La lezione di un grande armeno. Non credo che la guerra cesserà eppure chiedo anch’io il miracolo

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Nelle sue “Lamentazioni” Gregorio di Narek esprime una grande solidarietà universale proprio nella colpa, ma più l’umanità è peccatrice più si palesa in lui un’immensa fiducia nella Misericordia.

Scrivo mentre esplodono bombe a Mariupol e, proprio nello stesso momento, a San Pietro, Papa Francesco consacra al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina perché «cessi la guerra». Non cessa, non cesserà mai: Dio perdoni la mia poca fede. Conosco troppo bene gli uomini, e soprattutto il malvagio cuore dei potenti. Solo l’ultimo giorno saremo nel luogo dell’amicizia e della pace. Eppure prego. Perché prego? Mi sto prendendo in giro? Bestemmio la Grande Madre di Dio e Suo Figlio ritenendo che un missile ipersonico si alzerà domattina da qualche parte per uccidere l’inerme? Eppure prego per la pace. E anch’io consacro tutto ma proprio tutto a quel Cuore di Madre trafitto da cento spade e ancora sanguinante e purissimo. Niente è impossibile a Dio; ma occorre un sì! Un fiat! A questa nostra stirpe umana mai Iddio, e neppure Sua Mamma, toglierà la libertà di essere cattivi. Dio è fatto così. È la sua natura. Ci lascia liberi. Si fa mendicante del nostro cuore, e si lascia inchiodare, offrendo al centurione che gli ha appena squarciato il fianco l’occasione per riconoscere che in quel corpo martoriato c’è «veramente il Figlio di Dio».

Lo so che gli uomini sono cattivi, non solo per quello che sono stati capaci di fare nei secoli al popolo armeno i nemici, ma perché io stesso ho travolto la pace mille volte, odiando e non perdonando i fratelli azeri che uccidono e invadono l’Artsakh (Nagorno-Karabakh, secondo i vocabolari del resto del mondo).

Ecco, fa niente, perdono come sono perdonato, e chiedo anch’io il miracolo come voi nelle vostre dimore e chiese. Il miracolo che il Cielo intervenga e noi tutti, per una volta, gli lasciamo campo libero e- dal primo all’ultimo – ci lasciamo conquistare dalla misericordia. Ehi, Suo Figlio è morto per noi, guardiamolo.

Io sempre di più mi convinco che il Crocifisso sia armeno per uno speciale privilegio. Non è un caso, allora, che tutto il mondo sia rimasto, almeno per un giorno, anzi un minuto, stupefatto davanti a un innocuo crocefisso in legno, che veniva portato fuori da una chiesa. La barba, lo sguardo, lui, il Nazareno ancora morto, di nuovo ucciso. Non poteva che essere il crocifisso della cattedrale armena di Leopoli dedicata proprio alla Madre di Dio…

Nella mia piccola casa, sono radunato con i miei familiari, e so bene di essere l’ultimo degli ultimi a essere degno del miracolo. Ma da povero ortodosso, ritenuto eretico anche dagli ortodossi, mi inginocchio e prego la Madre di Dio. Accolto vicino al lago di Sevan dai fratelli Armeni, che mi ripararono da persecuzioni russe e turche, ho imparato a conoscere Gregorio di Narek, e appoggio anch’io al capezzale dei miei parenti e amici malati il suo Libro delle lamentazioni, per cui è stato fatto santo e proclamato dottore della Chiesa non solo dalla Chiesa apostolica armena ma anche da quella cattolica. Quel libro non sono parole, ma gocce di sangue di Cristo raccolte da una mano tremante e trasformate in poesia dolce e urlante.

Gregorio sa di essere peccatore ed esprime una grande solidarietà universale proprio nella colpa, ma più l’umanità è peccatrice più si palesa in lui un’immensa fiducia nella misericordia di Dio. Scrive Gregorio: «Voce di gemiti, di singhiozzi di pianti, di grida del cuore innalzo a Te, a Te Veggente dei segreti. E sul mesto fuoco che l’anima mi brucia, ponendo l’offerta del frutto dei desideri inceneriti del mio spirito squassato, col turibolo del mio volere l’invio a Te». Ogni pagina è universale. Parla di me edite. Afferma il Narek: «Percosso come sono dalla verga delle molteplici sferzate e giunto sull’orlo della morte, ritorni ora in me un leggero soffio di respiro che mi faccia rinvenire qual anima viva, mi ristabilisca, mi conforti, mi raddrizzi, risusciti dalla morte della perdizione, sollevato dalla mano di Cristo, il Tenero in tutto, mentre mi venga elargito dal benefico Padre celeste, a me peccatore, malato e morto, il frutto della salvezza e della guarigione». È detto il Pacificatore!

Ora, perdonatemi voi, oltre che il buon Dio, ma confesso di essere un poco egoista a dire che mi sono identificato nella consacrazione di quei due popoli in guerra, il russo e l’ucraino, ma ancora di più sono stato tramortito dalla consacrazione «dell’umanità intera». Perché noi Armeni siamo parte di questa «umanità intera», e vuol dire che anche noi Molokani, ignorati persino dai vocabolari, siamo offerti al suo cuore. Confidando che possa inviarvi ancora una lettera il mese prossimo, e la Russia non richiami in patria i suoi cinquemila soldati che ci difendono e così ci abbandoni, in un disegno geopolitico tremendo, ai nostri cari fratelli Azeri e Turchi.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato nel numero del 1° aprile 2022 di Tempi.

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