Il processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato è ricerca di verità o di capri espiatori? Le accuse contro Becciu si sgretolano come un castello di sabbia
Il veterano vaticanista statunitense John L. Allen Jr, Direttore del sito Crux, il 10 aprile 2022 ha scritto che «arranca la “Storia delle Due Narrazioni”» del «Processo del Secolo» del Vaticano, che coinvolge dieci imputati, incluso il Cardinale Angelo Becciu, vittima di accuse calunniose e infamanti, senza un briciolo di prove che reggono la verifica. Secondo Allen questo processo ha due narrative contrapposte. Di fronte a tante domande che persistono, Anna Mertens ha posto il 5 aprile 2022 su Dom Radio la domanda cruciale: si tratta di «ricerca della verità o ricerca di capri espiatori?».
La giornalista del sito tedesco Dom Radio sottolinea tra altro l’assurdità della richiesta di archiviazione per Mons. Alberto Perlasca e metto il dito sulle responsabilità dell’Arcivescovo Edgar Peña Parra: «Alla fine, resta la domanda su dove questo teatro dovrebbe portare. (…) Dopo otto mesi, non si può più parlare di “fare un processo breve”. La domanda è piuttosto, dove dovrebbe portare l’intera faccenda. Si tratta di verità, di giustizia o di capri espiatori? (…) Alcuni in aula si chiedono come l’ex Capo dell’amministrazione in Segreteria di Stato, Alberto Perlasca, sia diventato il testimone principale e perché non si trova sul banco degli imputati. Perlasca ha supervisionato i conti e le transazioni negli anni cruciali fino al 2019. Anche il ruolo del successore di Becciu come Sostituto, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, rimane poco chiaro dall’esterno».
Quindi, per John Allen questo è un processo fatto da narrazione. La prima narrazione descrive una storia di criminalità, vedendo coinvolti loschi uomini d’affari italiani e chierici corrotti, che hanno sottratto fondi all’Obolo di San Pietro. La seconda narrazione riduce il tutto ad una semplice mancanza di rigore nella gestione delle finanze della Santa Sede, con serie conseguenze, visto le consistenti perdite finanziarie, combinata con la secolare tendenza della gerarchia a cercare capri espiatori per i propri fallimenti. In ogni caso «c’è una sorta di crimine qui, non importa come lo tagli», deduce Allen. Comunque, resta da vedere la responsabilità effettiva, tra gli imputati e i “salvati” dai Promotori di Ingiustizia.
Allen sottolinea che l’ex Capo dell’Autorità di Informazione Finanziaria vaticana, René Brülhart, non aveva un mandato per controllare i fondi della Segreteria di Stato, e che le accuse nei suoi confronti sono quindi infondate. Allen osserva che «una delle tante ironie dell’attuale processo è che Brülhart è stato accusato di mancata supervisione per non aver posto il veto a un accordo che, per statuto, non è mai stato affar suo. Se avesse cercato di fermarlo, avrebbe potuto essere accusato di aver superato la sua autorità».
L’autorevole vaticanista statunitense punta invece alla diretta responsabilità del Sostituto della Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, che avrebbe ratificato il pagamento di una consistente somma all’uomo d’affari Gianluigi Torzi, con il consenso personale di Papa Francesco, secondo alcuni testimoni. Per Allen «la conclusione ovvia è che il processo in corso è, in fondo, un esercizio nel tentativo di trasferire la responsabilità di quegli accordi su qualcun altro». Cioè, ricerca di capi espiatori.
Resta da vedere quale delle due narrazioni prevarrà, conclude Allen, anche se «per ora, tuttavia, sembra corretto affermare che storia della criminalità ha incassato alcuni colpi».
Sullo stesso tema, Felice Manti aveva titolato su Ilgiornale.it del 7 aprile 2022: «Vaticano, si sgretolano tutte le accuse contro Becciu. Chi ha gestito la compravendita lo scagiona, il cardinale parlerà senza l’obbligo del segreto».
Ormai è chiaro, intelligenti pauca. La magistratura vaticana è mera esecutrice di ordini ricevuti dal Domus Sanctae Marthae. É palese che in questo processo Becciu+9 i primi a violare le norme sono i magistrati vaticani, che così facendo realizzano i desiderata del monarca assoluto. Colui che ha parlato al CSM come se la magistratura vaticana fosse da esempio per le magistrature di tutto il globo. Ma dai!
Sotto le onde della verità stanno crollando come un castello di sabbia le false accuse contro Becciu. E tutto ciò grazie alle testimonianze di altri imputati, in un processo che è ancora alle prime battute soltanto. Nella deposizione di Mons. Mauro Carlino si capisce bene che se ci sono degli addebiti da fare, bisogna farli all’Arcivescovo Edgar Peña Parra e al Cardinale Pietro Parolin. Non certo al Cardinale Angelo Becciu. L’Uomo Nero che Veste di Bianco ha sciolto dal segreto pontificio Becciu. Quindi, Becciu sarà libero di parlare anche di quello che è stato il suo dialogo con il Papa in ordine ai capi d’imputazione. Il Papa sapeva e approvava. Questo ormai è chiaro. È proprio il Papa che in questo processo sta facendo una pessima figura e ha liberato dal segreto pontificio un cardinale che lui stesso ha delegittimato e punito gratuitamente sulla base della carta straccia dell’Espresso. La domanda è se Becciu potrà parlare liberamente a processo, perché la sua testimonianza prevista per il 5 maggio si preannuncia come una bomba. Quindi, siamo proprio sicuri che Becciu riuscirà a rendere testimonianza il 5 maggio?
Scrive Felice Manti su Ilgiornale.it: «E in Vaticano ad accusare Becciu alla fine sembra non rimanga più nessuno. Nessuna voce, nessun documento, nessun giornalone. Non è un giallo alla Agatha Christie ma quanto è finora emerso a processo per la vendita del palazzo di Sloane Avenue somiglia più al copione di un film sconclusionato. Nei giorni scorsi alcune deposizioni hanno forse messo una pietra tombale sulle speranze di far condannare il cardinale. (…). La carità non è reato. La calunnia sì. Il Papa lo sa e ha autorizzato Becciu – il prossimo 5 maggio – a astenersi dal segreto vaticano pur di difendersi. Lo farà? Tra un mese l’ardua sentenza».
Quindi, vedremo il 5 maggio prossimo cosa dirà il Cardinal Becciu… sempre se riuscirà a rendere la sua testimonianza in quella data… Il colpo di scena potrebbe essere dietro l’angolo…
Infine, Nico Spuntoni informa su La Nuova Bussola Quotidiana del 9 aprile 2020, in riferimento all’Australian Gate, di cui ci siamo occupato qui più volte un anno fa, che «Becciu non pagò per accusare Pell, un documento lo prova». Ecco, un’ulteriore onda che fa crollare un’altra parte del castello di sabbia di accuse infamanti senza prove – calunnie – alzato contro Becciu: «Dall’Australia spunta un documento, che la Bussola ha potuto visionare, che attesta che i soldi transitati dal Vaticano verso l’Australia non hanno nulla a che fare con il processo al Cardinal Pell, ma avevano come destinataria una società di sicurezza informatica per un contratto relativo alla gestione di alcuni domini “cattolici”. (…) Precedente alla richiesta di citazione in giudizio partita nell’estate del 2021 dall’Ufficio del Promotore di Giustizia, sono finite su alcuni giornali italiani diverse ipotesi investigative sulle azioni condotte da Becciu ai tempi del suo ruolo di Sostituto della Segreteria di Stato. Tra di esse era filtrata anche una presunta pista australiana legata ad uno dei casi d’ingiustizia più gravi della storia recente: ad inizio ottobre del 2020, infatti, il Corriere della Sera scrisse di “700 mila euro inviati in Australia attraverso alcuni bonifici frazionati” che “potrebbero essere stati utilizzati per ‘comprare’ gli accusatori nel processo per pedofilia contro il Cardinale George Pell”. A leggere gli articoli che le riportavano all’epoca, quelle accuse sembravano pesanti e piuttosto circostanziate. Poi, però, nonostante i riflettori rimasti accesi sul processo in Vaticano, della pista australiana non se n’è quasi più parlato. (…) L’unico a ritornare sull’argomento era stato il Cardinal Pell con dichiarazioni sibilline: “Sappiamo che del denaro è andato dal Vaticano in Australia, due milioni e 230 mila dollari, ma finora nessuno ha spiegato perché”, aveva detto il Prefetto emerito della Segreteria per l’Economia. Quello che sappiamo è che tra il 2016 ed il 2017 la Segreteria di Stato – di cui all’epoca Becciu era il Sostituto – ha autorizzato il pagamento di più bonifici del valore complessivo di più di due milioni di dollari alla società Neustar con sede a Melbourne. A proposito di quelle movimentazioni su cui si è adombrato il sospetto che ci potesse essere un collegamento con l’incriminazione di Pell era stata la stessa Sala Stampa della Santa Sede a chiarire in un comunicato del 13 gennaio 2021 che “la cifra è riconducibile ad alcuni obblighi contrattuali e all’ordinaria gestione delle proprie risorse”».
Di seguito riportiamo i testi integrali dei quattro contributi di chi abbiamo trattato prima:
- Arranca la “Storia delle Due Narrazioni” del processo vaticano di John L. Allen Jr. – Cruxnow.com, 10 aprile 2022
- Vaticano, si sgretolano tutte le accuse contro Becciu. Chi ha gestito la compravendita lo scagiona, il cardinale parlerà senza l’obbligo del segreto di Felice Manti – Ilgiornale.it, 7 aprile 2022
- Becciu non pagò per accusare Pell, un documento lo prova di Nico Spuntoni – Lanuovabq.it, 9 aprile 2022
- Persistono le domande sul processo finanziario vaticano. Ricerca della verità o ricerca di capri espiatori? di Anna Mertens – Domradio.de, 5 aprile 2022
Arranca la “Storia delle Due Narrazioni” del processo vaticano
di John L. Allen Jr.
Cruxnow.com, 10 aprile 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Come ho detto in passato, il “Processo del Secolo” del Vaticano, che è incentrato su accuse di frode, appropriazione indebita e truffa a carico di dieci persone – incluso un cardinale – dopo che un affare immobiliare londinese è andato terribilmente storto, si riduce a un “Racconto di Due Narrazioni”.
La prima narrazione è una storia di criminalità, con loschi uomini d’affari italiani e chierici corrotti, che hanno cospirato illegalmente per sottrarre milioni al Vaticano e che ora stanno ottenendo la loro giusto castigo. A peggiorare le cose, il denaro rubato proveniva dall’Obolo di San Pietro, che rappresenta i sudati contributi di semplici cattolici di tutto il mondo per sostenere le opere del Papa.
La seconda narrazione è una storia di cattiva gestione del denaro, che finì per costare al Vaticano 200 milioni di dollari, combinata con la secolare tendenza della gerarchia a cercare capri espiatori per i propri fallimenti. A peggiorare le cose, il denaro sperperato proveniva dall’Obolo di Pietro, che rappresenta i sudati contributi di semplici cattolici di tutto il mondo per sostenere le opere del Papa.
Come si vede, le due narrazioni si sovrappongono in alcuni punti. La differenza principale è che se è successo qualcosa di criminale, a meno che non ci si abboni al detto di Hunter S. Thompson che in un mondo di ladri, l’unico vero crimine è la stupidità, nel qual caso c’è una sorta di crimine qui, non importa come lo tagli.
Il processo ha tenuto un’altra udienza lo scorso martedì e, in generale, la testimonianza sembrava sostenere la narrativa due, che significa cattiva gestione piuttosto che criminalità. Un quotidiano italiano intitolava così la sua copertura: “Si sgretola un pezzo alla volta il castello accusatorio messo su dal pg Diddi, che continua a collezionare figuracce”.
Il principale testimone è stato René Brülhart, ex capo dell’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) [della Santa Sede e dello Stato della Città] del Vaticano, creata sotto Papa Benedetto XVI alla fine del 2010 per adeguare [la Santa Sede e] il Vaticano alle migliori pratiche internazionali in materia di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo.
Brülhart fu considerata una scelta impressionante, avendo servito come Zar dell’intelligence finanziaria del Lussemburgo, trasformando la sua reputazione di paria fiscale. È stato anche Vicepresidente del Gruppo Egmont, un consorzio internazionale di unità di intelligence finanziaria. Ufficialmente, si è dimesso nel 2019, anche se la realtà è che è stato costretto a dimettersi settimane dopo che il suo ufficio era stato perquisito come parte delle indagini sullo scandalo londinese.
Nella sua testimonianza di martedì, Brülhart ha detto che il suo Ufficio aveva avviato la propria indagine sulla transazione di Londra quando ne è venuto a conoscenza nel marzo 2019, ma, alla fine, non aveva il potere di fermarla perché l’AIF non aveva il potere sulla Segreteria di Stato, il dipartimento che ha mediato l’affare.
(Una delle tante ironie dell’attuale processo è che Brülhart è stato accusato di mancata supervisione per non aver posto il veto a un accordo che, per statuto, non è mai stato affar suo, per iniziare. Se avesse cercato di fermarlo, avrebbe potuto essere accusato di aver superato la sua autorità).
Per fare un passo indietro, l’affare londinese si è svolto in due fasi fondamentali. Nel 2014, la Segreteria di Stato ha acquistato una partecipazione del 45% in una proprietà londinese, un ex magazzino Harrod’s destinato a essere convertito in appartamenti di lusso, attraverso un fondo di investimento gestito dall’uomo d’affari italiano Raffaele Mincione. All’epoca il Sostituto della Segreteria di Stato era l’allora Arcivescovo, ora Cardinale Angelo Becciu, che è tra gli imputati nel processo vaticano [succeduto il 15 ottobre 2018 dall’Arcivescovo Edgar Peña Parra, l’attuale Sostituto. V.v.B.].
Nel 2018, la Segreteria di Stato ha inasprito il suo rapporto con Mincione e ha cercato di uscire dall’accordo pagando ulteriori 40 milioni di dollari per acquisire il pieno controllo della proprietà attraverso i servizi di un altro uomo d’affari italiano, Gianluigi Torzi. In seguito anche il Vaticano si inasprì con Torzi e tentò, ancora una volta, di riscattarsi dai contratti che aveva firmato con lui.
In totale, il Vaticano ha speso circa 200 milioni di dollari per l’affare londinese e ha stipulato un mutuo di 150 milioni di dollari. Si dice che abbia perso più di 200 milioni di dollari quando la polvere si è finalmente posata.
Il coinvolgimento accessorio di Brülhart è arrivato solo nella seconda fase. Ha testimoniato che nell’aprile 2019 era ampiamente chiaro che la Segreteria di Stato sotto il nuovo Sostituto, l’Arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra, aveva deciso di ripagare Torzi piuttosto che citarlo in giudizio. Tra le altre cose, ha detto Brülhart, Peña Parra era preoccupata di mettere in cattiva luce il Vaticano se l’entità delle sue perdite fosse diventata pubblica.
Altri testimoni hanno affermato che lo stesso Papa Francesco ha seguito da vicino gli sviluppi dell’affare londinese, ed è stato così contento dei pagamenti effettuati a Torzi – gli stessi pagamenti che ora sono oggetto del procedimento penale in Vaticano – che ha addirittura pagato una cena in maggio 2019 per celebrare l’accordo.
In altre parole, il quadro dipinto da Brülhart e altri non è che il Vaticano sia stato spellato, ma piuttosto che ha negoziato una serie di accordi commerciali straordinariamente inetti, ad occhi ben aperti, che sono stati pienamente approvati e persino applauditi dalle figure più in alto del sistema. La conclusione ovvia è che il processo in corso è, in fondo, un esercizio nel tentativo di trasferire la responsabilità di quegli accordi su qualcun altro.
Resta da vedere quale delle due narrazioni prevarrà quando finalmente arriveranno i verdetti del processo. Per ora, tuttavia, sembra corretto affermare che storia della criminalità ha incassato alcuni colpi.
Vaticano, si sgretolano tutte le accuse contro Becciu
Chi ha gestito la compravendita lo scagiona, il cardinale parlerà senza l’obbligo del segreto
di Felice Manti
Ilgiornale.it, 7 aprile 2022
E in Vaticano ad accusare Becciu alla fine sembra non rimanga più nessuno. Nessuna voce, nessun documento, nessun giornalone. Non è un giallo alla Agatha Christie ma quanto è finora emerso a processo per la vendita del palazzo di Sloane Avenue somiglia più al copione di un film sconclusionato.
Nei giorni scorsi alcune deposizioni hanno forse messo una pietra tombale sulle speranze di far condannare il cardinale. Sia monsignor Mauro Carlino (l’ex segretario di monsignor Edgar Peña Parra, successore di Becciu), accusato di aver firmato documenti senza autorizzazione, sia l’avvocato svizzero René Brülhart hanno escluso qualsiasi ruolo di Becciu nell’affare gestito dal finanziere Raffaele Mincione e dal broker Gianluigi Torzi («era lui a mettere fretta per chiudere la trattativa», dice Carlino), sottolineando anche l’insussistenza delle accuse mosse dal Promotore di Giustizia. Secondo quanto testimoniato dal Brülhart in veste di ex presidente dell’Autorità d’informazione finanziaria della Santa sede, sia il Papa sia monsignor Pietro Parolin erano perfettamente a conoscenza dei rischi legati all’operazione di compravendita per averli incontrati entrambi e più volte. Brülhart avrebbe suggerito di non terminare l’operazione, comunque «benedetta» dal successore di Becciu, Peña Parra, per evitare un «rischio reputazionale» per uno scandalo che sarebbe poi scoppiato.
È spuntato anche la richiesta di archiviazione formulata dal Promotore e la conseguente archiviazione del ruolo di monsignor Alberto Perlasca, all’epoca in cui era Sostituto agli Affari generali era Becciu, capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato. Colui che sovrintendeva all’ufficio tecnicamente in grado di proporre gli investimenti e di curare l’istruttoria. Al monsignore l’accusa vaticana ha riservato un trattamento «speciale» nonostante la sua conclamata (e confessata) negligenza nella gestione dell’operazione londinese, la cui colpa è stata invece ingiustamente scaricata su Becciu, «sfiduciato» dal Papa anche per le false accuse (già smontate al processo) di aver dirottato soldi della Caritas nelle tasche del fratello a Ozieri. Soldi in realtà serviti a realizzare opere caritatevoli attraverso la Caritas, la Diocesi e la cooperativa Spes per dare lavoro ai più fragili. La comunità è oltraggiata da queste accuse e ha rinnovato la fiducia al vescovo Corrado Melis che ha sempre rivendicato e documentato la correttezza dell’impiego dei contributi [QUI, QUI e QUI]. La carità non è reato. La calunnia sì. Il Papa lo sa e ha autorizzato Becciu – il prossimo 5 maggio – a astenersi dal segreto vaticano pur di difendersi. Lo farà? Tra un mese l’ardua sentenza.
Becciu non pagò per accusare Pell, un documento lo prova
di Nico Spuntoni
Lanuovabq.it, 9 aprile 2022
Dall’Australia spunta un documento, che la Bussola ha potuto visionare, che attesta che i soldi transitati dal Vaticano verso l’Australia non hanno nulla a che fare con il processo al cardinale Pell, ma avevano come destinataria una società di sicurezza informatica per un contratto relativo alla gestione di alcuni domini “cattolici”.
Il 7 aprile doveva essere il giorno dell’interrogatorio dell’imputato più illustre nel processo sul palazzo di Londra, ma è slittato tutto al 5 maggio per un impedimento dei legali della difesa. Lui è ovviamente il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, finito in disgrazia dalla sera del 24 settembre 2020, quando rinunciò ai diritti del cardinalato al termine di un colloquio di venti minuti durante il quale Papa Francesco gli comunicò che non si fidava più di lui. All’origine della decisione del Pontefice, la segnalazione della magistratura vaticana sui presunti reati di peculato che il porporato avrebbe commesso e per i quali, successivamente, è stato rinviato a giudizio. In quella fase, precedente alla richiesta di citazione in giudizio partita nell’estate del 2021 dall’Ufficio del Promotore di Giustizia, sono finite su alcuni giornali italiani diverse ipotesi investigative sulle azioni condotte da Becciu ai tempi del suo ruolo di Sostituto della Segreteria di Stato.
Tra di esse era filtrata anche una presunta pista australiana legata ad uno dei casi d’ingiustizia più gravi della storia recente: ad inizio ottobre del 2020, infatti, il Corriere della Sera scrisse di “700 mila euro inviati in Australia attraverso alcuni bonifici frazionati” che “potrebbero essere stati utilizzati per ‘comprare’ gli accusatori nel processo per pedofilia contro il Cardinale George Pell”. A leggere gli articoli che le riportavano all’epoca, quelle accuse sembravano pesanti e piuttosto circostanziate. Poi, però, nonostante i riflettori rimasti accesi sul processo in Vaticano, della pista australiana non se n’è quasi più parlato.
Di mezzo c’è stato l’incredibile errore dell’Autorità antiriciclaggio australiana (Austrac) che, rispondendo ad un’interrogazione della Senatrice Concetta Fierravanti-Wells formulata proprio sull’onda delle ricostruzioni riportate dai giornali italiani, aveva indicato in 2,3 miliardi di dollari e in più di 400mila transazioni il giro di denaro tra Vaticano ed Australia negli ultimi sei anni presi in considerazione. Nonostante la cifra apparisse irrealistica a chiunque, c’era stato qualche commentatore che l’aveva considerata la pistola fumante per avvalorare l’idea della manina di Becciu dietro al presunto complotto ai danni di Pell.
Una tesi smontata pochi giorni dopo dalla precisazione dell’Austrac che aveva dovuto ammettere l’errore di calcolo, chiarendo che le movimentazioni totali ammontavano ad appena 9,5 milioni di dollari per 362 bonifici.
L’unico a ritornare sull’argomento era stato il Cardinale Pell con dichiarazioni sibilline: “Sappiamo che del denaro è andato dal Vaticano in Australia, due milioni e 230 mila dollari, ma finora nessuno ha spiegato perché”, aveva detto il Prefetto emerito della Segreteria vaticana per l’Economia. Quello che sappiamo è che tra il 2016 ed il 2017 la Segreteria di Stato – di cui all’epoca Becciu era il Sostituto – ha autorizzato il pagamento di più bonifici del valore complessivo di più di due milioni di dollari alla società Neustar con sede a Melbourne. A proposito di quelle movimentazioni su cui si è adombrato il sospetto che ci potesse essere un collegamento con l’incriminazione di Pell era stata la stessa Sala Stampa della Santa Sede a chiarire in un comunicato del 13 gennaio 2021 che “la cifra è riconducibile ad alcuni obblighi contrattuali e all’ordinaria gestione delle proprie risorse”.
A confermarlo sono documenti che La Nuova Bussola Quotidiana ha potuto visionare: la Neustar altri non è che una società di sicurezza informatica – nata come AusRegistry International Pty nel 2003 fino al cambio nome nel 2016 – che dall’agosto del 2020 si chiama GoDaddy. L’azienda si occupa di registrare ed implementare i top-level domain (TLD) e rivendica di essere consulente di fiducia di un certo numero di enti governativi. In effetti, dai documenti che abbiamo visionato, in una lettera del marzo 2012, l’allora Segretario generale della Conferenza Episcopale Australiana, Monsignor Brian Joseph Lucas aveva scritto a Monsignor Paul Tighe, all’epoca Segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, per esprimere a nome dei vescovi australiani il “sostegno alla richiesta del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali di acquisire il generico dominio di primo livello “catholic” in lingua cinese (in caratteri cinesi semplificati)”.
Quando l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names & Numbers) ha ‘liberalizzato’ la concessione di TLD, dal Vaticano ci si è mossi per registrare e controllare esclusivamente il dominio “catholic” in inglese, arabo, russo ed anche in cinese. La richiesta è stata accettata nel 2013 e il dominio è stato registrato proprio dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Lo stesso ufficio, quindi, a cui era indirizzata la lettera di Monsignor Lucas con cui la Conferenza Episcopale Australiana dava il suo via libera e nella quale si affermava che questo progetto (la creazione di un dominio “dot-catholic” in cinese) avrebbe facilitato “notevolmente il lavoro della Conferenza nell’autenticare la presenza della comunità cattolica nello spazio digitale” confermando che i vescovi sarebbero stati lieti di “collaborare con il PCCS nello sviluppo di questo progetto”.
E se si approfondisce l’origine del dominio “catholic” e dei soggetti che hanno partecipato alla sua registrazione si scopre che se il registrante è appunto il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, il provider è proprio l’AusRegistry International, ovvero la società diventata poi Neustar. Mentre come Registry Backend viene indicata la GoDaddy, nome attuale della ex Neustar. Insomma, l’incrocio di queste informazioni lascia supporre che si potrebbe ipotizzare una risposta alla domanda del Cardinal Pell sui 2 milioni e 230 mila dollari inviati tra il 2016 ed il 2017 dalla Segreteria di Stato: infatti la beneficiaria Neustar era il nome della società operante in Australia che si era già occupata di registrare e poi di gestire il dominio “catholic” – tra le altre – anche in lingua cinese.
È possibile che la Segreteria di Stato abbia inviato quella cifra per rispettare gli “obblighi contrattuali” sul progetto avente al centro quel dominio di primo di livello di cui nel 2012 aveva fatto menzione il segretario generale della Conferenza episcopale australiana nella sua lettera al Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali? È sicuramente più verosimile della spy-story di Becciu che “compra” testimoni ed inquirenti per mandare in galera un cardinale che riteneva scomodo e farlo stare lontano dalla Curia.
Persistono le domande sul processo finanziario vaticano. Ricerca della verità o ricerca di capri espiatori?
di Anna Mertens
Domradio.de, 5 aprile 2022
(Nostra traduzione italiana dal tedesco)
Che fine ha fatto il fulmineo processo di pulizia nello scandalo finanziario vaticano? A otto mesi dall’inizio, si continua a parlare molto, anche a fare polemica. E alla fine, resta la domanda su dove questo teatro dovrebbe portare.
Il giudice Giuseppe Pignatone disegna sul foglio davanti a sé figure geometriche? Oppure sottolinea le affermazioni nel testo. Non è chiaro. Tanto più che il Presidente del Tribunale penale vaticano continua ad appoggiare la testa sulla mano in preda alla stanchezza. Anche tra gli altri presenti nel più grande processo finanziario del Vaticano, molti si alternano tra la navigazione in Internet e un riposino. Qualche volta nell’aula si sente russare. Nel mezzo ci sono un sacco di chiacchiere, litigi e sorrisetti, proprio come al teatro. Dopo otto mesi, non si può più parlare di “fare un processo breve”. La domanda è piuttosto, dove dovrebbe portare l’intera faccenda. Si tratta di verità, giustizia o capri espiatori? (…)
Alcuni in aula si chiedono come l’ex Capo dell’amministrazione in Segreteria di Stato, Alberto Perlasca, sia diventato il testimone principale e perché non si trova sul banco degli imputati. Perlasca ha supervisionato i conti e le transazioni negli anni cruciali fino al 2019. Anche il ruolo del successore di Becciu come Sostituto, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, rimane poco chiaro dall’esterno.
Cosa sapeva Pietro Parolin?
Allo stesso modo la questione di cosa sapeva il Cardinal Segretario di Stato in carica Pietro Parolin. Al più tardi, quando martedì l’ex Presidente dell’AIF Brülhart viene interrogato sul banco degli imputati, la “teoria del capro espiatorio” non suona del tutto inverosimile in alcuni punti. Lo svizzero, comprovato esperto in materia di antiriciclaggio, è accusato di abuso d’ufficio. Il suo duplice ruolo di Presidente dell’AIF e di Consigliere della Segreteria di Stato è visto in modo particolarmente critico. L’intera faccenda è visibilmente un disagio per lui. Spiega che l’AIF non ha mai vigilato sulla Segreteria di Stato e che non ha conflitti di interesse. Anche il giudice Pignatone interrompe ripetutamente l’interrogatorio a volte tagliente e non consente domande. L’accusa e parte civile, invece, si considerano nel giusto. Ma giustamente?
Da fine luglio a inizio marzo, le parti avevano litigato su questioni formali. Anche se il Presidente della Corte alla fine ha respinto le innumerevoli eccezioni della difesa per archiviare il caso. Si tratta principalmente dell’interrogazione del principale testimone Perlasca. A proposito di registrazioni video e audio che, secondo la difesa, non sarebbero mai state integralmente depositate. L’accusa afferma che gli elementi non forniti sono irrilevanti o fanno parte di indagini in corso. Sembra soddisfacente per pochi. Tanto più che il tribunale ha chiesto esplicitamente e ripetutamente al pm Alessandro Diddi di presentare depositare i materiali.
Alla fine, Pignatone ha deciso di iniziare comunque le interrogazioni. Ma anche quelli sono stati un affare difficile finora. Le udienze sono già state programmate oltre maggio. La fine è aperta. Pignatone è abituato alle grandi cause mafiose ed è paziente – fino a un certo punto. (…)
Foto di copertina: Papa Francesco riceve in Udienza l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, 17 agosto 2018 (Foto di Vatican Media).