Mons. Nosiglia si congeda da Torino con il pensiero per il lavoro

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Oggi Torino elegge il suo arcivescovo, mons. Roberto Repole, che è succeduto a mons. Cesare Nosiglia, il quale ha officiato la celebrazione eucaristica, mercoledì 4 maggio nella festa liturgica della Sacra Sindone, ricordando l’incontro con papa Francesco:

“E ho pensato una cosa che mai mi era venuta in mente… E cioè che le piaghe e le ferite visibili sull’Uomo della Sindone sono state inferte da persone che obbedivano a ordini ricevuti, facevano il loro mestiere. Erano pagati per quel dolore, per dare morte.

E i miei pensieri immediatamente sono stati travolti dalle immagini terribili di come, tante volte, e in ogni tempo della storia, il ‘lavoro’ sia stato e sia tuttora non solo dignità, creatività, libertà, ma piuttosto ingiustizia, dolore, malvagità…

Da chi in nome del padrone di turno torturava e uccideva come avviene anche oggi in diverse parti del mondo, fino ai bambini o alle donne in tanti Paesi, costretti allo sfruttamento in condizioni inumane”.

Il lavoro come opportunità di un’opera sociale: “Il lavoro come strumento di ingiustizia e di morte; il lavoro come opportunità di dignità e di libertà per ogni persona. In questa dialettica sempre drammatica si giocano il nostro impegno per la giustizia sociale, e dunque la nostra testimonianza di cristiani per ‘promuovere’ il lavoro alla sua vera realtà: quella di essere, per ognuno, l’occasione di ‘continuare la creazione’, di rendere il mondo più bello e più giusto”.

Attraverso la promozione della dignità delle persone si riconosce l’immagine di Dio: “Mi sembra così di capire meglio il grande dono dei nostri cosiddetti ‘santi sociali’, da don Bosco al Cottolengo e al Murialdo: loro compresero che, nella realtà del loro tempo, il lavoro (anche in condizioni difficili, di disuguaglianza, di sfruttamento) rappresentava l’unica vera via d’uscita da una condizione ancora più disperata.

Ricordiamo come il primo contratto per i giovani (che erano obbligati a lavorare tutto il giorno e ogni giorno con un salario minimo e sfruttati anche a una giovane età) è stato quello di san Giovanni Bosco, che ha voluto così dare ai suoi ragazzi una prospettiva di lavoro quale via di libertà e di educazione”.

Il buon lavoro si realizza con l’istruzione: “Non è casuale che proprio questi santi sociali abbiano voluto impiantare le loro opere attraverso i servizi della scuola. Scuola di base, scuola professionale, che diventava, per alcuni, anche occasione per scoprire ‘vocazioni’ più profonde, come la consacrazione totale della propria vita al Signore.

Anche per questo e anche a noi, oggi, tocca ‘investire’ tutto quanto possiamo, le nostre risorse migliori, sui giovani e sulla loro formazione e il lavoro. Pertanto il welfare non può limitarsi a distribuire sussidi e beni, pure necessari, ma deve sostenere e accompagnare ogni persona perché trovi un precorso lavorativo che ne garantisca la libertà e la speranza nel futuro”.

Per questo la festa della Sindone è un momento per approfondire il valore del lavoro: “La festa di oggi che ci vede ancora insieme a celebrare la Sindone mi sollecita oltre che a tanti altri aspetti importanti della vita anche a questo del lavoro, che non è certo secondario.

Contemplare la Sindone, e celebrarla come facciamo noi oggi, riveste un valore che fa sì che tutta la vita assuma lo stesso dono di amore che la Sindone offre ad ogni persona.

Sì, l’amore più grande che la Sindone ci rivela è la misura e l’accoglienza nel vissuto concreto di ogni giorno della vera libertà che il lavoro offre a quanti possono averlo e ne facciano occasione di dignità e strumento di realizzazione di se stessi e di pace”.

E pochi giorni prima l’amministratore apostolico aveva rivolto un saluto ai lavoratori: “La disoccupazione totale o parziale è una piaga sociale che va combattuta sempre e comunque senza mai arrendersi all’ineluttabile.

Il diritto al lavoro resta il punto centrale di ogni società, di ogni sviluppo, ed esige dunque il massimo impegno da parte di tutti. Il diritto al lavoro porta con sé quello di condizioni dignitose ed umane del lavoro stesso, rispettoso di altri importanti diritti quali la famiglia, il tempo libero, il riposo”.

Ed ha citato il caso dell’ex Embraco: “La giustizia e la solidarietà camminano insieme e si realizzano tra i lavoratori quando ci si rende conto che le difficoltà di alcuni sono difficoltà di tutti e i diritti di alcuni sono da difendere e promuovere come diritti di tutti.

Se vogliamo che l’uomo sia al centro del lavoro, occorre che su questo tutte le forze sociali puntino con grande determinazione e siano coerenti poi nel mantenere fermo questo obiettivo, perseguendolo non solo sul piano sociale ma anche fraterno e spirituale.

Il caso dell’ex Embraco è quello più drammatico e inconcepibile, ma sappiamo bene che non è l’unico perché c’è una serie di situazioni in atto anche in altre aziende del territorio, in cui tanti lavoratori si sono trovati ad affrontare scelte ingiuste e devastanti per la loro vita e la loro famiglia, usati come pedine e merce di scambio per affari chiaramente poco trasparenti.

Colpisce per l’ampiezza dell’azienda e per il venire meno da parte anche del Ministero degli Affari Economici che avrebbe potuto e dovuto intervenire per attivare un percorso programmato insieme ad imprenditori, sindacati e lavoratori, con accordi idonei ad affrontare i problemi, tanto più che il lavoro non manca nella nostra realtà e che sembra dare buoni frutti anche sul piano della produzione nell’ultimo anno”.

Infine ha chiesto alla comunità cristiana di non rimanere indifferente: “La comunità cristiana non può restare indifferente a queste situazioni quando incidono in modo grave e devastante sulla vita delle famiglie, sul futuro dei giovani e sulle prospettive di un futuro sereno e garantito di lavoro sul territorio. Il Papa ha ripetuto che chi licenzia i suoi operai è come se vendesse la loro dignità e questo conduce a svendere anche la propria dignità di persona”.

Ecco il motivo per cui il lavoro è stato al centro della sua pastorale: “Il lavoro è troppo importante per la nostra vita per essere considerato solo una questione economica e contrattuale. Per questo ho vissuto insieme a tanti lavoratori e lavoratrici la loro sofferenza per il rischio di perdere il posto di lavoro. Senza il lavoro non è possibile costruire il nostro futuro!

Non si trova una casa, non si può costruire una famiglia! La Chiesa torinese perciò è pronta a fare la sua parte, non solo con l’appoggio morale ma anche con ogni altro mezzo a sua disposizione per dare un concreto sostegno ai lavoratori e alle loro famiglie. Ma non possiamo farcela da soli”.

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