Papa Francesco: la missione è gioia

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“Siete venuti dai diversi territori dell’Italia per il Convegno missionario giovanile, sul tema ‘Back to the COMIGI: La missione riparte dal futuro’. E’ un appuntamento organizzato in collaborazione con gli Istituti missionari, che qualifica il vostro itinerario formativo, invitandovi a rinnovare insieme l’impegno nella missione universale della Chiesa. Quest’anno è anche un’occasione preziosa per festeggiare il cinquantesimo anniversario della nascita del Movimento giovanile missionario delle Pontificie Opere Missionarie, oggi Missio Giovani”.

Così si è espresso papa Francesco ricevendo in udienza i giovani partecipanti a Sacrofano al COMIGI, che è il convegno dei giovani che hanno a cuore il mondo e la missione; l’occasione per formarsi e confrontarsi su grandi temi di importanza mondiale: il pianeta, le disuguaglianze, l’incontro tra culture e religioni per rinnovare l’impegno nella missione universale della Chiesa, come ha sottolineato il papa:

“E’ una ricorrenza importante per voi giovani missionari: un’opportunità per fare memoria di quello che è stato posto a fondamento della nascita di questo Movimento. E dalla rilettura della sua storia e nella fedeltà ad essa troverete la spinta per un nuovo slancio missionario da vivere giorno dopo giorno. La missione è così: giorno dopo giorno, non è una volta per sempre, no, si deve vivere ogni giorno”.

Ed ha declinato la missione in tre verbi (rialzati, prenditi cura e testimonia), espressione di tre movimenti, di cui il primo è il rialzarsi come è accaduto al figlio della vedova di Nain:

“Solo Luca, molto attento ai moti dell’animo umano e, in particolare, delle donne, registra questo episodio. Leggendo il testo si resta impressionati dalla sua dinamica: Gesù arriva in questa cittadina e vede che c’è un corteo funebre che esce dall’abitato; una madre vedova accompagna la bara del figlio verso la sepoltura”.

Il papa ha annotato la delicatezza di Gesù nei confronti di una madre che ha perso il figlio: “Gesù l’ha detto per incominciare un’azione. Si interessa del dolore degli ultimi, Gesù si interessa del dolore di chi soffre spesso in modo composto e dignitoso, di chi ha perso la speranza, di chi non vede più un futuro.

La morte di un figlio, in quella circostanza, significava la perdita di tutto. Gesù si avvicina alla bara e la tocca. Non gli interessa se questo contatto lo può rendere impuro, come diceva la Legge. Egli è venuto per salvare chi sta nelle tenebre e nell’ombra di morte”.

Oggi questo verbo è rivolto ai giovani: “Questa parola di Gesù riecheggia ancora oggi nel cuore di tanti ragazzi e a ciascuno rivolge l’invito: ‘Ti dico, alzati!’. Questo è un primo senso della missione su cui vi invito a riflettere: Gesù ci dà la forza per alzarci e ci chiede di sottrarci alla morte del ripiegamento su noi stessi, alla paralisi dell’egoismo, della pigrizia, della superficialità.

Queste paralisi sono un po’ dappertutto. E sono quelle che ci bloccano e ci fanno vivere una fede da museo, non una fede forte, una fede più morta che viva… La missione riparte quando prendiamo sul serio la parola del Signore Gesù: rialzati!”

La missione quindi significa prendersi cura come ha fatto il buon samaritano: “A differenza di due ministri del culto, che lo vedono ma passano oltre, un Samaritano, cioè uno straniero per i Giudei del tempo, che non avevano tanta amicizia con loro, si ferma e si prende cura di lui.

E lo fa anche in modo intelligente: gli dà un primo soccorso come può, poi lo porta in una locanda e paga il padrone perché possa essere assistito nei giorni successivi. Poche pennellate per descrivere un altro aspetto della missione, cioè il secondo verbo: prendersi cura. Cioè vivere la carità in modo dinamico e intelligente”.

La cura è un invito ad essere i ‘buoni samaritani’ della missione: “Anche voi siete chiamati a mettere a frutto le vostre competenze e mettere a servizio la vostra intelligenza, per organizzare la carità con progetti di ampio respiro. Oggi tocca a voi, ma non siete i primi!

Quanti missionari ‘buoni samaritani’ hanno vissuto la missione prendendosi cura dei fratelli e delle sorelle feriti lungo la strada! Sulle loro orme, con lo stile e le modalità adatte al nostro tempo, adesso tocca a voi realizzare una carità discreta ed efficace, una carità fantasiosa e intelligente, non episodica ma continua nel tempo, capace di accompagnare le persone nel loro cammino di guarigione e di crescita”.

La terza parola della missione è la testimonianza, come raccontato dagli Atti degli Apostoli:  “Ogni cristiano, battezzato in acqua e Spirito Santo, è chiamato a vivere come immerso in una Pasqua perenne e quindi a vivere da risorto. Non vivere come un morto, vivere da risorto!

Questo dono non è per noi soltanto, ma è destinato ad essere condiviso con tutti. La missione non può non essere motivata dall’entusiasmo di poter finalmente condividere questa felicità con gli altri.

Un’esperienza della fede bella e arricchente, che sa anche affrontare le inevitabili resistenze della vita, diventa quasi naturalmente convincente. Quando qualcuno racconta il Vangelo con la propria vita, questo fa breccia nei cuori anche più duri. Per questo vi affido l’ultimo verbo del missionario cristiano: testimonia con la tua vita”.

Ed ha concluso l’incontro con una frase di mons. Oscar Romero (‘Quanto più un uomo è felice, tanto più si manifesta in lui la gloria di Cristo’): “Vi auguro di essere missionari di gioia, missionari di amore. L’annuncio va fatto col sorriso, non con la tristezza.

San Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, verso la fine, dice che è una cosa brutta vedere evangelizzatori tristi, melanconici: leggete questo. Verso la fine, le ultime due pagine: la descrizione dell’evangelizzatore forte, del missionario, e di quelli che sono tristi dentro di sé, che sono incapaci di dare vita agli altri”.

Quindi la missione è gioia: “Per questo vi auguro di essere missionari di gioia e di amore. L’annuncio va fatto con il sorriso: ma non con il sorriso professionale, o quello che fa la pubblicità del dentifricio, no, con quello non va. Quello non serve. L’annuncio va fatto con il sorriso, ma con il sorriso di cuore, e non con la tristezza”.

(Foto: PopolieMissione)

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