Se il Papa fa il Papa viene bombardato. Le donne della Via Crucis «adesso hanno paura»: l’ucraina Irina e la russa Albina temono ritorsioni

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Ritorniamo sul tema della XIII Stazione della Via Crucis del Venerdì Santo presieduta da Papa Francesco al Colosseo, condividendo quattro contributi:

  • Se il Papa fa il Papa viene bombardato di Vincenzo Nardiello – Roma, 16 aprile 2022.
  • Via Crucis, l’ucraina Irina e la russa Albina «adesso hanno paura»: temono ritorsioni. La Chiesa di Kiev: non è l’ora del perdono. Ma le due infermiere: «Il conflitto ci unisce» – di Emiliano Bernardini e Franca Giansoldati, Il Messaggero, 16 aprile 2022
  • Bravo il Papa che fa il Papa (e ha smesso di fare politica). Ultimamente Bergoglio sembra aver cambiato registro, riaffermando i valori cristiani relativi alla vita di Corrado Ocone – Nicolaporro.it, 17 aprile 2022
  • La «miseria simbolica» e bellica e la forza dei gesti di fede e pace di Giuseppe Lorizio – Avvenire, 16 aprile 2022

«Straordinario il silenzio di questa XIII stazione della Via Crucis qui al Colosseo. Papa Francesco ha deciso di porre tutta l’attenzione alla Croce portata da Irina e Albina insieme. Portando il coraggio e la nobiltà della loro amicizia a dispetto del sacrilegio della guerra» (Antonio Spadaro, SI).

«Quando mio figlio mi chiederà: “Papà come si fa la pace?”, gli mostrerò questo minuto di silenzio [QUI]. Questo minuto di sguardi. Questo minuto di mani aggrappate ad una croce di legno. Perché prima dei governi, prima delle diplomazie, prima delle polemiche c’è l’amicizia» (Gigi Di Palo).

Irina e Albina, una donna russa e una ucraina, hanno portato la croce in corrispondenza della XIII stazione della Via Crucis presieduta da Papa Francesco al Colosseo. È la stazione che ricorda la morte in croce di Gesù. La meditazione inizialmente prevista viene sostituita da un’invocazione alla pace: “Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel mondo”, questa l’orazione proclamata dal lettore.
Nella preghiera conclusiva della Via Crucis, Papa Francesco chiede a Dio di convertire “al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace”. “Porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia”.

Se il Papa fa il Papa viene bombardato
di Vincenzo Nardiello
Roma, 16 aprile 2022


Vogliono bombardare pure la Pasqua. Dipendesse da loro, i piromani di questa maledetta guerra combattuta a colpi di missili e balle darebbero fuoco anche alla Croce se ciò gli servisse a vincere. Lo dimostrano due cose: la ferocia con cui il Papa è stato ripetutamente attaccato, “reo” di aver voluto che una donna ucraina e una russa portassero assieme la Croce durante la Via Crucis, e il mancato scandalo che quelle parole avrebbero dovuto provocare.

Non solo l’Ambasciatore ucraino presso la Santa Sede ha avvertito delle «possibili conseguenze» del gesto – manco il Pontefice volesse dichiarare guerra alla Nato – ma c’è stato chi si è spinto fino a chiedere che alle «tante sofferenze» il Santo Padre «non ne aggiunga un’altra», ovvero «quella dell’ingiustizia e dell’incomprensione».

Eppure è da oltre un secolo, da quando Benedetto XV tuonò contro «l’inutile strage», che i Papi chiedono di far tacere i cannoni. Perché stavolta dovrebbe essere diverso? Come mai dà così fastidio che qualcuno ricordi l’esistenza della diplomazia? Perché tutto questo chiasso osceno per il Papa che fa il Papa? Insomma, Francesco val bene una messa solo quando parla di gay e migranti, così da essere strumentalizzato a sostegno delle tesi progressiste di chi sogna una Chiesa sempre più simile a una Ong.

A patto che non ficchi troppo il naso in Ucraina però, che lì le bombe devono continuare a cadere in santa pace, sia chiaro. Il punto vero, però, è che se il Pontefice invoca un accordo invece della vittoria degli uni sugli altri, nella migliore delle ipotesi viene minimizzato. Nella peggiore si tenta di zittirlo. Era già accaduto a fine marzo, quando la consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria «perché cessi la guerra efferata» era stata sostanzialmente ignorata – per non dire censurata – dalla gran parte dei media. Eppure si era trattato di un’iniziativa clamorosa da un punto di vista religioso e, sia detto con rispetto laico della laicissima Repubblica francese, forse appena appena più importante di una delle tante telefonate di Macron a Putin, universalmente note per la loro inutilità e su cui si sono versati fiumi d’inchiostro altrettanto inutile. Qualcuno dovrebbe ricordare ai suddetti piromani che lavorano per allargare l’incendio a tutta l’Europa che il protagonista della Via Crucis, da sempre, è Uno che era considerato un perdente. Certo, anche lui pretendeva di avere un esercito al seguito, ma non era esattamente del tipo di quello che sognano gli incendiari e i parolai che, armati di microfoni e tastiere, sparano menzogne a ritmo incessante. Del resto non è che da lorsignori ci si potesse aspettare molto di diverso: sono gli stessi che finanche alle Paralimpiadi, applicando ovviamente alla lettera lo spirito olimpico, hanno deciso che i disabili russi non potessero partecipare. Ecco, è in nome di questo spirito “cristiano” che tanti – cattolici e non – hanno apertamente attacca-to la scelta operata dal Papa per la Via Crucis di venerdì.

Una roba inaudita. Bene ha fatto il Santo Padre a non tornare sui suoi passi, sicuro della forza del suo messaggio di unione e non di divisione tra popoli. Mai era accaduto, neanche nelle recenti e contestatissime guerre in Kosovo, Iraq e Afghanistan, che si cercasse d’intimidirlo in una maniera così inaudita. È evidente che la ragione di questi attacchi è tutta politica: in troppi sono infastiditi da chi chiede la fine delle ostilità e che la parola passi alla diplomazia. Come se la ferma condanna dei crimini di Putin debba essere un ostacolo insuperabile al raggiungimento di una soluzione. Ormai dovrebbe essere chiaro – innanzitutto in Vaticano – che quando il Pontefice abbandona il linguaggio politicamente corretto che troppe volte predilige, quando si mette contro il vento mortifero che soffia dal mondo, allora gli si applica quella che lui stesso ha definito «la cultura dello scarto». Una buona ragione perché il Papa archivi quel linguaggio definitivamente.

«Albina e Irina, una russa l’altra ucraina, hanno portato insieme la Croce nella Via Crucis presieduta da Papa Francesco. L’hanno portata in silenzio, un silenzio che gridava dolore. Mentre le Tv nazionali di Kiev e alcuni media non hanno trasmesso per protesta la funzione in diretta, queste due donne hanno sfidato l’odio, lanciando un grande messaggio di pace» (Adriana Musella).

Via Crucis, l’ucraina Irina e la russa Albina «adesso hanno paura»: temono ritorsioni
La Chiesa di Kiev: non è l’ora del perdono. Ma le due infermiere: «Il conflitto ci unisce»
di Emiliano Bernardini e Franca Giansoldati
Il Messaggero, 16 aprile 2022


Il giorno dopo aver lanciato un messaggio potentissimo in mondovisione, Irina e Albina, le due infermiere del Campus Bio Medico che hanno portato la croce durante la Via Crucis, si sono chiuse in un silenzio assordante. D’altronde nessuna parola avrebbe potuto superare quello sguardo che si sono scambiate mentre si apprestavano a percorrere la tredicesima stazione. «Sono riservate» fanno sapere. Ma, nei corridoi del Campus trapela che il motivo è anche un altro: hanno paura. Paura delle conseguenze che le loro parole possono scatenare visto il putiferio dopo la scelta fatta da Papa Francesco. Una scelta bollata come inopportuna, visti i bombardamenti e le battaglie ancora in corso, dall’Ambasciata di Kiev in Santa Sede, ma anche dalla Chiesa Cattolica locale. Insomma il timore di ripercussioni è fondato. Non è un caso nemmeno che venerdì sia stato cambiato il cerimoniale: Irina e Albina sono rimaste in silenzio durante il trasporto della croce. Ma quello sguardo è stato più potente di ogni altra parola. Tanti colleghi e amici hanno scritto loro messaggi di complimenti e solidarietà. Si sono lasciate andare solo con chi hanno legami più stretti. Un sistema di protezione. Temono per le loro famiglie in Ucraina e Russia e per quelle che hanno qui in Italia. Al Campus le conoscono praticamente tutti. «Sono un esempio positivo. Hanno una forza incredibile. Il loro legame è un qualcosa che deve far capire quanto questi due popoli siano fratelli», raccontano. «Non è da tutti avere il coraggio di fare quello che hanno fatto». E già perché ora questa sovraesposizione mediatica ha finito per costringerle al silenzio. Un silenzio voluto e consigliato.

La forza del silenzio

Hanno paura di possibili ritorsioni verso i loro cari o delle reazioni che le rispettive ambasciate possono avere. Il loro pensiero lo hanno esternato in un video registrato con il Campus Bio-medico pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità: «Sono in ansia per mia madre e i miei cari che sono in guerra. Anche se sono in una zona più tranquilla ciò non toglie che la preoccupazione sia grandissima. Li sento tutti i giorni e cerco di supportarli e aiutarli», le parole di Irina. Albina aveva gli occhi gonfi di lacrime allo scoppio della guerra, e nel video lancia un messaggio fortissimo: «Io sono russa ma amo l’Ucraina. Hanno cercato di mettere contro i due paesi» [QUI].

Il loro legame

La loro amicizia è nata un po’ per caso, un po’ per necessità. Albina è russa e studia al terzo anno del corso di laurea in Infermieristica mentre Irina è ucraina ed è già infermiera al Centro di Cure Palliative “Insieme per la cura” della Fondazione del Policlinico Universitario dell’Opus Dei. Ad unirle è stata la pandemia. Si sono conosciute durante i mesi duri del lockdown. Dei turni snervanti e senza fine. Delle incertezze e della paura. Poi è arrivata la guerra. «Poco dopo lo scoppio, Albina è venuta nel mio reparto. Io ero di turno. È bastato il nostro sguardo: i nostri occhi si sono riempiti di lacrime e Albina ha cominciato a chiedermi scusa. Si sentiva in colpa e mi chiedeva scusa. Io la rassicuravo che lei non c’entrava niente in tutto questo», racconta Irina. Oggi dicono sicure: «La guerra ci ha unite».

La polemica della Chiesa

Vederle il giorno del Venerdì Santo reggere la croce di Cristo ha però creato un caso in Ucraina. Colpa di percezioni sbilanciate. L’Arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč, Svjatoslav Ševčuk ha spiegato che assistere ad un allestimento del genere mentre i missili continuano a cadere e mentre, anche ieri, sono stati dissotterrati altri 900 corpi di donne, anziani e bambini uccisi dai russi è difficile da metabolizzare in un amen. «Con le truppe russe presenti tali gesti sono in linea di principio impossibili: penso non sia ancora il momento di parlare di riconciliazione. Per riconciliarsi bisogna almeno essere vivi». Su quel «bisogna almeno essere vivi» l’arcivescovo ha calcato in modo particolare e non è proprio un dettaglio per chi vive quotidianamente una catena di dolorosi lutti. Alla Radio cattolica ucraina ha raccontato di avere insistito moltissimo in Vaticano perché la pia rappresentazione al Colosseo non avesse quella impostazione. «Ad alcuni sognatori vaticani che immaginano la pace tra le nazioni, la fratellanza e l’unità, è venuta l’idea di compiere gesti di riconciliazione tra russi e ucraini lungo la Via Crucis». Non che il perdono e la riconciliazione non siano previsti, tutt’altro. Il fatto è che, secondo la Chiesa di Kiev, occorre procedere per gradi.

«Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata. Su questa terribile notte di sofferenza e di morte sorga presto una nuova alba di speranza! Si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre» (Papa Francesco – Urbi et Orbi, 17 aprile 2022).

Bravo il Papa che fa il Papa (e ha smesso di fare politica)
Ultimamente Bergoglio sembra aver cambiato registro, riaffermando i valori cristiani relativi alla vita
di Corrado Ocone
Nicolaporro.it, 17 aprile 2022


È da un po’ di tempo che Papa Francesco scontenta quel fronte progressista mediatizzato che detta le regole della comunicazione globale. E che lo aveva eletto a una sorta di idolo buonista prèt-à-porter alla stregua di un Bono Vox o di una Greta Thunberg. E Bergoglio, in verità, ai nostri occhi era sembrato fin troppo stare al gioco, poco propenso a sottrarsi all’abbraccio fatale. Il che ci sembrava non solo una svendita a buon mercato del messaggio cristiano al secolo, ma anche una perdita di quella gravitas che è connessa al ruolo e che ogni momento dovrebbe richiamare al senso del mistero e del sacro che è connesso alla vita umana. Che un certo populismo terzomondista in chiave sudamericana si saldasse a quella cultura liberal che detta le regole al mondo non era dopo tuto una novità, ma che è a farsene regista fosse il successore di Pietro ci sembrava, con tutte le cautele e il rispetto del caso, un segno a sua volta deteriore dello “spirito del tempo”.

Ultimamente Francesco sembra però aver cambiato registro, ad esempio riaffermando senza ambiguità i valori cristiani relativi alla vita (contribuendo anche, in qualche misura, a stoppare la legge italiana sull’eutanasia). Fino ad assumere una posizione sulla guerra in Ucraina di schietta impronta cristiana, cioè predicando il disarmo e la pace senza se e senza ma e porgendo lo sguardo alle sofferenze degli umili e delle tante anime innocenti che ovviamente non hanno colore e stanno dall’una come dall’altra. Il pacifismo cristiano, spesso contraddetto nel passato dalla stessa Chiesa, che è istituzione umana come le altre, è questo e non altro.

Ed è inutile tirare il Papa, che fa il suo (sacro) “mestiere”, per la veste talare, come fa la sinistra che domina il popperiano mondo 3. e che resta nel fondo del suo animo intollerante e manichea, e quindi antioccidentale. Anche se per convenienza oggi assume ipocritamente le vesti di un occidentalismo da puri e integri come ama da sempre considerarsi. Quel pacifismo cristiano che va nettamente distinto e separato dai pacifismi strumentali di molti intellettuali sempre della sinistra (alla “Partigiani della Pace” di vecchia memoria per intenderci) e da quelli imbelli da yuppie e figli dei fiori che, per quanto oggi attempati, a comando son sempre pronti a scendere in piazza.

Il pacifismo cristiano non è altro dall’Occidente perché l’Occidente non è altro che questo: la continua tensione fra Chiesa e Potere, fra etica e politica, fra universalismo e particolarismo, fra Dio e Cesare. Papato e Impero. E guai a chiudere il cerchio una vota per sempre, nell’uno o nell’altro senso.

La Chiesa pecca contro lo spirito, ed è poco cristiana, quando smette di fare il suo mestiere e quindi di rappresentare uno dei due poli in cui dialetticamente si svolge la nostra civiltà. Che è una tentazione a cui molto spesso anche Francesco, nella prima fase del suo pontificato, è sembrato, come dicevamo, non sottrarsi, ad esempio quando non ha lesinato attacchi diretti a presidenti americani o a leader italiani democraticamente eletti mentre casomai incontrava senza problemi dittatori populisti sudamericani.

Ovviamente, un giudizio storico su un pontificato intero si potrà dare solo in futuro. Né è da escludere che dietro la scelta di non attaccare direttamente oggi lo zar aggressore ci siano considerazioni di realpolitik connesse ai rapporti con i cristiani ortodossi o al volersi preservare una via di mediazione per la pace che prima o poi dovrà arrivare. Ma le motivazioni non fanno la storia se non per i risultati che producono.

E, fra i tanti prodotti finora generati, ci piace considerare anche la riconquistata autorevolezza di chi, conscio del suo ruolo e di quello dell’istituzione che guida, presa la decisione di far portare la croce della Passione nel Giovedì Santo a una donna ucraina e ad una russa, non si è lasciato spaventare dalle grida scomposte di chi un tempo strumentalmente lo osannava. Francesco ha proceduto dritto senza lasciarsi minimamente ammaliare dalle alcinesche seduzioni del secolo. Che col suo esempio sia questa per tutti, “buoni” e a maggior ragione “cattivi”, una Pasqua di resurrezione!

La «miseria simbolica» e bellica e la forza dei gesti di fede e pace
di Giuseppe Lorizio
Avvenire, 16 aprile 2022


Secondo le acute analisi del filosofo francese, scomparso nel 2020, Bernard Stiegler, la nostra epoca «iperindustriale», mentre vive la «catastrofe del sensibile» assume come propria cifra la «miseria simbolica» (titolo dei due volumi, pubblicati in italiano nel 2021 e 2022 da Meltemi). In tale contesto, mentre la marginalità può aprire ampi spazi di possibilità, nella misura in cui riesce a ispirare una vera e propria «mistica del margine» (La forza dei gesti di pace), al tempo stesso si sviluppa una «guerra estetica», micidiale e che sperimentiamo in questo momento come venga a supportare il conflitto armato.

In momenti così drammatici abbiamo estremo bisogno di superare tale miseria, offrendo e proponendo al mondo autentici gesti simbolici, quali quelli cui abbiamo assistito nelle ultime ore, nel cammino verso la Pasqua. Una custode di simboli quale la Chiesa non manca di farsi carico di tale compito, rischiando anche il dileggio e il fraintendimento, ma non desistendo in una sua funzione fondamentale: quella di allargare gli spazi della sacramentalità, non limitandosi alle parole e agli appelli. E il luogo in cui tale sacramentalità si esprime è il mondo, secondo le felici riflessioni di un grande pensatore teologo ortodosso russo quale Alexander Schmemann (“Per la vita del mondo. Il mondo come sacramento”, Lipa 2012).

Ai sacramenti che celebriamo nei luoghi di culto, finalmente in presenza, deve corrispondere il nostro essere segni nella storia.

Il tal senso, Mimmo Muolo qualche anno fa, a partire da queste pagine, ha coniato la felice espressione «l’enciclica dei gesti di papa Francesco», offrendone in un suggestivo e importante volume pubblicato dalle Edizioni Paoline una rassegna, che richiederebbe un adeguato aggiornamento.

I gesti di questo Venerdì Santo non sono stati posti dal Vescovo di Roma, ma egli certamente li ha ispirati e fortemente voluti.

Nella consapevolezza che, come afferma la Dei Verbum al n. 2, la Rivelazione si fa attraverso «gesti e parole, intrinsecamente connessi» (e non è un caso se al primo posto sia affermata l’importanza della gestualità, che ha a che fare con la corporeità), abbiamo potuto osservare e, volendo, partecipare, innanzitutto il gesto del cardinal Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, a Borodyanka, in ginocchio sul ciglio di una fossa comune. È il luogo della Via Crucis, come lo ha voluto Francesco, in modo che la croce di Cristo non venisse solo contemplata attraverso le sue rappresentazioni iconografiche, ma nella realtà dei cadaveri e dei morti di questa assurda guerra.

L’altro gesto, senza parole, quello delle due donne che hanno portato la croce nella Via Crucis al Colosseo, una russa, l’altra ucraina (Albina e Irina). La scelta di non accompagnare questo gesto con delle parole di commento ha finito con il sottolineare l’efficacia dello stesso, oltre la comunicazione verbale. Chi ha tentato di evitare che l’evento si verificasse o lo ha censurato, impedendo alla propria gente la partecipazione televisiva alla trasmissione della Via Crucis, non ha compreso il senso profondamente simbolico di questa scelta, portando acqua alla tesi di quella «miseria simbolica», che finisce col disumanizzare la società e la storia.

La presenza del Figlio nella storia si esprime attraverso gesti e parole. Talvolta tuttavia Gesù tace. In diverse occasioni nel corso di questo conflitto armato si riportata l’espressione di Eschilo secondo cui «la prima vittima della guerra è la verità». Colui che aveva affermato di essere «la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6), di fronte alla domanda di Pilato: «Che cosa è la verità?» (Gv 18,38) rimane in silenzio. E il governatore non trova in lui alcuna colpa. L’esegesi fa notare come nel primo caso la parola “verità” sia preceduta dall’articolo, nella domanda del governatore romano, in realtà, l’articolo non c’è. Egli non è interessato alla Verità, ma vuol solo sapere che cosa è vero in quella circostanza, chi ha ragione e chi ha torto e quale è la posizione di colui che si appresta a condannare, non senza avergli sbattuto in faccia il suo “potere” di mandarlo a subire la «mors turpissima crucis». Qui Gesù risponde: «Non avresti alcun potere se non ti fosse stato dato dall’alto» (Gv 19,11).

La feroce esperienza di questa guerra ci pone ancora una volta di fronte alla questione della verità e a quella del potere. Rispetto a entrambi la Chiesa pone dei gesti-segni, che nella loro efficacia parlano soprattutto alle coscienze dei semplici, ma dovrebbero anche interpellare con forza i potenti di questo mondo, anche coloro che hanno la responsabilità delle Chiese e delle religioni.

Postscriptum

«Notare che il Papa, che prima finiva al Tg anche se aveva detto che preferisce le penne rigate alle lisce, mo’ è praticamente sparito. Così impari a parlare di pace e addirittura mettere insieme Russi e Ucraini alla Via Crucis. Tiè!» (Alberto Scotti).

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