Mons. Carlino riporta il Papa al centro del processo penale vaticano, solleva domande sul ruolo del “testimone chiave” contro Becciu e perché funzionari siano stati incriminati e loro superiori no

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Sull’undicesima udienza odierna al Tribunale vaticano riportiamo i resoconti di Andrea Gagliarducci per ACI Stampa, di Salvatore Cernuzio per Vatican News e di Nicole Winfield per The Associated Press.

  • Processo Palazzo di Londra, la testimonianza di Monsignor Carlino. L’ex Segretario del Sostituto ha sottolineato che era il Papa a volere la trattativa, ha ribadito di aver fatto tutto in obbedienza ai superiori, ha sottolineato l’errore fatto nel cedere il controllo del palazzo di Andrea Gagliarducci – ACI Stampa, 30 marzo 2022: Papa Francesco voleva che ci fosse una trattativa per prendere il controllo del palazzo di Londra al centro del processo, che per questo si sono avuti rapporti con il broker Gianluigi Torzi per rilevare le 1000 azioni del Palazzo che questi aveva mantenuto e che erano le uniche con diritti di voto, che dallo stesso Papa è arrivato l’input a chiudere la trattativa pagando il meno possibile.
  • Processo vaticano, Carlino: mai mosso un dito senza autorizzazione di Salvatore Cernuzio – Vatican News, 30 marzo 2022: Oltre quattro ore e mezzo per l’interrogatorio del sacerdote che è stato Segretario degli ultimi due Sostituti della Segreteria di Stato. Il Papa solleva il Cardinale Becciu dal segreto pontificio sulla “vicenda Marogna”. Aperto un fascicolo sui finanziamenti della Cei alla Diocesi di Ozieri.
  • Testimonianza: il Papa ha approvato il pagamento del Vaticano per la proprietà di Londra. Un sospettato nel grande processo per appropriazione indebita e frode del Vaticano ha testimoniato che lo stesso papa Francesco avrebbe autorizzato parti chiave dell’accordo in questione di Nicole Winfield – The Associated Press, 30 marzo 2022: Papa Francesco avrebbe autorizzato a negoziare una strategia di uscita per una figura chiave nell’incasinato investimento immobiliare londinese del Vaticano ed era così soddisfatto del risultato che ha pagato per una cena celebrativa in un lussuoso ristorante di pesce romano la notte in cui è stato chiuso il pagamento di 15 milioni di euro , ha testimoniato mercoledì un imputato nel processo per estorsione in Vaticano.

Sono emersi diversi dettagli interessanti, tra cui: lo IOR accetta inizialmente di concedere il finanziamento di 150 milioni che avrebbe aiutato a rilevare il palazzo di Londra e di rifinanziare il mutuo, ma poi fece la denuncia che mise in moto perquisizioni e indagini; Mons. Mauro Carlino, Segretario del Sostituto della Segreteria di Stata dichiara di non aver mosso un dito senza avere l’autorizzazione dei superiori, che il Sostituto aveva notato che Perlasca avendo materializzato i contratti senza potere di delega si era manifestato infedele, che delle varie trattative il Sostituto ha informato costantemente il Segretario di Stato e soprattutto il Papa che incontra ogni settimana, che il Papa era così soddisfatto del risultato che ha pagato per una cena celebrativa in un lussuoso ristorante di pesce romano la notte in cui è stato chiuso il pagamento di 15 milioni di euro a Torzi.

Riassume Nicole Winfield per The Associated Press: «La testimonianza di Monsignor Mauro Carlino, un tempo Segretario del Sostituto della Segreteria di Stato, ha messo il Papa esattamente al centro del processo storico del Vaticano e ha sollevato interrogativi sul motivo per cui i funzionari vaticani di basso rango siano stati incriminati e i loro superiori non lo sono stati, data la gerarchia e il modo in cui l’autorità, la decisione e l’obbedienza sono esercitate nella Santa Sede».

Lentamente, ma inesauribilmente, la verità si sta facendo strada e viene svelato la cospirazione ordita contro il Cardinale Angelo Becciu nelle (poco) sacre stanze vaticane.

Scrive il Faro di Roma, in riferimento alla «grande infedeltà di Mons. Perlasca. L’ex Segretario di Becciu smaschera in aula l’accusatore del Cardinale»: «Un chiarimento sulle dinamiche della Segreteria di Stato emerso nel corso dell’udienza di oggi sui fondi vaticani getta una luce inquietante su Mons. Alberto Perlasca, il principale accusatore del Card. Giovanni Angelo Becciu, trascinato dal ruolo di Prefetto [della Congregazione delle Cause] dei Santi a quello di imputato da una spaventosa macchinazione giudiziaria fondata a quanto pare sul nulla. Infatti nel corso dell’interrogatorio dell’ex Segretario del Cardinale Becciu, Mons. Mauro Carlino, è venuto fuori che Perlasca firmò contratti relativi al Palazzo di Londra senza essere autorizzato a farlo. “Perlasca – ha giurato Carlino – si era manifestato infedele e disobbediente”. “Le decisioni non sono mai prese dai dipendenti, solo dai superiori”, ha spiegato precisando che “il Segretario e il Sostituto hanno la firma disgiunta, gli altri la firma congiunta. I contratti sono stati firmati da Mons. Perlasca, senza l’ok del superiore: qui è stata la grande infedeltà”. In sostanza, riguardo alla trattativa con Torzi, Mons. Carlino ha ricostruito: “Non sapevo del palazzo di Londra fino al gennaio 2019, quando Mons. Peña Parra mi ha detto che c’era un problema, per un grande errore dell’Ufficio amministrativo, di cui io non facevo parte”. L’errore, ha spiegato Mons. Carlino, “riguardava le mille azioni con diritto di voto lasciate a Gianluigi Torzi, con cui lui poteva continuare a gestire il palazzo anche dopo l’acquisto da parte della Segreteria di Stato”. “La volontà del Papa – ha riferito ancora Mons. Carlino – era di spendere il meno possibile per tornare in possesso del palazzo”. Carlino ha spiegato inoltre che il suo ruolo era quello di fare da mediatore tra Torzi e i tre esperti: Dal Fabbro, l’architetto-ingegnere Capaldo e Fabrizio Tirabassi».

Poi, si apprende di nuove azioni persecutorie contro la Diocesi di Ozieri (e non serve una sfera di cristallo per indovinare il persistente motivo della ricerca di reati che non esistono): «Mons. Carlino ha risposto anche a domande sulla Diocesi di Ozieri, confermando la buona fede del Card. Becciu. “Sapevo che la Cooperativa Spes era il braccio operativo della Caritas di Ozieri”, ha detto rispondendo ad una domanda del Presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, che gli ha chiesto anche se fosse a conoscenza della Cooperativa sarda Spes, riferendosi dunque al periodo in cui il Sostituto era il Card. Angelo Becciu. Dopo aver risposto affermativamente, Carlino ha riferito che il Card. Becciu gli diceva che la diocesi di Ozieri era “povera” e che puntava a “sviluppare progetti sociali per dare lavoro”. “Sapevo che il fratello del Cardinale Becciu lavorava nella Spes”, ha risposto inoltre Carlino ad una rispettiva domanda del Presidente del Tribunale vaticano: “Sapevo che la CEI elargiva fondi alla Diocesi di Ozieri”. Nel corso dell’udienza, è stato reso noto che sul finanziamento della CEI alla Diocesi di Ozieri “è aperto un altro provvedimento”, e così si è smesso di palare di questo aspetto».

Studio Legale Associato Pisanu Iai
Sassari, 30 marzo 2022
Comunicato nell’interesse della Diocesi di Ozieri
In nome e nell’interesse della Diocesi di Ozieri, rappresentata dal Vescovo Mons. Corrado Melis, si apprende dai media della notizia circa l’esistenza di un’indagine dello Stato della Città del Vaticano “sul finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana alla Diocesi sarda di Ozieri”.
Nel manifestare l’ennesimo dolore per un’iniziativa che sottopone la Diocesi a uno stillicidio ingiustificato e senza precedenti, si riafferma, con animo forte e sereno, che l’Ente ecclesiastico sardo ha sempre utilizzato le risorse ricevute dalla CEI in modo corretto, documentato e trasparente, destinandole esclusivamente a interventi solidali e di carità.
Quale segno e conferma di un operato corretto e finalisticamente meritorio, la Diocesi ha ricevuto e continua a ricevere i contributi della CEI.
Si confida che l’iniziativa d’indagine riferita dai media possa presto chiudersi con l’archiviazione, unica prospettiva perseguibile.
Con grata cordialità.
Avv. Ivano Iai

Processo Palazzo di Londra, la testimonianza di Monsignor Carlino
L’ex Segretario del Sostituto ha sottolineato che era il Papa a volere la trattativa, ha ribadito di aver fatto tutto in obbedienza ai superiori, ha sottolineato l’errore fatto nel cedere il controllo del palazzo
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 30 marzo 2022


Vaticano, processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. È il giorno di Monsignor Mauro Carlino, Segretario particolare del Sostituto, prima l’allora Arcivescovo Angelo Becciu e poi l’Arcivescovo Edgar Peña Parra. Ed è quest’ultimo che gli avrebbe chiesto di coinvolgersi, come sua persona di fiducia, nella questione del Palazzo di Londra, insieme all’ingegnere Luciano Capaldo, che pure aveva avuto rapporti di affari con Torzi precedentemente (avrebbe smesso un giorno prima della collaborazione in Segreteria di Stato, secondo gli avvocati di Torzi), all’avvocato Luca Del Fabbro, che poi è uscio di scena, e all’officiale della sezione amministrativa della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi, anche lui imputato nel processo, che aveva seguito la compravendita del Palazzo sin dall’inizio.

Al centro del processo la vicenda dell’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra. Ci sono dieci imputati e quattro società coinvolte, e le accuse vanno anche a coprire reati diversi, facendo del processo un processo più ampio sul modo in cui venivano gestiti i fondi della Segreteria di Stato.

Inizialmente, l’investimento della Segreteria di Stato sul Palazzo di Londra era stato affidato a Fabrizio Mincione, quindi la gestione era stata affidata all’altro broker Gianluigi Torzi, che aveva mantenuto per sé mille azioni della proprietà, ma le uniche con diritto di voto. Alla fine, la Segreteria di Stato ha preso la decisione di rilevare il palazzo, chiudendo ogni tipo di rapporto con Torzi, ed è qui che entra in scena monsignor Carlino.

L’ex officiale della Segreteria di Stato ricorda prima di tutto di essere sacerdote, e che tutta la sua vita sacerdotale è stata caratterizzata dall’obbedienza ai superiori, ricordando come non ha mai svolto alcun incarico, nemmeno non pastorale, senza considerare il suo essere sacerdote.

Quando lo chiama per aiutarlo a gestire la vicenda, a monsignor Carlino viene chiesta da Edgar Peña Parra fedeltà, obbedienza e riservatezza, per risolvere “un grave errore” che è stato fatto. E l’errore sarebbe quello fatto da Monsignor Alberto Perlasca, allora Capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, che avrebbe firmato documenti senza l’autorizzazione del superiore, portando dunque all’assegnazione delle mille azioni a Torzi. Tirabassi, invece, era uscito dall’amministrazione della GUTT, la società di Torzi che controllava le azioni, proprio perché si era reso conto della situazione.

Compito di Monsignor Carlino è quello di fare l’intermediario tra le istanze del Sostituto e dei collaboratori del Sostituto e Torzi, e quindi, specifica, non è mai entrato nella parte tecnica delle trattative. Torzi all’inizio chiedeva 20 milioni per uscire dalla gestione dal palazzo, e voleva assolutamente chiudere entro marzo. Alla fine, Torzi accettò di cedere le azioni a 15 milioni, e dunque la crisi della trattativa rientrò.

Obiettivo primario era quello di preservare l’asset, cioè l’investimento, ed è il motivo per cui si decise di ristrutturare l’investimento, e non di denunciare, come invece avrebbe voluto Monsignor Perlasca, ma anche Capaldo. Il Sostituto aveva invece escluso le vie legali per un possibile danno reputazionale sulla Santa Sede.

Sarebbe complicato entrare nei dettagli delle operazioni. Basti dire che lo Studio Mishcon de Reya, che lavora con la Segreteria di Stato, aveva comunque fatto una segnalazione alla National Crime Agency del Regno Unito, controparte dell’Autorità di Informazione Finanziaria vaticana, e che questa bloccò inizialmente il procedimento, finché non fu ristrutturato in modo che fosse anche finanziariamente sostenibile.

Di fatto, anche le fatture emesse da Torzi quando riceve i pagamenti non sono gradite alla Segreteria di Stato, che voleva invece definito nelle fatture che si trattasse di una transazione finale, con l’idea di tagliare completamente i ponti.

Alcuni dettagli interessanti. Nel rinvio a giudizio, si notava un eventuale pedinamento di Torzi disposto dal sostituto. Ma la chat incriminata era incompleta, e monsignor Carlino, usando il suo cellulare prima sequestrato e poi restituitogli, ha invece mostrato che si trattava di una precauzione riguardo Giuseppe Milanese. Capo della cooperativa OSA; amico del Papa sin dai tempi dell’Argentina, Milanese era stato coinvolto dal Papa nei primi negoziati con Torzi, come lo stesso Milanese ha ammesso in una intervista tv. In pratica, quando la trattativa si era arenata, si era voluto verificare se Milanese fosse andato a Londra, per fugare ogni sospetto. Il sospetto era che fosse in combutta con Torzi.

Secondo dettaglio: alcune domande del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, non ammesse al Tribunale, riguardano un altro fascicolo, riguardante i fondi CEI inviati alla diocesi di Ozieri. Il fascicolo si riferisce ai finanziamenti CEI per la SPES, ma di questo fascicolo ulteriore non si era ancora avuta notizia – è invece rinviato a giudizio il Cardinale Angelo Becciu, sempre per aver inviato fondi alla SPES.

Terzo dettaglio: lo IOR accetta inizialmente di concedere il finanziamento di 150 milioni che aiuterebbe a rilevare il palazzo di Londra e di rifinanziare il mutuo.

Racconta Carlino: “Il 24 maggio 2019, il presidente IOR de Franssu dice che lo IOR accetta di rifinanziare. Il 4 giugno il Sostituto presenta al Papa la questione ringraziando anche perché lo IOR aveva accettato questo finanziamento, che avrebbe comportato un risparmio per la Segreteria di Stato perché è chiaro che il mutuo veniva portato in casa, e mentre la banca prendeva interessi… ma cosa accadde? Il Papa approvò, il Sostituto era felice della conclusione della vicenda, e poi però arriva comunicazione che a conclusione di tutto non era stato approvato e questo rappresentò al Dottor Mammì a questa riunione del 28 o 29 giugno”.

Il 28 giugno, però, Monsignor Carlino invia a Capaldo i numeri di Mammì, e questo perché – spiega il Monsignore – “il Sostituto aveva chiesto informazioni, e in seguito alla stranezza di un finanziamento accordato e negato aveva chiesto al Dottor Giani, allora Comandante della Gendarmeria, di fare delle verifiche”.

L’interrogatorio di Carlino proseguirà il 5 aprile, giorno in cui saranno sentiti anche Tommaso Di Ruzza e René Bruelhart, già Direttore e Presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria. Il 7 aprile, sarà ascoltato di nuovo il Cardinale Angelo Becciu, che potrà rispondere, se vorrà, anche sulle vicende legate all’utilizzo di Cecilia Marogna come consulente della Segreteria di Stato. Ad inizio seduta, infatti, il Presidente del Tribunale Pignatone ha letto una ordinanza che prendeva atto della risposta della Segreteria di Stato che aveva ricevuto dal Papa l’ok affinché il Cardinale non fosse vincolato da segreto pontificio nella testimonianza.

Processo vaticano, Carlino: mai mosso un dito senza autorizzazione
Salvatore Cernuzio
Vatican News, 30 marzo 2022


“Non ho mosso un dito senza avere l’autorizzazione dei superiori e soprattutto ho lavorato esclusivamente nell’interesse della Santa Sede, in obbedienza al sostituto. Mi hanno insegnato che chi ubbidisce, non fallisce”. Il suo ruolo di ‘sottoposto’, ‘esecutore’, ‘tramite’ nelle trattative per chiudere il “pasticcio” generato dalla compravendita del Palazzo di Londra lo ha ribadito per quasi tutte e quattro le ore e mezza dell’interrogatorio: Monsignor Mauro Carlino, ex Segretario di due Sostituti della Segreteria di Stato, ha occupato con le sue dichiarazioni l’intera undicesima udienza del processo per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede.

Becciu sollevato dal segreto pontificio

Udienza che si è aperta con la lettura da parte del Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, della risposta fornita il 24 marzo dalla Segreteria di Stato circa il segreto opposto dal Cardinale Becciu (oggi assente nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani), contestato in concorso con la manager Cecilia Marogna. “Informato direttamente, il Papa dispensa il Cardinale Becciu dal segreto pontificio”, recita la nota firmata dal Segretario di Stato, Pietro Parolin. Il Cardinale renderà quindi il suo secondo interrogatorio il 7 aprile sull’affare di Sloane Avenue ma anche sulla cosiddetta “vicenda Marogna”.

L’interrogatorio a Carlino

Oggi è toccato invece a Carlino – sacerdote leccese, Segretario di Becciu e poi del successore, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra – raccontare la sua versione dei fatti. Dal centro dell’aula, con a fianco un faldone di documenti e in mano il cellulare dissequestrato sul quale controllava date, chat e screenshot, Carlino ha rilasciato una lunga dichiarazione spontanea in cui ha anzitutto ribadito il suo “essere sacerdote” in ogni incarico svolto: “Ho cercato di vedere in ogni persona, carta, pratica, una richiesta ma soprattutto la presenza del Signore”. Si è detto “meravigliato” di essere stato rinviato a giudizio: “Che male ho fatto? Ho obbedito. Nell’obbedienza penso di aver compiuto la volontà di Dio”.

“Fedeltà, obbedienza, riservatezza”

Mai una volta Carlino ha parlato degli anni sotto la guida del Cardinale Becciu, ma si è soffermato soltanto sul lavoro svolto come Segretario di Peña Parra. E di Peña Parra ha ricordato la richiesta di “fedeltà, obbedienza, riservatezza” avanzata dal neo sostituto quando, arrivato in Segreteria di Stato il 15 ottobre 2018, si trovò ad affrontare “questo pasticcio, questa difficoltà”, cioè la vicenda di Londra. “Non conoscevo l’esistenza del palazzo fino a gennaio 2019”, ha dichiarato Carlino, “non sono esperto in ambito amministrativo, non ho mai trattato nulla in ambito immobiliare, sono un sacerdote”.

La vicenda di Londra

Carlino fu coinvolto perché Peña Parra gli chiese di bloccare l’agenda per un viaggio a Londra. Gli spiegò quindi i motivi parlando di “un grave errore di negligenza dell’ufficio amministrativo”, cioè le mille azioni con diritto di voto date a Gianluigi Torzi, tramite le quali il broker “controllava” l’immobile londinese. “Si era materializzato il contratto e nonostante i primi tentativi a vuoto c’era stata la decisione superiore del Papa di intavolare una trattativa, pagare il meno possibile e finalmente ottenere la gestione e il controllo di quel palazzo”, ha affermato Carlino, rievocando quel periodo come “una Via Crucis”.

Trattare con Torzi

Al monsignore fu dato l’incarico di “interloquire, dialogare, intrattenere rapporti” con Torzi, “avendo sempre a mente di trattarlo in modo gentile per non perdere mai il filo della trattativa”. Il broker era infatti descritto come “pericoloso”, “uno di quelli che ha bisogno di vedere il suo ego continuamente filled, riempito”, “una persona che aveva ingannato e raggirato la Segreteria di Stato”. Carlino ha svolto l’incarico avvalendosi delle consulenze di tre esperti in ambito amministrativo: Luca Dal Fabbro, l’architetto Luciano Capaldo e, come “interno” della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi (anche lui tra gli imputati). Dal Fabbro era un consulente internazionale al quale veniva dato “credito e fiducia”; Capaldo risiedeva a Londra, era “esperto in ambito immobiliare” e teneva i rapporti con lo studio legale a cui si era affidata la Segreteria di Stato. Tirabassi, invece, conosceva la vicenda londinese “sin dai primi investimenti”, “aveva tutto l’incartamento” ed era stata la persona che disse: “Qui abbiamo commesso un errore, sono stati firmati documenti che danno dei diritti”.

Il ruolo di Perlasca

Ma perché di questo team non faceva parte Monsignor Alberto Perlasca, allora responsabile della sezione amministrativa? “Il Sostituto – ha risposto Carlino – aveva notato che Perlasca, avendo materializzato questi contratti senza potere di delega, si era manifestato infedele. Quando, per superiore decisione, il sostituto aveva stabilito la trattativa con Torzi, Perlasca voleva adire a vie legali. Fu messo da parte, ma non completamente. Il sostituto era preoccupato, sperava che la decisione portasse a riallocare le azioni con diritto di voto da Torzi alla Segreteria”. Peña Parra aveva compilato pure una relazione per il Revisore generale Cassinis Righi, il 29 maggio 2019.

Timori e contrattazioni

Delle varie trattative Peña Parra ha informato costantemente il Segretario di Stato e soprattutto il Papa, ha affermato più volte Carlino, ricordando che il Sostituto incontra ogni settimana il Pontefice, il martedì alle 18, per l’udienza di tabella. Peña Parra “aveva seguito tutto passo dopo passo. ‘Dopo l’errore commesso – dice lui stesso nel memoriale – personalmente mi sono immesso nella vicenda, non ho delegato nessuno’”.

Il più grande timore era che “le azioni dessero a Torzi un controllo e una gestione che non erano nei canoni della Segreteria di Stato”. Perciò si decise di non affidarsi alla società di consulenza finanziaria legata al broker, la cui gestione era “poco trasparente”. Si temeva poi che Torzi “cedesse l’immobile”. Timore non del tutto infondato visto che il finanziere aveva preparato pure una brochure di presentazione del palazzo. Il “primario interesse” era pertanto di recuperarne il pieno controllo. Non si adì però a vie legali per “l’aspetto reputazionale”.

Don Carlino ha ricordato quindi i passi compiuti per arrivare alla chiusura della trattativa tramite l’erogazione a Torzi di 15 milioni di euro. Risultato raggiunto dopo non poche difficoltà. Nel marzo 2019 la contrattazione era infatti allo stallo e Torzi pretendeva 20 milioni. “Un giorno mi ha chiamato 12-15 volte. Non risposi, chiesi al sostituto, mi disse prendi tempo, ci sono cose da vagliare”. Un’altra volta il broker incontrò Carlino dinanzi a Porta Sant’Anna manifestando il disappunto perché non si fosse “firmato”. “Ma tu hai chiesto un sacco di soldi”. “Ok, possiamo chiudere a 15 milioni”.

Chiusa la questione

La proposta venne presa in considerazione e finalmente il 2 maggio si chiuse la questione. Due le fatture emesse: una di 10 milioni con la causale di “commissione di intermediazione”, l’altra di 5 milioni per “analitica consulenza di investimenti immobiliari”. Causali giudicate “fantasiose” da alcuni avvocati della difesa. Carlino ha detto di non essere mai entrato in “tecnicismi”, ma ha ricordato che Peña Parra aveva espresso “ampia soddisfazione per la trattativa”, tanto da organizzare la sera stessa una cena in un ristorante romano, dicendo, al momento di pagare il conto, che era tutto offerto dal Papa, “contento che finalmente abbiamo potuto chiudere”.

Le riunioni con i vertici Ior

L’avvocato Lipari, parte civile Ior, ha domandato a Carlino se avesse mai partecipato agli incontri tra Peña Parra e Gian Franco Mammì, direttore dell’Istituto per le Opere di Religione al quale la Segreteria di Stato si rivolse per un prestito che sostenesse il mutuo oneroso. Carlino fu presente solo a una riunione “come verbalizzante”. Ha rammentato però una vicenda che “infastidì molto” Monsignor Peña Parra, e cioè il fatto che il 24 maggio 2019, dopo la fine della trattativa, il Presidente dello Ior Jean-Baptiste De Franssu stabilì l’approvazione del finanziamento con una lettera formale, salvo poi fare marcia indietro perché si erano resi necessari “altri approfondimenti”. “Strana” decisione visto che il finanziamento avrebbe potuto comportare notevoli risparmi per la Santa Sede grazie a “un mutuo portato in casa”. Dallo Ior – come si ricorda – il 2 luglio, partì la denuncia che mise in moto perquisizioni e indagini. Carlino ha sostenuto che “dinanzi alla stranezza del finanziamento prima accordato e poi negato”, il sostituto avrebbe chiesto alla Gendarmeria di “fare delle verifiche” sul direttore dello Ior. Sarebbe stato coinvolto anche Capaldo, legato all’intelligence italiana.

Pedinamento a un “gentiluomo”

Uno degli avvocati di Torzi ha chiesto conto a Carlino di un messaggio in cui si parlava di un “pedinamento” a un “gentiluomo”. Il riferimento era a Giuseppe Milanese, Presidente della cooperativa sociale Osa, incaricato nella prima fase delle trattative di mediare con Torzi. Il pedinamento nasceva dal sospetto che Milanese fosse andato a Londra, a fine marzo 2019, perché “in combutta” con Torzi da cui, a transazione chiusa, poteva “prendere qualcosa”.

Aperto fascicolo sui fondi Cei a Ozieri

Nel suo interrogatorio, il Promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi ha chiesto a Carlino se conoscesse la cooperativa Spes, nella Diocesi sarda di Ozieri, per la quale furono erogati dei bonifici dal Vaticano per volontà del Cardinale Becciu. Carlino ha detto di sapere che la Spes era “il braccio operativo della Caritas di Ozieri”, diocesi descritta da Becciu come “molto povera” e anche di essere a conoscenza del fatto che vi lavorasse il fratello del cardinale. “Sapevo che la Cei elargiva fondi alla Diocesi di Ozieri”, ha aggiunto Carlino. Ma su questo punto è stato bloccato perché, si è detto in aula, sul finanziamento della Cei a Ozieri “è aperto un altro provvedimento”. È in corso, cioè, un’indagine

L’interrogatorio a Carlino proseguirà il 5 aprile. Lo stesso giorno saranno interrogati anche René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente ex Presidente e Direttore dell’Aif (Autorità di Informazione Finanziaria).

Sandro Magister (Settimo Cielo): il processo del secolo chiama in giudizio il Papa. Che rischia anche un incidente con la Cina – 3 gennaio 2022.
Qui è riportato il testo della Nota informativa del 13 aprile 2021 dell’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto della Segretario di Stato. In questo documento si fa riferimento a tre incontri di Gianluigi Torni con Papa Francesco e vengono riportati i fatti come testimoniato da Mons. Mauro Carlino oggi.

Testimonianza: il Papa ha approvato il pagamento del Vaticano per la proprietà di Londra
Un sospettato nel grande processo per appropriazione indebita e frode del Vaticano ha testimoniato che lo stesso Papa Francesco avrebbe autorizzato parti chiave dell’accordo in questione
di Nicole Winfield
The Associated Press, 30 marzo 2022

(nostra traduzione italiana dall’inglese)

Papa Francesco avrebbe autorizzato a negoziare una strategia di uscita per una figura chiave nell’incasinato investimento immobiliare londinese del Vaticano ed era così soddisfatto del risultato che ha pagato per una cena celebrativa in un lussuoso ristorante di pesce romano la notte in cui è stato chiuso il pagamento di 15 milioni di euro, ha testimoniato mercoledì un imputato nel processo per estorsione in Vaticano.

La testimonianza di Monsignor Mauro Carlino, un tempo Segretario del Sostituto della Segreteria di Stato, ha messo il Papa esattamente al centro del processo storico del Vaticano e ha sollevato interrogativi sul motivo per cui i funzionari vaticani di basso rango sono stati incriminati e i loro superiori non lo sono stati, data la gerarchia e il modo in cui l’autorità, la decisione e l’obbedienza sono esercitate nella Santa Sede.

Il processo riguarda l’investimento del Vaticano di 350 milioni di euro in un’impresa immobiliare londinese, che ha fatto perdere alla Santa Sede circa 217 milioni di euro, gran parte dei quali donazioni dei fedeli. I pubblici ministeri vaticani hanno accusato broker italiani e funzionari vaticani di aver derubato la Santa Sede di milioni di compensi e di estorcere alla Santa Sede 15 milioni per ottenere la piena proprietà dell’edificio.

Carlino è accusato di estorsione e abuso d’ufficio per il suo ruolo nella negoziazione del pagamento al broker italiano Gianluigi Torzi in modo che il Vaticano potesse ottenere la piena proprietà dell’edificio.

Si tratta di contratti firmati tra Torzi e un altro funzionario vaticano [mons. Alberto Perlasca] nel novembre e dicembre 2018 affermando che il Vaticano avrebbe posseduto 30.000 azioni della holding dell’edificio e Torzi 1.000. Ma le azioni di Torzi erano le uniche con diritto di voto, il che significava che controllava l’edificio.

Nel dicembre 2018, il Vaticano si rese conto di avere “una scatola vuota”, ha testimoniato Carlino, e si affrettò a trovare un modo per ottenere il pieno controllo dell’edificio da Torzi: o acquistando le azioni di Torzi o avviando un’azione legale contro di lui per quello che il Vaticano considera un affare fraudolento. Torzi è accusato di estorsione, frode e altri reati finanziari, che lui nega.

I legali del Papa avevano avvertito il Vaticano che avrebbe potuto perdere qualsiasi causa, visti i contratti firmati, e temevano che nel frattempo Torzi potesse vendere l’edificio e lasciare il Vaticano a mani vuote. Francesco, informato della situazione e dopo aver incontrato Torzi, ha dato l’autorizzazione a «pagare il meno possibile per chiudere la cosa e voltare pagina», ha testimoniato Carlino.

Durante le 4 ore e mezzo di testimonianza mercoledì 30 marzo 2022, Carlino ha detto che il suo capo, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, gli aveva chiesto nel gennaio del 2019 di diventare l’intermediario nelle trattative con Torzi. Ma Carlino ha sottolineato di non avere avuto autorità decisionale, nessuna competenza in materia amministrativa, immobiliare o finanziaria, e che ogni decisione è stata presa e approvata da Peña Parra, che a sua volta ha riferito settimanalmente al Papa.

Carlino ha ricordato che il giorno della sua ordinazione aveva promesso al suo vescovo che avrebbe dato “totale obbedienza” ai suoi superiori, e che il suo superiore, Peña Parra, aveva chiesto “fiducia, obbedienza e segretezza” quando gli aveva affidato la trattativa sull’investimento.

Dopo cinque mesi di trattative, il pagamento di 15 milioni di euro si è chiuso il 2 maggio 2019 e Peña Parra, Carlino e un altro membro della squadra di negoziazione vaticana, il coimputato Fabrizio Tirabassi, hanno avuto una cena celebrativa. La location: Le Vele, un ristorante che propone un “Piatto Reale” di antipasti di pesce crudo a 120 euro, e antipasti di pesce a 18-38 euro ciascuno.

“Quando Tirabassi è andato a pagare il conto, lui (Peña Parra) ha detto ‘Questa volta pago perché è stato offerto dal Santo Padre’”, ha testimoniato Carlino.

Alla domanda dell’avvocato di Torzi se il Papa fosse soddisfatto dell’esito della trattativa con Torzi, Carlino ha detto: “Credo di sì. Lo ha detto il sostituto (Peña Parra), che il Santo Padre era felice che potessimo finalmente chiudere questo”.

Carlino ha detto che solo più tardi, mesi dopo la chiusura della trattativa, la Santa Sede si è resa conto che Torzi aveva un precedente rapporto finanziario con l’intermediario originario dell’accordo. I pubblici ministeri affermano che entrambi gli uomini facevano parte della manovra fraudolenta per far assumere a Torzi il controllo dell’edificio, a danno della Santa Sede.

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