Mons. Moraglia: san Marco illumini la strada della pace

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Durante la serenissima Repubblica di Venezia, era organizzata una processione da piazza san Marco, a cui partecipavano le autorità maggiormente influenti, sia civili che religiose, della repubblica. La tradizione centenaria di Venezia vuole che il 25 aprile, nel giorno dedicato a san Marco, sia offerto a fidanzate e mogli un bocciolo (in veneto bócoło) di rosa rossa, in segno d’amore.

Ma nell’omelia il patriarca della città lagunare, mons. Francesco Moraglia, ha invocato la pace per l’Ucraina: “All’intercessione di san Marco, raffigurato da un leone con un libro aperto su cui si leggono le parole ‘Pax tibi Marce…’, affidiamo la nostra invocazione e speranza di pace, da as sociare alla verità, alla giustizia e alla pietà.

Preghiamo, soprattutto, perché cessi l’uso delle armi e la violenza e così si possa dare sollievo a lle persone, in particolare alle più fragili e provate. Al patrono Marco affidiamo la nostra città di Venezia che ha da poco celebrato, tra le restrizioni a causa del Covid, il 1600^ anniversario della data della sua simbolica fondazione, di evidente richiamo cristiano e mariano”.

Il patriarca ha ricordato che fu lui il primo evangelista a parlare di Gesù: “Nell’evangelista Marco, com’è noto, riconosciamo colui che ha proposto il genere letterario ‘Vangelo’, fino a quel momento sconosciuto e non praticato. Il Vangelo secondo Marc o ha un carattere di vivacità, di vitalità e di immediatezza (anche drammatica) che gli altri Vangeli, peraltro più strutturati, non possiedono”.

Nel vangelo risalta la concretezza dell’apostolo: “Risalta così, nelle pagine marciane, la concretezza della figura umana e divina di Gesù, capace di muoversi con disinvoltura e anche di andare oltre gli schemi imperanti nel suo tempo e contesto, soprattutto nei confronti dei depositari della Legge, per annunciare l’evento salvifico che è Lui stesso.

Marco ha saputo inculturare l’evento di Gesù, accaduto in un luogo preciso (la Palestina) e in un tempo determinato (I sec. d.C.),  trasportandolo nel contesto differente (pagano e non semita) in cui avveniva la prima predicazione cristiana”.

L’evangelista narra l’operato di Gesù: “Per questo Marco non proclama tanto i doveri o le norme morali da rispettare o un programma pastorale, ma è tutto proteso ad annunciare una persona: Gesù Cristo, che è stato crocifisso, che è risorto, che è Figlio di Dio e, insieme, profondamente uomo (‘Figlio dell’uomo’), Colui che sconfigge il male che ha la sua origine in Satana”.

La narrazione prende avvio da un preciso contesto storico: “Tutto ciò avviene in un contesto storico carico di paure e superstizioni che si riversavano nel rapporto con la divinità, più da temere e da ingraziarsi che da amare. In Marco si nota da subito la potenza di Dio che sconfigge il male, che si evidenzia nella presenza del demonio…

E’ il suo un Vangelo sintetico ma completo, che culmina con la risurrezione e porta il mondo (a cui è destinato l’annuncio) a vedere la fede come l’incontro con una persona, una persona nella quale si riconosce la pienezza della fede e che, proprio nella risurrezione, dischiude il futuro”.

Ecco, quindi, la sua attualità narrativa: “La sorprendente attualità di Marco si evidenzia anche nella chiusura del Vangelo, dove si proclama la risurrezione di Cristo e si apre all’evangelizzazione e alla testimonianza dei cristiani…

L’annuncio kerigmatico è, dunque, ci ò che deve toccare oggi il cuore di ogni comunità ecclesiale, di ogni battezzato, di ogni discepolo del Signore. Si tratta, in particolare, di riscoprire la forza del sacramento del battesimo, come ci ha detto un altro versetto del Vangelo odierno”.

Il cristianesimo è il risultato di un incontro con una Persona, che si trasforma in missione: “Il cristianesimo non è prima di tutto una morale, né una progettazione pastorale o una visione psicologica e sociale; è il risultato dell’incontro con Gesù.

E ricevere la missione di Gesù è il frutto di una fede ben radicata nel sacramento del battesimo, in cui troviamo contenuta tutta la realtà sacramentale della Chiesa ed anche la vocazione delle singole persone che scaturisce dall’iniziazione cristiana”.

Ogni vocazione è espressione di una realtà sacramentale, che si concretizza nell’uomo: “La vita e la testimonianza cristiana non sono che l’esplicitazione del sacerdozio di Cristo per il mondo che vive nei sacramenti, a partire dal battesimo, inizio del cammino cristiano, che poi nell’eucaristia vive il suo momento forte di incontro con Dio e con i fratelli per ispirare e nutrire un’esistenza ‘eucaristica’…

Il fine dell’eucaristia, del resto, è ricevere dall’altare del Signore e vivere dovunque quella carità di Cris to che deve pervadere sempre chi (persone e comunità) è portatore dell’annuncio evangelico. Siamo perciò debitori nei confronti dell’evangelista Marco di questo annuncio del Vangelo così vivo e gioi oso, in cui doveri e moralità sono gioiose conseguenze dell’incontro personale e decisivo con Gesù Cristo”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)

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