Papa Francesco, le linee guida della sua riforma

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Pubblicata di punto in bianco, la Costituzione Apostolica che ridisegna la Curia Romana non è proprio un cambiamento organizzativo. Racconta invece di un cambiamento filosofico, che deve essere compreso appieno. Il rischio è che, con la volontà di cambiare, si ritorni invece agli schemi del passato. Infatti, perdendo di vista il ruolo storico di certi enti e dipartimenti, perdiamo anche il loro significato e la loro anima. Potrebbe essere un problema.

Come era noto, la Costituzione Apostolica si chiama Praedicate Evangelium. Per riassumere le novità:

  • i dicasteri vaticani sono 16, e sono tutti chiamati Dicasteri (quindi finisce la distinzione tra Congregazioni e Pontifici Consigli);
  • i Dicasteri possono essere formalmente diretti anche da un laico, salvo il Tribunale della Segnatura Apostolica;
  • il Papa assume il ruolo di Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, che ha così due Pro-Prefetti, dediti alla nuova e alla prima evangelizzazione;
  • l’Elemosiniere Pontificio entra in quello che sarà chiamato il Dicastero per il Servizio della Carità;
  • nessun alto funzionario, né alcun ecclesiastico, può rimanere in Curia per più di due mandati quinquennali.

Molte delle modifiche del Praedicate Evangelium erano già in atto:

  • Papa Francesco aveva già istituito i Dicasteri per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; Laici, famiglia e vita; e Comunicazione.
  • La Congregazione per la Dottrina della Fede era già stata riformata nel modo in cui è ora descritta nella nuova Costituzione.
  • In molti casi il Papa già non aveva confermato le figure apicali rimaste in carica per due quinquenni.
  • C’era già un prefetto laico, il Prefetto del Dicastero della Comunicazione.

Il diavolo, però, è nei dettagli. E ci sono almeno tre questioni che quasi segnalano un ritorno al passato.

La prima è che i laici possono assumere la guida di qualsiasi Dicastero. Durante la conferenza stampa di presentazione della Costituzione lo scorso 21 marzo, Padre Gianfranco Ghirlanda, SI, raffinato canonista, ha affermato che questa decisione risolve la questione aperta dal Canone 129 sull’autorità, che è attribuita solo agli ordinati, mentre i laici collaborano in autorità. Secondo Ghirlanda, il canone stesso era vago perché risultato di un compromesso. In questo modo, è la missione canonica che fornisce l’autorità e non l’ordinazione.

Questa posizione sarà oggetto di un’ampia discussione perché la decisione di legare l’autorità all’ordinazione nasce dalla necessità di evitare di fare del vescovo una funzione. In precedenza, una persona poteva essere nominata vescovo anche senza essere sacerdote perché doveva amministrare un territorio. Legare l’autorità all’ordinazione impedisce ogni sfruttamento del potere perché tutto parte dal mandato divino.

Nel Canone 129 leggiamo che i laici possono cooperare, ma ciò non significa che debbano assumere autorità. Anche nei tribunali i laici possono far parte dei tribunali solo se c’è già un ministro ordinato, e un chierico testimonia questa esigenza.

In fondo è stato lo stesso principio che ha portato Giovanni XXIII a decidere che i cardinali debbano essere almeno arcivescovi: le uniche dispense sono concesse ai cardinali creati oltre gli 80 anni, che non entrano più in Conclave e che quindi non hanno nemmeno responsabilità amministrative.

Ora, l’autorità è data dalla missione canonica, che è conferita direttamente dal Papa. Si è parlato di decentramento. C’è però un ulteriore accentramento nelle decisioni del Papa. La distanza è molto breve dall’iustum (ciò che è giusto) all’iussum (ciò che è ordinato).

Questa centralità del Papa si vede anche nella scelta di essere Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione. Fino a Paolo VI, il Papa era Prefetto ad interim del Sant’Uffizio, ma fu Paolo VI a decidere diversamente per una sana separazione dei poteri e della gestione. Il Cardinale Marcello Semeraro, in conferenza stampa, ha spiegato che la Dottrina della Fede era centrale in un periodo in cui la Chiesa era soprattutto europea. Perciò la necessità più grande era mantenere saldi i principi della fede, piuttosto che diffonderli. Ora c’è bisogno di evangelizzare, di avere una visione più globale, ed è per questo che il Papa fa per l’evangelizzazione – che diventa il primo Dicastero – quello che ha fatto una volta per la Dottrina della Fede.

Per quanto logica possa sembrare la spiegazione, essa nasconde tuttavia un’ulteriore centralizzazione del ruolo del Papa. Egli, tra l’altro, aveva già assunto ad interim la Sezione Migranti e Rifugiati. In pratica il Papa non delega ma si pone formalmente a capo di tutti i Dicasteri che gli interessano in modo particolare. Alla fine è Papa Re anche quando si tratta della Curia Romana.

Che il Papa agisca come Papa-Re è visibile nei circa 40 Motu proprio pubblicati in questi nove anni di Pontificato, così come nei Rescriptum ex audientia SS.mi, spesso usati per cambiare le regole dei processi in corso – è successo nell’attuale processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Questo ritorno alla centralità del Papa è però un passo indietro.

Finora il Pontificato ha sempre agito per sottrazione. Lo fece già nel medioevo quando il Papa decideva spesso consultando i cardinali in un Concistoro. I tempi sono cambiati, i cardinali non possono più incontrarsi così spesso in Concistoro. I Papi, però, hanno sempre cercato di lavorare in collegialità.

Quella della Congregazione per la Dottrina della Fede fu anche un’opera collegiale perché tutto, anche le questioni disciplinari, rientrava nei delitti contro la fede. Ora, diviso in due sezioni, il Dicastero potrebbe avere un approccio meno olistico alle questioni, con il rischio che la disciplina diventi più importante della dottrina.

Sono tutti segnali che mostrano come la riforma rischi, in fondo, di avere l’effetto opposto a quello che si voleva. Le Conferenze Episcopali sono citate più di cinquanta volte, la sinodalità diventa quasi uno strumento di governo. Ma poi resta un Papa che decide personalmente, diventa Prefetto di una Congregazione e rende burocratica la sua carità.

Poiché la Carità pontificia si è sempre distinta da un Dicastero proprio perché era la carità del Papa, non c’era nulla di burocratico; non finanziò progetti come fece il Pontificio Consiglio Cor Unum, che ebbe anche la responsabilità di Caritas Internationalis (poi passata al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale). L’Elemosiniere faceva parte della Famiglia pontificia e si sedeva accanto al Papa durante le Visite di Stato. Ora non sarà più così.

Questi cambiamenti sembrano riguardare questioni di poca sostanza o legate solo a una tradizione antica. In realtà, cambiano l’essenza dell’istituzione stessa. E viene da chiedersi se questi cambiamenti rimarranno. Certo, non sarà facile avere piani a lungo termine se i capi ufficio non possono restare per più di dieci anni. In conferenza stampa si è detto che non sono solo due mandati, che i capi si possono sempre rinnovare. La Costituzione, però, menziona solo un rinnovo e non due. Così, per un sacerdote, un vescovo, un laico che guiderà un Dicastero, la Santa Sede non sarà parte di un impegno, di una missione per la vita. Sarà solo un intermezzo burocratico a cui seguirà il ritorno in diocesi.

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