Papa Francesco invita ad accogliere il penitente
Venerdì scorso, festa dell’Annunciazione, papa Francesco ha ricevuto in udienza in Aula Paolo VI i partecipanti al XXXII Corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica guidati dal card. Mauro Piacenza, sottolineando la partecipazione numerosa: “Questo è un buon segno, perché oggi una mentalità diffusa stenta a comprendere la dimensione soprannaturale, o persino vorrebbe negarla. Sempre, sempre la tentazione di ridurle. La Confessione è un dialogo. E il dialogo non si può ridurre a tre o quattro consigli psicologici per andare avanti, questo è togliere al Sacramento l’essenziale del Sacramento”.
Invitando a rileggere la ‘Nota sul foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale’ della penitenzieria Apostolica nel 2019 ha ricordato che il perdono è un diritto umano: “Noi abbiamo tutti il diritto di essere perdonati. Tutti. In effetti, esso è ciò a cui più profondamente anela il cuore di ogni uomo, perché, in fondo, essere perdonati significa essere amati per quello che siamo, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati.
E il perdono è un ‘diritto’ nel senso che Dio, nel mistero pasquale di Cristo, lo ha donato in modo totale e irreversibile ad ogni uomo disponibile ad accoglierlo, con cuore umile e pentito. Dispensando generosamente il perdono di Dio, noi confessori collaboriamo alla guarigione degli uomini e del mondo; cooperiamo alla realizzazione di quell’amore e di quella pace a cui ogni cuore umano anela tanto intensamente; con il perdono contribuiamo, permettetemi la parola, a una “ecologia” spirituale del mondo”.
Ed ha delineato le tre dimensioni del ministero del confessore, di cui la prima è l’accoglienza: “L’accoglienza deve essere la prima caratteristica del confessore. E’ quella che aiuta il penitente ad accostarsi al Sacramento con lo spirito giusto, a non stare ripiegato su sé stesso e il proprio peccato, ma ad aprirsi alla paternità di Dio, al dono della Grazia.
L’accoglienza è la misura della carità pastorale, che avete maturato nel cammino di formazione al sacerdozio ed è ricca di frutti sia per il penitente sia per lo stesso confessore, che vive la sua paternità, come il padre del figlio prodigo, pieno di gioia per il ritorno del figlio. Abbiamo noi questa accoglienza e questa gioia? La serenità di un confessore che sa accogliere, di giorno o alla sera: ‘Accomodati’, e lascia parlare. Creare il clima di pace, anche di gioia”.
Il secondo elemento è l’ascolto: “Ascoltare è più che udire. Richiede una disposizione interiore fatta di attenzione, di disponibilità, di pazienza. Si devono lasciare i propri pensieri, i propri schemi, per aprire davvero la mente e il cuore all’ascolto. Se, mentre l’altro parla, tu stai già pensando a cosa dire, a cosa rispondere, allora tu non stai ascoltando lui o lei, ma te stesso… L’ascolto è una forma di amore che fa sentire l’altro davvero amato”.
L’ascolto implica l’esame di coscienza: “E quante volte la confessione del penitente diventa anche esame di coscienza per il confessore! A me è successo. Anche a voi, ne sono sicuro. Di fronte a certe anime fedeli, ci viene da chiederci: ho io questa coscienza di Gesù Cristo vivo? Ho questa carità verso gli altri?..
L’ascolto implica una sorta di svuotamento: svuotarmi del mio io per accogliere l’altro. E’ un atto di fede nella potenza di Dio e nel compito che il Signore ci ha affidato. Solo per fede i fratelli e le sorelle aprono al confessore il loro cuore; quindi, hanno il diritto di essere ascoltati con fede, e con quella carità che il Padre riserva ai figli. E questo genera gioia!”
La terza parola è l’accompagnamento: “Il confessore non decide al posto del fedele, non è il padrone della coscienza dell’altro. Il confessore, semplicemente, accompagna, con tutta la prudenza, il discernimento e la carità di cui è capace, al riconoscimento della verità e della volontà di Dio nella concreta esperienza del penitente.
A volte dire una o due parole, ma giuste, e non fare un’omelia domenicale. Il penitente vuole andarsene il più presto possibile, si capisce questo. Dire il giusto per accompagnarlo, sempre.
E’ sempre necessario distinguere il colloquio della confessione vera e propria, vincolato dal sigillo, dal dialogo di accompagnamento spirituale, riservato anch’esso, seppure in forma differente”.
Il confessore deve accompagnare alla santità: “Il confessore ha sempre come obiettivo l’universale chiamata alla santità, e accompagnare discretamente ad essa. Accompagnare vuol dire prendersi cura dell’altro, camminare insieme a lui o a lei. Non basta indicare una meta, se poi non si è disposti a fare nemmeno un tratto di strada insieme.
Per quanto breve possa essere il colloquio della confessione, da pochi dettagli si comprende già quali siano i bisogni del fratello o della sorella: ad essi siamo chiamati a rispondere, accompagnando soprattutto alla comprensione e all’accoglienza della volontà di Dio, che è sempre la via del bene più grande, la via della gioia e della pace”.
E’ un invito ai confessori, anche diaconi, di stare nei confessionali: “Cari fratelli, ringrazio il Signore con voi per il ministero che svolgete, o che presto vi verrà affidato , ministero al servizio della santificazione del Popolo fedele di Dio. E anche voi, per favore, confessatevi…
Mi raccomando: abitate volentieri il confessionale, accogliete, ascoltate, accompagnate, sapendo che tutti, ma proprio tutti hanno bisogno del perdono, cioè di sentire di essere amati come figli da Dio Padre… E questa è una potentissima medicina per l’anima, e anche per la psiche di tutti”.
Dopo aver raccontato due episodi papa Francesco ha sottolineato che la confessione è il nucleo fondamentale del prossimo Giubileo: “Colgo questa occasione per invitare fin da ora la Penitenzieria, alla cui cura è affidato, per così dire, il ‘nucleo profondo’ di ogni Giubileo, a disporre, in accordo con gli altri organi interessati, quanto necessario perché sia il più fruttuoso possibile il prossimo Anno Santo. E incoraggio voi a utilizzare tutta la creatività che lo Spirito suggerisce, perché la misericordia di Dio possa giungere ovunque e a tutti: perdono e indulgenza!”
Infine ha invitato a rivolgersi alla Madonna: “Quando voi avrete qualche dubbio, pensate alla Mamma, come dice quella leggenda del paese della cosiddetta ‘Madonna dei Mandarini’, soprannominata anche patrona dei ladri. Nel sud Italia c’è una leggenda sul fatto che la Madonna perdona tutto, e che se loro pregano la Madonna, Lei li salverà. E si dice che la Madonna dalla finestra guarda la coda che c’è davanti alla porta del Paradiso.
E San Pietro giudica chi entra e chi non entra. E quando la Madonna scopre uno di questi suoi devoti, gli fa segno di nascondersi, perché San Pietro sicuramente non lo lascerà entrare. E poi quando, più tardi, comincia il buio, prima della notte, la Madonna li fa entrare dalla finestra. Pregate la Madonna perché vi dia questo cuore paterno e anche materno, per perdonare e integrare nella Chiesa la gente. Lei è il rifugio dei peccatori”.
(Foto:Santa Sede)