Da Malta papa Francesco lancia un appello alla pace ed al perdono

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“Il Signore vi accompagni e la Madonna vi custodisca. La preghiamo ora per la pace, pensando alla tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, ancora sotto i bombardamenti di questa guerra sacrilega. Non stanchiamoci di pregare e di aiutare chi soffre. La pace sia con voi!”: così papa Francesco ha salutato i fedeli maltesi al termine della dell’Angelus nell’ultimo giorno del suo 36° viaggio apostolico.

E dal cuore del Mediterraneo ha rivolto un appello ai giovani, invitandoli ad innamorarsi della bellezza di Gesù: “E vorrei infine rivolgere una parola ai giovani, che sono il vostro avvenire. Cari amici giovani, condivido con voi la cosa più bella della vita. Sapete qual è? E’ la gioia di spendersi nell’amore, che ci fa liberi. Ma questa gioia ha un nome: Gesù.

Vi auguro la bellezza di innamorarvi di Gesù, che è Dio della misericordia, lo abbiamo sentito oggi nel Vangelo, che crede in voi, sogna con voi, ama le vostre vite e non vi deluderà mai. E per andare avanti sempre con Gesù anche con la famiglia, con il popolo di Dio, non dimenticatevi delle radici. Parlate con i vecchi, parlate con i nonni, parlate con gli anziani!”

Mentre nella celebrazione eucaristica ha raccontato il ‘fiuto’ del popolo di Dio, riflettendo sul vangelo odierno: “Lo sfondo si presenta sereno: una mattinata nel luogo santo, al cuore di Gerusalemme. Protagonista è il popolo di Dio, che nel cortile del tempio cerca Gesù, il Maestro: desidera ascoltarlo, perché quello che Lui dice illumina e riscalda.

Il suo insegnamento non ha nulla di astratto, tocca la vita e la libera, la trasforma, la rinnova. Ecco il ‘fiuto’ del popolo di Dio, che non si accontenta del tempio fatto di pietre, ma si raduna attorno alla persona di Gesù.

Si intravede in questa pagina il popolo dei credenti di ogni tempo, il popolo santo di Dio, che qui a Malta è numeroso e vivace, fedele nella ricerca del Signore, legato a una fede concreta, vissuta”.

Il papa ha messo in guardia dal ‘tarlo dell’ipocrisia’: “Fratelli e sorelle, questi personaggi ci dicono che anche nella nostra religiosità possono insinuarsi il tarlo dell’ipocrisia e il vizio di puntare il dito. In ogni tempo, in ogni comunità. C’è sempre il pericolo di fraintendere Gesù, di averne il nome sulle labbra ma di smentirlo nei fatti.

E lo si può fare anche innalzando vessilli con la croce. Come verificare allora se siamo discepoli alla scuola del Maestro? Dal nostro sguardo, da come guardiamo al prossimo e da come guardiamo a noi stessi. Questo è il punto per definire la nostra appartenenza”.

L’omelia del papa è un invito a guardare ‘se stessi’: “Gli accusatori della donna sono convinti di non avere nulla da imparare. In effetti il loro apparato esterno è perfetto, ma manca la verità del cuore. Sono il ritratto di quei credenti che, in ogni tempo, fanno della fede un elemento di facciata, dove ciò che risalta è l’esteriorità solenne, ma manca la povertà interiore, che è il tesoro più prezioso dell’uomo. I

nfatti, per Gesù quello che conta è l’apertura disponibile di chi non si sente arrivato, bensì bisognoso di salvezza. Ci fa bene allora, quando stiamo in preghiera e anche quando partecipiamo a belle funzioni religiose, chiederci se siamo sintonizzati con il Signore…

Ci farà bene pregare così, perché il Maestro non si accontenta dell’apparenza, ma cerca la verità del cuore. E quando gli apriamo il cuore nella verità, può compiere prodigi in noi”.

Ritornando all’episodio evangelico della donna adultera papa Francesco ha sottolineato che il perdono cambia la vita: “Si sono incontrati la Misericordia e la miseria. Misericordia e miseria sono lì. E la donna cambia. Viene persino da pensare che, perdonata da Gesù, abbia imparato a sua volta a perdonare.

Magari avrà visto nei suoi accusatori non più delle persone rigide e malvagie, ma coloro che le hanno permesso di incontrare Gesù. Il Signore desidera che anche noi suoi discepoli, noi come Chiesa, perdonati da Lui, diventiamo testimoni instancabili di riconciliazione: testimoni di un Dio per il quale non esiste la parola ‘irrecuperabile’; di un Dio che sempre perdona, sempre. Dio sempre perdona”.

Gesù si conosce solo se si sperimenta il perdono: “Lo conosce veramente chi fa esperienza del suo perdono. Chi, come la donna del Vangelo, scopre che Dio ci visita attraverso le nostre piaghe interiori. Proprio lì il Signore ama farsi presente, perché è venuto non per i sani ma per i malati.

Ed oggi è questa donna, che ha conosciuto la misericordia nella sua miseria e che va nel mondo risanata dal perdono di Gesù, a suggerirci, come Chiesa, di rimetterci da capo alla scuola del Vangelo, alla scuola del Dio della speranza che sempre sorprende”.

Solo se si è capaci di perdono saremo capaci di accoglienza: “Se lo imitiamo, non saremo portati a concentrarci sulla denuncia dei peccati, ma a metterci con amore alla ricerca dei peccatori. Non staremo a contare i presenti, ma andremo in cerca degli assenti.

Non torneremo a puntare il dito, ma inizieremo a porci in ascolto. Non scarteremo i disprezzati, ma guarderemo come primi coloro che sono considerati ultimi. Questo, fratelli e sorelle, ci insegna oggi Gesù con l’esempio. Lasciamoci stupire da Lui e accogliamo con gioia la sua novità”.

La messa è stata celebrata davanti alla Parrocchia di Nostra Signora della Medaglia Miracolosa davanti a 20.000 fedeli e ai  rappresentanti delle Chiese cristiane e delle altre confessioni religiose.

Nella prima mattinata papa Francesco aveva recitato una preghiera alla Grotta di San Paolo a Rabat, che secondo la tradizione è stato il luogo abitato dall’Apostolo durante il soggiorno a Malta: “Dio di misericordia, nella tua mirabile provvidenza hai voluto che l’Apostolo Paolo annunciasse il tuo amore agli abitanti di Malta, i quali non ti conoscevano ancora.

Egli ha proclamato loro la tua parola e ha guarito le loro infermità. Salvati dal naufragio, san Paolo e i compagni di viaggio trovarono qui ad accoglierli gente pagana di buon cuore, che li trattò con rara umanità, rendendosi conto che avevano bisogno di rifugio, di sicurezza e di assistenza.

Nessuno conosceva i loro nomi, la provenienza o la condizione sociale; sapevano soltanto una cosa: che avevano bisogno di aiuto. Non c’era tempo per le discussioni, per i giudizi, le analisi e i calcoli: era il momento di prestare soccorso; lasciarono le loro occupazioni e così fecero. Accesero un gran fuoco, e li fecero asciugare e riscaldare. Li accolsero con cuore aperto e, insieme con Publio, primo nel governo e nella misericordia, trovarono per loro un alloggio.

Padre buono, concedi a noi la grazia di un buon cuore che batta per amore dei fratelli. Aiutaci a riconoscere da lontano i bisogni di quanti lottano tra le onde del mare, sbattuti sulle rocce di una riva sconosciuta.

Fa’ che la nostra compassione non si esaurisca in parole vane, ma accenda il falò dell’accoglienza, che fa dimenticare il maltempo, riscalda i cuori e li unisce: focolare della casa costruita sulla roccia, dell’unica famiglia dei tuoi figli, sorelle e fratelli tutti.

Tu li ami senza distinzione e vuoi che diventino una cosa sola con il tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore, per la potenza del fuoco mandato dal cielo, il tuo Spirito Santo, che brucia ogni inimicizia, e nella notte illumina il cammino verso il tuo regno di amore e di pace”.

(Foto: Santa Sede)

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