha detto il Cardinal Becciu, nella dichiarazione spontanea, dando la sua versione del “rapporto di conoscenza” con Cecilia Marogna, “dopo quasi due anni di silenzio, serbato nel più profondo rispetto per il Tribunale ed in attesa di questo momento di chiarimento”. “Devo qui ed ora esprimere una forte e vibrata indignazione per come questo rapporto è stato distorto con illazioni offensive, di infima natura, lesive — anche — della mia dignità sacerdotale”, la denuncia del porporato: “Credo che questo atteggiamento tradisca altresì una scarsa considerazione nei confronti della donna in generale, e mi sento obbligato a chiedermi se un simile trattamento sarebbe stato riservato ad un uomo”. Dopo questa premessa, Becciu ha affermato di aver conosciuto la manager sarda “nel 2016, quando la stessa mi richiese un colloquio. Ne apprezzai da subito la competenza in materia di geopolitica e di intelligence”. “La signora si propose per una collaborazione professionale con la Segreteria di Stato su queste materie di sua elezione”, ha proseguito il cardinale: “Preciso che non la intesi come richiesta di impiego ma come semplice offerta di collaborazione esterna. Per tale ragione la inviai dal Comandante della Gendarmeria, dott. Giani, il quale la ricevette. Lo stesso, poi, m’informò di aver tratto dall’incontro una buona impressione, ma che non vi era possibilità, nell’immediato, di accogliere la sua proposta”. “Ebbi modo di coltivare questa conoscenza in successivi incontri, che avevano sempre ad oggetto questioni geopolitiche e di sicurezza internazionale”, ha reso noto inoltre il porporato: “Fu grazie a queste occasioni d’incontro che approfondii il grado di competenza tecnica della signora. Il credito fiduciario nei suoi confronti e l’apprezzamento in merito alle sue competenze aumentarono nel tempo. Non ultimo, contribuirono certamente ad accrescere tale affidamento fiduciario una serie di incontri ad alto livello istituzionale promossi proprio dalla signora Marogna, che la stessa patrocinò, partecipandovi a propria volta, nei quali potei ulteriormente misurare la sua competenza, anche desumendola da queste qualificate conoscenze professionali”.

“Contrariamente a quanto erroneamente ipotizzato dall’accusa, mai ho voluto indurre mons. Perlasca a dire il falso, e nego vibratamente di aver avuto un atteggiamento perentorio con il vescovo, al quale non ho certo attribuito un ruolo intimidatorio in pregiudizio di mons. Perlasca”. È un passo della lunga dichiarazione spontanea, letta in circa due ore e mezza dal Cardinal Becciu. Riguardo al colloquio avuto con Mons. Cantoni, Vescovo di Como, “trasfigurato dall’accusa addirittura in un tentativo di subornazione”, Becciu ha precisato di aver avuto un colloquio con Mons. Oscar Cantoni, allora vescovo di Como, “mia antica conoscenza, ma per una ragione del tutto diversa da quella ipotizzata dall’accusa”: “Nel corso delle indagini – ha riferito – diversi giornali riferivano che Mons. Perlasca stava rendendo false dichiarazioni sul mio conto; e addirittura — fatto ai miei occhi ben più grave e sommamente intollerabile — tali falsità, secondo i quotidiani dell’epoca, sarebbero state trasfuse in lettere indirizzate da Mons. Perlasca anche al Santo Padre. Tale prospettiva era per me — un cardinale che ha giurato fedeltà al Papa — indicibile: per un sacerdote, dire il falso alla giustizia o, ancor peggio, al Santo Padre, è un peccato, ben prima ancora che un reato! Non tolleravo che si dicesse il falso sul mio conto, ed ancor meno che si mentisse al Santo Padre; d’altro canto, non avrei voluto nuocere oltre misura ad un uomo, Mons. Perlasca, che viveva un periodo di grande disperazione, spinta fino all’orlo del suicidio. Pertanto, l’unica via che ho ritenuto in quel momento percorribile è stata quella di confidarmi con il Vescovo di Como, esprimendogli tutto il mio dispiacere e il mio dolore nell’apprendere che Mons. Perlasca raccontava falsità, dicendogli che se veramente Perlasca aveva detto quanto leggevo sui giornali, sarei stato costretto, con profondo dolore, a tutelare la mia onestà, e quindi, mio malgrado, denunciarlo per calunnia. Mi confidai con il Vescovo perché conosceva Mons. Perlasca e quindi poteva comprendere cosa gli stesse accadendo e, sperabilmente, aiutarlo così a riprendersi, a ritrovarsi e a comprendere che non era giusto dire delle falsità, men che meno al Santo Padre. Quindi, contrariamente a quanto erroneamente ipotizzato dall’accusa, mai ho voluto indurre Mons. Perlasca a dire il falso, e nego vibratamente di aver avuto un atteggiamento perentorio con il Vescovo, al quale non ho certo attribuito un ruolo intimidatorio in pregiudizio di Mons. Perlasca”.

“Per oltre un anno sono stato esposto ad una insopportabile pressione pubblica, con la vergognosa accusa di aver addirittura finanziato false testimonianze in danno di un confratello, il Cardinale Pell, con i soldi della Segreteria di Stato”. A denunciarlo, nella dichiarazione spontanea è stato il Cardinal Becciu, che ha voluto “spazzare via questa gravissima insinuazione con le parole del Cardinal Segretario di Stato, Pietro Parolin, che ha accertato e dato conto della assoluta falsità di questa ignobile e insopportabile illazione”. In una lettera del 29 aprile, infatti, il Cardinale Parolin afferma testualmente: “Il Cardinale Pell continua a sollevare dubbi circa il trasferimento di 2,3M dollari australiani in Australia, sospettando che tali fondi siano stati utilizzati dal Cardinale Becciu per influire negativamente nel processo penale che lo vedeva imputato per abusi su minori. La somma invece, come più volte ricordato, servì per il pagamento del dominio Internet “.catholic”. Questa informazione è stata opportunamente comunicata all’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede con nota verbale 2112/21/RS del 18 febbraio 2021”. “Quindi, oltre un anno fa”, ha sottolineato Becciu, che ha rivelato: “La mia amarezza è ancora più profonda nell’apprendere, dalla lettura del carteggio che produco, che ad autorizzare il pagamento di detta somma fu proprio il Cardinale Pell, con una lettera datata 11 settembre 2015”.

Il Cardinale Angelo Becciu durante la sua deposizione (Foto di Vatican Media).

Processo Palazzo di Londra, l’interrogatorio di Becciu
Nella 14esima udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, prima parte di un interrogatorio al Cardinale Becciu che sarà lunghissimo. Perlasca si costituisce parte civile
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 5 maggio 2022


Una dichiarazione spontanea fiume di due ore e mezza, un interrogatorio lungo che ancora non è terminato, e una costituzione di parte civile un po’ a sorpresa: la quattordicesima udienza del processo sulla gestione di fondi della Segreteria di Stato è tutto centrato sull’interrogatorio del Cardinale Angelo Becciu, sotto accusa per peculato che sarebbe avvenuto nei tempi in cui era Sostituto della Segreteria di Stato, ma a prendere la scena è la decisione di Monsignor Alberto Perlasca, già capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato vaticana, di costituirsi parte civile.
Decisione a sorpresa, perché Monsignor Perlasca era stato prima messo sotto indagine, e poi invece ha collaborato con le indagini, fino ad uscire definitivamente dal numero di imputati del procedimento. Quale sarebbe, dunque, il danno contro di lui?

L’Avvocato Sammarco, difensore di Perlasca e già difensore di Francesca Immacolata Chaouqui nel processo Vatileaks 2, ha spiegato che sono due i motivi per cui Monsignor Perlasca si costituisce parte civile: per la subornazione che il Cardinale Becciu avrebbe operato nei confronti del suo Vescovo Cantoni, di Como, e contro gli imputati Tirabassi, Crasso e Torzi che lo avrebbero indotto a firmare il cosiddetto framework agreement che destinava al broker Torzi le mille azioni con diritto di voto che gli davano il totale controllo dell’investimento sul palazzo di Londra.

Vale la pena di ricordare che il processo ruota intorno all’investimento della Segreteria di Stato su un palazzo di lusso a Londra. Prima l’affare era gestito dal broker Raffaele Mincione, poi fu gestito dal broker Gianluigi Torzi e infine la Santa Sede rilevò il controllo del Palazzo, cercando di trasformare in vantaggioso un investimento che era diventato svantaggioso e che aveva dato a Torzi il controllo dell’immobile. Il Cardinale Becciu è anche imputato per peculato per dei fondi che, da Sostituto, destinò alla Caritas della sua diocesi natale Ozieri e alla cooperativa Spes.

Il Cardinale Becciu ha rilasciato una lunga dichiarazione spontanea, durata circa due ore e mezza, rispondendo a tutti i capi di accusa, specificando anche il modo di lavorare del Sostituto della Segreteria di Stato, un incarico complesso, che gestisce tutti gli affari vigenti e che è chiamato a corrispondere con il Papa almeno una volta a settimana. Il Sostituto ha autonomia, ha le deleghe del Segretario di Stato, ed è di fatto il vero motore di tutta l’attività della Santa Sede.

In questa situazione, ha spiegato il Cardinale Becciu, è necessario fidarsi dei collaboratori, specialmente quando si tratta di temi come quelli amministrativi. E lì il Cardinale Becciu ha ricordato che Monsignor Alberto Perlasca era già capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato prima che lui fosse nominato Sostituto nel 2011, che di certo era molto competente e che lui si fidava, ma che aveva anche una personalità irascibile e complicata.

Anzi, il Cardinale ha notato che Monsignor Perlasca era caduto in depressione dopo essere stato allontanato dalla Segreteria di Stato, al punto di voler tentare il suicidio, e che proprio il Cardinale Becciu aveva cercato di aiutarlo. Inoltre, Becciu ha denunciato il comportamento di una amica di Monsignor Perlasca, Genevieve Ciferri, che si sarebbe spesa in maniera anche insolente, dalla descrizione del Cardinale, perché Perlasca fosse ripristinato in Segreteria di Stato, fino a minacciare lo stesso cardinale di perdere la porpora entro fine settembre 2020 se non avesse aiutato Perlasca.

Il Cardinale Becciu ha notato come, nel primo interrogatorio, Perlasca difendeva l’operato della Segreteria di Stato, mentre dopo ha cambiato radicalmente versione.

Tra le note di interesse, il fatto che la Segreteria di Stato doveva contribuire con 5 milioni il mese alle spese della Curia, che sono diventati poi 8 milioni il mese con la riforma del Cardinale Pell. Si trattava, alla fine, di 96 milioni l’anno, che non potevano essere coperti con i soldi dell’Obolo di San Pietro.

L’Obolo, infatti – ha spiegato il Cardinale – nasce per supportare la Santa Sede quando questa perde lo Stato pontificio, non con lo scopo precipuo di fare la carità, che pure poi fa. E l’Obolo comunque garantiva 45- 50 milioni l’anno, non abbastanza per fare fronte alle spese di cassa, cosa che rendeva necessario “investire il denaro”.

L’investimento di Londra è venuto dopo che era stato bocciato un altro investimento su un giacimento petrolifero in Angola, che era stato suggerito al Cardinale da un suo amico dei tempi in cui era Nunzio nel Paese africano, e che però Becciu sostiene di non aver “sponsorizzato”, accettando il fatto che lo stesso Perlasca lo aveva considerato poco sicuro.

Ma – ed è questa la chiave della testimonianza del Cardinale Becciu – lui aveva totale fiducia nei suoi collaboratori, e per quanto venisse costantemente informato comunque dava totale fiducia a quanti considerava più esperti di sé.

Altra nota di interesse, il rapporto con Cecilia Marogna, per la quale il cardinale ha professato una stima pari a quella che poi gli aveva tributato il Comandante della Gendarmeria Domenico Giani, e che avrebbe aiutato a liberare suor Gloria Narvaaez, ammettendo anche il pagamento di un riscatto.

Sulla questione del Cardinale George Pell, che aveva alluso al fatto che Becciu avesse trasferito 2 milioni e 200 mila dollari australiani per pagare una falsa testimonianza al processo contro di lui, Becciu ricorda che c’è una lettera del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, inviata come nota verbale all’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede che chiariva come quei soldi erano stati il pagamento dell’estensione web .catholic, un pagamento che era stato tra l’altro autorizzato dallo stesso Cardinale Pell.

Nell’interrogatorio, il Cardinale Becciu ha anche notato che l’Ufficio del Revisore Generale, il cui rapporto ha dato il via al processo, non può avere totale contezza delle attività di investimento della Segreteria di Stato, che aveva totale autonomia e che non era soggetto nemmeno ai controlli della Segreteria per l’Economia. Anzi, erano stati fermai i tentativi della Segreteria di avere un controllo sulla Segreteria di Stato, perché rimaneva organismo indipendente.

In effetti, Becciu contesta che per l’investimento del palazzo di Londra non sono stati usati fondi dell’Obolo, come sosteneva il rapporto del Revisore Generale, il quale “non è mai entrato nei nostri uffici perché c’era la sovranità dei fondi”.

Richiesto se il Papa veniva informato degli investimenti, il Cardinale Becciu ha sottolineato che lui sottoponeva al Papa il semestrale e alcuni casi particolari, ma che non c’erano autorizzazioni specifiche. “Io sono di vecchia scuola – ha detto il Cardinale – in odiosis non feci nomen ponifici. Si cerca di preservare la autorità morale del Papa senza coinvolgerlo nelle cose terrene. Che non significa non informarlo, ma non dargli la responsabilità”.

Becciu è stato anche chiamato a chiarire perché la Segreteria di Stato concentrasse tutti gli investimenti su Credit Suisse, e questi ha detto che già questo era in atto quando lui era diventato Sostituto. Allo stesso modo, anche il broker Enrico Crasso era consulente della Segreteria di Stato da tempo.

L’interrogatorio, particolarmente teso e a volte arrivato a menzionare questioni marginali o fuori dai capi di imputazione, dovrà essere ripreso nella prossima udienza, tanto che varie volte il Presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone non ha ammesso molte delle domande del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, e addirittura è arrivato a sospendere per cinque minuti l’udienza per calmare gli animi.

Udienza del Processo al Tribunale vaticano (Foto di Vatican Media).

Becciu si difende su Londra, Sardegna, Pell e Marogna: “Tutte accuse infondate”
di Salvatore Cernuzio
Vatican News, 5 maggio 2022


Dai rapporti con la manager Cecilia Marogna e con Monsignor Alberto Perlasca, ai bonifici in Australia e i dettagli sulla compravendita del Palazzo di Londra, fino alla fatidica udienza con il Papa del 24 settembre 2020 in cui perse i diritti del cardinalato. È durata oltre due ore e mezza la lettura della dichiarazione spontanea del Cardinale Angelo Becciu alla quattordicesima udienza del processo in Vaticano per presunti illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato, presieduta da Giuseppe Pignatone.

Seduto al centro dell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani, con in mano una cartellina di pelle blu, il porporato – al secondo interrogatorio – ha voluto offrire “nel rispetto della verità, dichiarazioni utili a comprendere i fatti”. Prima, però, ha ribadito con forza la sua “assoluta innocenza”, come pure il rammarico per essere stato esposto a una “gogna pubblica di proporzione mondiale”. Dicendosi “dilaniato da un dissidio interiore” tra la volontà di difendersi e “la dignità sacerdotale che mi porta a non sbandierare il male compiuto da altri”, il Cardinale dalle 10.05 alle 12.35, senza interruzione, si è soffermato su ognuno dei capi di imputazione.

Anzitutto Becciu è tornato sulla vicenda Sardegna, quindi i bonifici alla Caritas di Ozieri e alla cooperativa Spes, di cui è socio il fratello Tonino. Proprio del familiare, il porporato ha contestato che fosse “fatto passare come faccendiere”, laddove si tratta di un uomo che si è speso tanto per i poveri e la comunità. Poi ha rievocato il momento in cui “per la prima volta” gli furono rivolte tali accuse, cioè l’udienza con il Papa di fine settembre 2020, al termine era uscito dimissionario. “Il Santo Padre – ha detto Becciu – mi disse che in seguito ad indagini svolte ad hoc, gli era stato riferito che le somme dell’Obolo di San Pietro da me inviate alla Caritas della mia diocesi di Ozieri erano servite ad arricchire i miei fratelli, in particolare mio fratello Tonino. Mi aggiunse pure che lo addolorava che un settimanale italiano avesse già la notizia di questa grave accusa e che da lì a poco sarebbe uscito con un articolo sull’argomento”.

Il cardinale, ha spiegato in aula, rimase “senza parole, tanto era assurda ed infondata quell’accusa”. “Lo storno dei 125 mila euro era l’unica accusa che mi faceva. Il Santo Padre mi disse espressamente che non ne aveva altre. Preso atto di tale accusa, seppure certo della sua infondatezza, per amore della Chiesa considerai quindi necessario, con immenso dolore, presentare le dimissioni dall’incarico che ricoprivo, quello di prefetto”. Da lì, la sua vita fu “sconvolta”: “Fui sbattuto sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo; privato di ogni ufficio ecclesiastico; relegato ai margini della Curia e della Chiesa”. Il cardinale ha detto di continuare a chiedersi ancora oggi “perché sono state riportate al Papa queste false accuse”, creando nella Chiesa “uno scandalo di inaudita gravità”.

“Infamanti”, per Becciu, sono anche le accuse sugli investimenti della Segreteria di Stato: la carenza di legittimazione a disporre delle finanze interne e l’uso dell’Obolo di San Pietro per finalità diverse da quelle caritative. “Avrei abusato dei miei poteri, non per lucro personale ma per far arricchire persone a me sostanzialmente sconosciute”, ha affermato. “Tutte accuse totalmente infondate”.

A lungo il porporato si è soffermato sulla figura di Monsignor Alberto Perlasca, allora Capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, considerato il “testimone chiave” del processo. “Tecnico di profonda esperienza e alta dedizione all’ufficio”, uomo di “massima fiducia”, ma anche personalità “irascibile e permalosa”, “geloso della propria autonomia”, con la grande ambizione di diventare Nunzio Apostolico, Perlasca ebbe sempre rapporti positivi col Sostituto, fino all’indagine “che lo prostrò terribilmente”.

Il monsignore finì “in preda a una profonda solitudine” e alla “grande amarezza” di essere stato rimosso dall’incarico in Segreteria di Stato. Al cardinale chiese aiuto per difendere la sua posizione e poter incontrare il Papa. Udienza che avvenne ma che non migliorò il suo umore. Tanto che in un drammatico sms annunciò di volersi suicidare, gettandosi dalla sua stanza. “Unica soluzione possibile, a suo dire, per uscire da una situazione che non gli lasciava possibilità di dimostrare la sua innocenza”. Becciu allertò diverse persone, tra cui i gendarmi, e si recò personalmente a Santa Marta, dove Perlasca risiedeva. Al sacerdote, quella sera fu somministrato anche un sedativo. In aula Becciu ha detto di essere stato sempre a fianco al suo collaboratore che infatti, dopo l’estate, lo invitò a cena “per sdebitarsi dell’assistenza premurosa”. Quella sera, però, trovò “un uomo diverso, molto strano e suscettibile”. “Dopo quella cena si allontanò da me”.

Ad aggravare la situazione l’entrata in scena di una “figura inquietante”: una donna che diceva di chiamarsi Genevieve Putignani, al secolo Genoveffa Ciferri, che si mise in contatto con Becciu come persona vicina a Perlasca e, con toni bruschi, chiese “di parlare col Papa per difendere la sua innocenza”. La donna, che millantava essere un ex agente dei Servizi segreti, iniziò a tempestare il cardinale di telefonate, accusandolo di non aver fatto nulla per il monsignore. Un giorno si presentò nel suo appartamento, “beatificando” Perlasca, rimproverando Becciu ed esprimendo “apprezzamenti non benevoli verso il Papa”. Il cardinale si spazientì e la mandò via. Lei uscì con una minaccia: “Se lei non farà di tutto per restituire onore e impiego a Perlasca, perderà la sua berretta cardinalizia”. Dopo un viaggio a Londra, scrisse a Becciu che si sarebbe dovuto “procurare legali sul suolo inglese e italiano”. E telefonando all’altro fratello del porporato, Mario, “gli disse di prepararsi a visitarmi in carcere”. “Il 10 settembre disse che tra il 15 e il 30 del mese avrei perso il cardinalato. Lo persi il 24 settembre”, ha detto Becciu oggi, rivelando tra l’altro che, sulla base di indagini condotte dai suoi legali, scoprì che Genoveffa Ciferri nel 2017 aveva donato a Perlasca delle proprietà immobiliari, in cambio di una “adeguata assistenza morale e spirituale” e della assicurazione di “celebrare o far celebrare Messe gregoriane in suffragio o post mortem per cinque anni come da tariffario diocesano”.

Un’altra donna è stata protagonista della dichiarazione di Becciu, Cecilia Marogna, la manager di Cagliari (anche lei imputata) presentatasi a lui come esperta di intelligence e aspirante collaboratrice della Santa Sede per liberare religiosi rapiti in territori difficili. Missione per cui il cardinale le avrebbe fornito ingenti somme di denaro che però la donna avrebbe poi destinato ad acquisti “incompatibili con la finalità impressale dalla Segreteria di Stato”. Accusa, anche questa, respinta categoricamente da Becciu. La Marogna conobbe il cardinale nel 2016 e lui ne ebbe subito una buona impressione, vedendola particolarmente competente, con buone referenze e conoscenze in Vaticano e tra i Servizi Segreti italiani. La “signora” si propose come intermediatrice per la liberazione di Suor Gloria Cecilia Navaes Goti, francescana colombiana rapita in Mali nel 2017 e liberata nell’ottobre 2021. “Mi riferì di un’agenzia inglese di intelligence, Inkerman, con la quale si sarebbe potuta interfacciare proficuamente attivandosi per tutte le operazioni necessarie alla liberazione di Suor Gloria”. Becciu informò il Papa che “rimase contento” e “intese immediatamente la necessità di non esporre il Vaticano ad una inutile, ed anzi dannosa, pubblicità”. “Mi diede l’autorizzazione a procedere e, alla mia domanda esplicita se avessi dovuto parlarne con il Comandante della Gendarmeria, mi rispose di no, invitandomi ad assumermi in prima persona la responsabilità dell’iniziativa e aggiungendo che la questione doveva rimanere riservata tra Lui e me”, ha raccontato Becciu. La suora fu effettivamente liberata il 21 ottobre 2021. A Marogna furono disposti dei versamenti su conti di volta in volta diversi. Le spese erano finalizzate alla liberazione della suora, ma secondo l’accusa la manager impiegò buona parte di quei soldi per acquistare abbigliamento, accessori e mobili di lusso.

Due punti ancora ha voluto affrontare Becciu. Anzitutto l’investimento con la Falcon Oil, società petrolifera in Angola, di proprietà dell’imprenditore Antonio Mosquito, suo “amico” ai tempi della nunziatura nel Paese africano. Mosquito, “benefattore della Nunziatura”, propose l’acquisto del diritto di sfruttamento di giacimenti del pozzo 15, di proprietà anche dell’Eni. Becciu segnalò in Segreteria di Stato la possibilità dell’investimento: “Il mio intervento si limitò soltanto alla segnalazione della semplice proposta ed in più occasioni caldeggiai Perlasca ad eseguire con il massimo rigore tutti gli accertamenti necessari a tutelare la Santa Sede da ogni possibile rischio finanziario”. Perlasca vide scarse garanzie e la trattativa non andò in porto. Becciu ha assicurato di non aver protestato perché teneva più al “bene superiore della Santa Sede” che a qualsiasi “interesse personale o amicizia”.

Il secondo punto è invece la vicenda dei bonifici inviati in Australia, pari a circa 2,3 milioni di dollari australiani, nel periodo del processo per abusi contro il Cardinale George Pell. Alcuni media due anni fa suggerirono l’ipotesi che l’allora sostituto avesse finanziato false testimonianze a danno del cardinale con il quale ebbe diverse divergenze in Curia. “Vergognosa accusa”, “ignobile e insopportabile illazione”, ha esclamato oggi Becciu, leggendo una lettera di Parolin che affermava che la somma servì per il pagamento del dominio Internet “.catholic”. Da un carteggio riprodotto in aula, Becciu ha affermato che, tra l’altro, fu lo stesso Pell con una lettera del 2015 ad autorizzare tale pagamento. “Mi spiace che sia caduto in questo equivoco e smemoratezza”.

Il resto dell’udienza, dalle 13.50 alle 16.25, è stato occupato dall’interrogatorio del Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi. Quasi tre ore caratterizzate da una forte tensione tra il Promotore e gli avvocati della difesa, tanto da far spazientire Pignatone che ha esclamato: “Basta! Sono stanco dei vostri battibecchi” e ha chiesto cinque minuti di pausa “per calmarsi tutti”.

A suscitare le rimostranze dei legali, il fatto che Diddi abbia domandato al porporato di spiegare meglio il colloquio con il Papa del 24 settembre, visto che molti dettagli erano già ricostruiti negli atti di citazione contro il giornale L’Espresso “in maniera analitica, minuto per minuto”. Anche Pignatone ha mediato affermando: “Questo è un processo scritto. L’interesse è quello di arrivare alla verità e non di fare polemiche”. E Becciu infatti ha risposto, aggiungendo altri particolari come il fatto che il Papa gli disse che dall’indagine della Guardia di Finanza, dopo che il cardinale aveva spedito i soldi (allora 100mila euro) a Ozieri, i magistrati vaticani avevano visto “che la manina di suo fratello Tonino ha tolto i soldi”. Il Papa aveva avuto saputo anche di “un giornale che sta per uscire con una notizia” e per questo disse: “Davanti all’opinione pubblica devo prendere le distanze da un mio collaboratore che è accusato di aver rubato soldi”. Becciu non seppe rispondere ma, una volta a casa, telefonò al Vescovo di Ozieri e al fratello chiedendo dove fosse quel denaro. Entrambi confermavano che erano fermi sul conto della Diocesi.

Il giorno dopo l’udienza, Becciu convocò i giornalisti per una conferenza stampa in un istituto a due passi da San Pietro. Un gesto letto da molti come uno sgarbo allo stesso Pontefice. Il Cardinale, a richiesta del Promotore, si è giustificato dicendo di aver voluto tenere la conferenza perché dopo il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede fu “assillato da tante telefonate” di “giornalisti che pensavano che avessi dato le dimissioni per crimini sessuali”. “Mi ha dato un fastidio enorme, mi ha innervosito molto. Non volevo essere accusato di quei delitti”.

Becciu ha poi chiarito il suo legame con Monsignor Mauro Carlino, anch’egli imputato: per lui sempre e solo un segretario. Mentre ha definito i rapporti con l’ex Revisore generale dei conti, Libero Milone, “molto gentili”. Sul “destino” del Revisore, che ha cessato l’incarico in Vaticano nel 2017 (lui dichiarò contro la propria volontà), il Cardinale Brcciu non ha voluto rispondere “per amore del Santo Padre”.

Molte domande del Promotore aggiunto anche sulle competenze del Sostituto, che ha la facoltà di agire in autonomia, e sugli investimenti della Segreteria di Stato e i “contribuiti speciali” del Papa, il quale spesso indicava realtà come scuole, ospedali, associazioni o enti a cui indirizzare delle somme di beneficenza. Diddi in aula ha esposto un grafico che elencava tutti i contributi versati dal Dicastero alle Diocesi negli anni in cui Becciu era sostituto, tra cui Buenos Aires, Carpi, Rieti, Norcia, Bucarest. “Ehh, Ozieri la prima di tutte in sette anni. Ne vado orgoglioso”, ha esclamato il Cardinale. Ha poi ribadito di essere stato sempre molto “severo” sul fatto che le risorse dell’Obolo di San Pietro non fossero indirizzate a finalità diverse da quelle della carità. E ha anche detto che la Segreteria di Stato era una sorta di “torre d’avorio”, con una sua sovranità sulle finanze dove nessuno poteva entrare. Così, almeno, è sempre stato e ha continuato ad essere anche dopo la nascita dei veri organismi economici istituiti da Papa Francesco, in primis la Segreteria dell’Economia. L’allora prefetto Pell “scrisse un regolamento da cui sembrava che avesse il potere di entrare anche nella gestione delle finanze della Segreteria di Stato, ma fu un documento molto equivoco tant’è che un anno dopo il Papa istituì una nuova commissione con De Paolis e fece un Motu proprio che regolava le competenze della SPE riducendole solo a vigilanza”.

Infine è stato chiesto conto a Becciu del cosiddetto investimento “Lombard”, cioè il trasferimento di tutta la disponibilità economica della Segreteria di Stato in un unico conto per usufruirne degli interessi. Il Revisore in un rapporto scrisse che nel 2013 tutti i depositi furono trasferiti nella Credit Suisse. Perché? Il Cardinale ha detto di non ricordare né sapere le modalità dell’operazione, progettata da “addetti” come Fabrizio Tirabassi, il finanziere Enrico Crasso, consulente della Segreteria di Stato dagli anni ’90, con l’assenso di Perlasca. Credit Suisse “sembrava una banca che desse affidamento”. La medesima banca propose il nome del broker Raffaele Mincione (anche lui imputato) come esperto nel settore petrolifero per guidare la trattativa con Falcon Oil. Mincione – del quale la Segreteria di Stato chiese informazioni alla Gendarmeria a seguito di articoli poco “laudativi” sul suo conto – suggerì poi l’investimento sul palazzo di Sloane Avenue, a Londra. Affare passato poi al broker Gianluigi Torzi. Il resto è storia più o meno conosciuta sul quale il procedimento giudiziario vuole far luce. Anche se, ha detto Pignatone, “siamo ancora alle periferie del processo”.

Processo Vaticano, la difesa a tutto campo del cardinal Becciu. Dalla Marogna all’obolo di San Pietro: “Assolutamente innocente”
A poco meno di due mesi dalle prime dichiarazioni il cardinale Angelo Becciu, imputato per peculato, abuso d’ufficio anche in concorso e subornazione, è tornato a parlare con dichiarazioni spontanee durante il processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato

Il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2022

Una difesa a tutto campo. Da accuse e anche illazioni. A due poco meno di due mesi dalle prime dichiarazioni il cardinale Angelo Becciu, imputato per peculato, abuso d’ufficio anche in concorso e subornazione, è tornato a parlare con dichiarazioni spontanee durante il processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Molti i punti toccati dal porporato: dalla vicenda del cardinale Bell ai rapporti con Cecilia Marogna.

LA VICENDA PELL – “Per oltre un anno sono stato esposto ad una insopportabile pressione pubblica, con la vergognosa accusa di aver addirittura finanziato false testimonianze in danno di un confratello, il Cardinale Pell, con i soldi della Segreteria di Stato. Voglio ora spazzare via questa gravissima insinuazione con le parole del cardinale segretario di Stato, Parolin, che ha accertato e dato conto della assoluta falsità di questa ignobile e insopportabile illazione”. Pell – condannato in primo grado – è stato assolto in Australia dalle accuse su abusi sessuali su minori. “Consegno al Tribunale la lettera del 29 aprile u.s. nella quale, tra l’altro, il cardinale Parolin afferma testualmente che “il cardinale Pell continua a sollevare dubbi circa il trasferimento di 2,3 milioni dollari australiani in Australia, sospettando che tali fondi siano stati utilizzati dal Cardinale Becciu per influire negativamente nel processo penale che lo vedeva imputato per abusi su minori. La somma invece, come più volte ricordato, servì per il pagamento del dominio Internet .catholic”. Questa informazione è stata opportunamente comunicata all’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede con nota verbale 2112/21/RS del 18 febbraio 2021′. Quindi, oltre un anno fa. Ma non finisce qui, sig. Presidente”. La mia amarezza è ancora più profonda – ha aggiunto – nell’apprendere, dalla lettura del carteggio che produco, che ad autorizzare il pagamento di detta somma fu proprio il Cardinale Pell, con una lettera datata 11 settembre 2015″.

LA VICENDA MAROGNA – Un altro capitolo riguarda Cecilia Marogna, manager che ha dichiarato di essere stata remunerata per attività di intelligence su incarico della Segreteria di Stato, considerata vicinissima al cardinale, che avrebbe intascato molto denaro. “Devo qui ed ora esprimere una forte e vibrata indignazione per come questo rapporto è stato distorto con illazioni offensive, di infima natura, lesive – anche – della mia dignità sacerdotale. Credo che questo atteggiamento tradisca un simile trattamento sarebbe stato riservato ad un uomo”. Becciu ha ringraziato il Papa per averlo dispensato dal segreto pontificio sulla vicenda, la cui opposizione – ha detto – “non era certo finalizzata alla tutela della mia persona, ma, vista la delicatezza della materia, solo ed esclusivamente a Quella del Santo Padre e della Sede Apostolica.

Ha quindi ricostruito il suo “rapporto di conoscenza con la signora Marogna, dopo quasi due anni di silenzio, serbato nel più profondo rispetto per il Tribunale ed in attesa di questo momento di chiarimento”. “Conobbi la signora Marogna nel 2016, quando la stessa mi richiese un colloquio. Ne apprezzai da subito la competenza in materia di geopolitica e di intelligence – ha ricordato Becciu -. La signora si propose per una collaborazione professionale con la Segreteria di Stato su queste materie di sua elezione. Preciso che non la intesi come richiesta di impiego ma come semplice offerta di collaborazione esterna”. Per tale ragione “la inviai dal Comandante della Gendarmeria, dott. Giani, il quale la ricevette. Lo stesso, poi, m’informò di aver tratto dall’incontro una buona impressione, ma che non vi era possibilità, nell’immediato, di accogliere la sua proposta”. Ad accrescere la fiducia verso la donna, anche “una serie di incontri ad alto livello istituzionale promossi proprio dalla signora Marogna: ad esempio, con i Generali Carta e Caravelli, avvenuti a partire dall’ottobre 2017, che la stessa patrocinò, partecipandovi a propria volta, nei quali potei ulteriormente misurare la sua competenza, anche desumendola da queste qualificate conoscenze professionali. La stessa, peraltro, ebbe modo di presentarmi l’allora parlamentare europeo Lorenzo Cesa, con il quale aveva svolto attività di collaborazione istituzionale”.

Becciu pensò di avvalersi della collaborazione di Cecilia Marogna in occasione del rapimento, avvenuto in Malì il 7 febbraio 2017, di suor Gloria Cecilia Navaes Goti, Francescana di Maria Immacolata, di nazionalità colombiana. Poi ritornata alla libertà il 10 ottobre 2021. “La signora mi riferì di un’agenzia inglese di intelligence, Inkerman, con la quale, a suo dire, si sarebbe potuta interfacciare proficuamente attivandosi per tutte le operazioni necessarie alla liberazione di Suor Gloria – ha spiegato -. Così, in una delle udienze di tabella esposi al Santo Padre la questione e le prime considerazioni maturate. Egli rimase contento che ci si adoperasse per la liberazione della religiosa e intese immediatamente la necessità di non esporre il Vaticano ad una inutile, ed anzi dannosa, pubblicità”.

“Mi diede l’autorizzazione a procedere”, e successivamente “incontrai a Londra, nella prima metà del gennaio del 2018, funzionari dell’agenzia Inkermann. Alla presenza della signora Marogna, che aveva organizzato dietro mia richiesta l’incontro”. Ottenute le successive autorizzazioni del Papa, “confermo, dunque, che la signora Marogna si occupò delle operazioni di sicurezza finalizzate alla liberazione di Suor Gloria. Il credito fiduciario conseguito nei modi descritti, insieme alla connaturata riservatezza di questo genere di operazioni, mi indusse a riporre la massima fiducia nel suo operato, seguendo le indicazioni che di volta in volta dalla stessa ricevevo, sempre corredate da informative circa le attività svolte e da svolgere. Quanto ai versamenti che mi vengono contestati, desidero puntualizzare che gli stessi furono disposti – sempre su indicazione della signora Marogna – su conti correnti che la stessa di volta in volta mi indicava, e che ho sempre ritenuto relativi all’operazione-trattativa condotta da Inkerman e, dunque, finalizzati alla liberazione di Suor Gloria e alle spese da sostenere per tale fine”. “Voglio sottolineare che nessuna somma era stata destinata quale compenso alla signora Marogna”, ha aggiunto il cardinale.

IL CASO DELLA COOPERATIVA DI ORZIERI – Il cardinale ha ribadito la sua “assoluta innocenza” soffermandosi sull’ipotesi di peculato in favore della Cooperativa Spes di Ozieri retta dal fratello Tonino (perquisito lo scorso febbraio, ndr) ha rivendicato “l’assoluta correttezza” delle sue condotte e ripetuto “come le uniche contribuzioni oggetto di contestazione, che sono poi le uniche somme che nei sette anni vennero elargite dalla Segreteria di Stato, nel 2015 e nel 2018, come è stato documentalmente provato hanno avuto una destinazione caritativa”. “La richiesta del Vescovo Sanguineti del 2015 di 25.000 euro è servita ad acquistare il macchinario utile al Panificio per ripartire dopo l’incendio – ha ricordato Becciu -. Quella del Vescovo Melis, del 2018 è stata destinata a contribuire, nella somma di 100.000, alla realizzazione della Cittadella della Carità, il cui costo complessivo si aggirava su 1.300.000 euro. La somma è stata accantonata in attesa dell’impiego, come provato e dichiarato dal Vescovo, e i lavori per l’Opera sono cominciati materialmente lo scorso 28 febbraio, come documentato”. Per quanto riguarda il prestito alla signora Zambrano, il cardinale ha precisato che è “stato elargito dalla Caritas di Ozieri e non dalla Cooperativa Spes, come fu detto l’ultima volta”. Becciu ha voluto anche spendere parole sul fratello Tonino “perché spesso è stato fatto passare come faccendiere e come uno che specula sui soldi della chiesa”.

IL CASO DELL’OBOLO DI SAN PIETRO – “Una delle questioni più pubblicamente esibite di questa vicenda giudiziaria è la seguente: furono o meno usati, per gli investimenti in questione, fondi derivanti dall’Obolo di San Pietro? La mia risposta ferma è: no! Non furono utilizzati i fondi dell’Obolo, ma i fondi di riserva della Segreteria di Stato”. Becciu ha suffragato la sua risposta dapprima con le parole di mons. Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa, e poi con alcune informazioni sull’entità dell’Obolo e le sue finalità. “Avrei abusato dei miei poteri, non per lucro personale ma per far arricchire persone a me sostanzialmente sconosciute“, ha sottolineato Becciu a proposito delle accuse relative agli investimenti della Segreteria di Stato, e mi viene contestato l’uso di denari provenienti dall’Obolo di San Pietro, ai quali, addirittura, avrei impresso finalità incompatibili con la loro destinazione istituzionale. Tutte queste accuse sono totalmente infondate”.

Ricordando le parole di mons. Galantino in un’intervista, Becciu ha riferito: “Comunque è importante dire che le perdite hanno avuto ricadute sul fondo di riserva della Segreteria di Stato, non su altri fondi né sul Fondo dell’Obolo di San Pietro che viene utilizzato, anno per anno, per le spese della missione del Papa”; e ancora, sempre Mons. Galantino: “Le perdite dell’investimento di Londra sono state sopportate dal fondo di riserva della Segreteria di Stato, e non dall’Obolo di San Pietro o da quello a disposizione del Santo Padre”.

Ad ogni modo, ha continuato Becciu, “quando arrivai in Segreteria di Stato nel 2011, era materialmente impossibile investire risorse effettivamente provenienti dal fondo Obolo”. Infatti, “la raccolta dell’Obolo ogni anno, in media, si attestava sui 45/50 milioni di euro. Di questi, ogni mese la Segreteria di Stato doveva trasferire, a titolo di contributo, 5 milioni di euro all’Apsa per il fabbisogno della Curia (per un totale di 60 milioni annui). Questo contributo aumentò poi ad 8 milioni al mese grazie alle riforme del Cardinale Pell (per un totale di 96 milioni l’anno)”. Oltre a ciò, “la Segreteria di Stato sosteneva parte delle spese della Radio vaticana, il cui totale ammontava a circa 33 milioni di euro l’anno, nonché quelle delle Rappresentanze diplomatiche della Santa Sede, per un budget di circa 30 milioni”. “Cosa mai restava quindi dell’Obolo? Niente!”, ha aggiunto. “Era questa la ragione per la quale gli investimenti non solo erano possibili, così come storicamente effettuati, ma necessari per contribuire al fabbisogno della Curia e non certo sostenuti dall’Obolo! – ha concluso Becciu – Queste sono le ragioni, di tipo matematico, per le quali l’assunto accusatorio risulta completamente smentito”.

PERLASCA E LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE – Infine il testimone-chiave del processo monsignor, Alberto Perlasca, ex direttore dell’Ufficio amministrativo, ha chiesto di costituirsi parte civile contro Becciu, per il reato di subornazione di testimone, per il fatto che il porporato si rivolse al vescovo di Como monsignor Oscar Cantoni per spingere Perlasca a ritrattare, e contro gli altri imputati Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi, Enrico Crasso e Nicola Squillace per truffa, avendolo “indotto in errore” nella firma dell’accordo sulle 1.000 azioni di controllo del Palazzo di Londra. Il Tribunale si è riservato. La richiesta di costituirsi parte civile, consegnata stamane in cancelleria al Tribunale vaticano e notificata alle difese, è stata illustrata all’inizio della 14/a udienza dal legale che assiste mons. Perlasca, avvocato, Alessandro Sammarco. All’istanza si sono opposti gli avvocati difensori, giudicandola tardiva e generica, nonché per la posizione di Perlasca, che è stato archiviato dopo essere stato indagato per gli stessi reati.

Sloane Avenue: il pentito Perlasca in cerca di soldi
Silere non possum, 5 maggio 2022


(…) In aula c’è stata bagarre e un clima molto teso. Il Promotore di Giustizia Alessandro Diddì, il quale non ha idea di cosa sia l’ordinamento vaticano, non ha ancora perso l’appoggio di Santa Marta e quindi gioca spavaldo in aula ma Giuseppe Pignatone ha più volte dichiarato inammissibili le domande rivolte al porporato. Il Presidente ha dovuto addirittura sospendere per cinque minuti l’udienza per calmare gli animi.

Il pentito Perlasca parte civile

Mons. Alberto Perlasca, dopo che la sua posizione è stata archiviata perché ha deciso di collaborare con il Promotore di Giustizia, ha deciso di costituirsi parte civile nel procedimento penale che lo dovrebbe, invece, vedere al fianco degli altri imputati. È chiaro però che la scelta dei magistrati vaticani è stata quella di assodarlo come accusatore ma hanno chiuso gli occhi sul fatto che quest’uomo è stato colui che ha combinato il “grande errore”, come lo ha definito S.E.R. Mons. Edgar Robinson Peña Parra.

E perché rompere la grande catena di idiozie di questo processo? Perlasca nomina il chiacchierato avvocato Emilio Sammarco che salì agli onori della cronaca per Virginia Raggi. Ciò che però a noi importa è che quest’uomo, come gli stessi Promotori di Giustizia e il Presidente del Tribunale non hanno idea di cosa sia il diritto canonico e vaticano. Al solito, nella Repubblica Italiana, patria di amici e parenti d’eccellenza, si prediligono coloro con il titolo di professori ma cosa insegnino alla fine non importa. Siamo pronti a sentire uscire dalla bocca di questo avvocato le stesse fini teorie della difesa Torzi. Dopo aver abbandonato l’avvocata che tentò di spiegare alla vittima di molestie sessuali nel Preseminario come farsi una vita a Roma, si è impegnato a chiedere l’ammissione al patrocinio di questo legale italiano a Mons. Alejandro Arellano Cedillo.

Eppure l’invito rivolto al monsignore comasco arriva proprio da Santa Marta, dove alloggia insieme al Pontefice. Francesco e il suo entourage non hanno apprezzato che tutti gli imputati abbiano detto, senza mezzi termini, che il Papa e i vertici della Segreteria di Stato erano costantemente informati. Probabilmente qualcuno sperava di esercitare la propria autorità morale ma non ha funzionato.

Dopo aver creato questo “grande errore”, quindi, Alberto Perlasca torna all’attacco e vuole anche dei soldi di risarcimento. Lamenta di essere vittima di subornazione da parte del Cardinale Becciu e di essere stato tratto in errore in merito alla sottoscrizione degli accordi con Gianluigi Torzi. Non vorrà mica anche essere ri-assunto? Il monsignore era a capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, non proprio l’ultimo pretino di campagna, è pensabile che si sia fatto “trarre in inganno”? Piuttosto bisognerebbe domandarsi come mai l’atteggiamento dei Promotori di Giustizia nei suoi confronti, ad un certo punto cambia? Forse perché Perlasca si prestò ad andare al Ristorante Lo Scarpone a Roma facendo al Cardinale Becciu le domande che nel frattempo la gendarmeria ascoltava registrando?

Il gendarme ci tiene a precisare che loro in territorio italiano non fanno attività di indagine. Sì, certo. Come quando la famiglia Orlandi organizzava i sit-in chiedendo giustizia e si ritrovava gendarmi in borghese che si intrufolavano fra la folla. Eppure le parole di Perlasca sono chiare, anzi protesta dicendo “no, guardi me lo ha detto lui” e Alessandro Diddì ha fatto finta di nulla. A chi si riferiva Perlasca? Lui chi? Se quest’uomo parla di registrazione allora ci sarà una registrazione. Oppure il Tribunale ordini una perizia psichiatrica su quest’uomo prima di ammettere l’istanza di costituzione di parte civile, perchè ciò che dice quindi non è attendibile. (…)

Oggi riprende il processo contro il Cardinal Becciu nell’aula bunker del Vaticano. La sua salvezza si trova nelle parole del suo accusatore – 5 maggio 2022

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