Papa Francesco: le armi non risolvono i problemi

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Anche oggi, al termine dell’Udienza generale nell’aula Paolo VI, papa Francesco si è appellato ai governanti per raggiungere la pace in Ucraina, raccontando ciò che il nonno gli aveva narrato della Prima guerra mondiale:

“Vorrei prendere un minuto per ricordare le vittime della guerra. Le notizie delle persone sfollate, delle persone che fuggono, delle persone morte, delle persone ferite, di tanti soldati caduti da una parte e dall’altra, sono notizie di morte. Chiediamo al Signore della vita che ci liberi da questa morte della guerra. Con la guerra tutto si perde, tutto. Non c’è vittoria in una guerra: tutto è sconfitto.

Che il Signore invii il suo Spirito perché ci faccia capire che la guerra è una sconfitta dell’umanità, ci faccia capire che occorre invece sconfiggere la guerra. Lo Spirito del Signore ci liberi tutti da questo bisogno di auto-distruzione, che si manifesta facendo la guerra. Preghiamo anche perché i governanti capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione del problema. La soluzione è lavorare insieme per la pace e, come dice la Bibbia, fare delle armi strumenti per la pace”.

Ed ha invitato i fedeli polacchi a pregare per la pace attraverso l’atto di consacrazione alla Madre di Dio di venerdì prossimo: “Quest’anno, nel cammino di penitenza quaresimale, digiuniamo e chiediamo a Dio la pace, sconvolta dalla guerra in corso in Ucraina. In Polonia, voi ne siete testimoni accogliendo i rifugiati e ascoltando i loro racconti.

Mentre ci prepariamo a vivere un giorno speciale di preghiera nella solennità dell’Annunciazione del Signore, chiediamo che la Madre di Dio sollevi i cuori dei nostri fratelli e sorelle afflitti dalla crudeltà della guerra. L’atto di consacrazione dei popoli al suo Cuore Immacolato porti la pace al mondo intero”.

Continuando la catechesi sulla vecchiaia il papa ha incentrato la riflessione sul valore della memoria e della testimonianza attraverso la spiegazione del ‘Cantico di Mosè, che: “è anche memoria della storia vissuta con Dio, delle avventure del popolo che si è formato a partire dalla fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.

E dunque Mosè ricorda anche le amarezze e le delusioni di Dio stesso: la Sua fedeltà messa continuamente alla prova dalle infedeltà del suo popolo. Il Dio fedele e la risposta del popolo infedele: come se il popolo volesse mettere alla prova la fedeltà di Dio. E Lui rimane sempre fedele, vicino al suo popolo. Questo è proprio il nocciolo del Cantico di Mosè: la fedeltà di Dio che ci accompagna durante tutta la vita”.

Mosè ha una visione della vita, frutto dell’esperienza della vecchiaia: “Quando Mosè pronuncia questa confessione di fede è alle soglie della terra promessa, e anche del suo congedo dalla vita…

Quella capacità di vedere, vedere realmente anche vedere simbolicamente, come hanno gli anziani, che sanno vedere le cose, il significato più radicato delle cose.

La vitalità del suo sguardo è un dono prezioso: gli consente di trasmettere l’eredità della sua lunga esperienza di vita e di fede, con la lucidità necessaria. Mosè vede la storia e trasmette la storia; i vecchi vedono la storia e trasmettono la storia”.

Per il papa il racconto personale è molto importante: “Il racconto diretto, da persona a persona, ha toni e modi di comunicazione che nessun altro mezzo può sostituire.

Un vecchio che ha vissuto a lungo, e ottiene il dono di una lucida e appassionata testimonianza della sua storia, è una benedizione insostituibile…

Io posso dare una testimonianza personale. L’odio e la rabbia alla guerra io l’ho imparata da mio nonno che aveva combattuto al Piave nel 1914: lui mi ha trasmesso questa rabbia alla guerra. Perché mi raccontò le sofferenze di una guerra. E questo non si impara né nei libri né in altra maniera, si impara così, trasmettendola dai nonni ai nipoti. E questo è insostituibile”.

L’esperienza della fede raccontata con l’esperienza è molto importante: “Certo, le storie della vita vanno trasformate in testimonianza, e la testimonianza deve essere leale. Non è certo leale l’ideologia che piega la storia ai propri schemi; non è leale la propaganda, che adatta la storia alla promozione del proprio gruppo; non è leale fare della storia un tribunale in cui si condanna tutto il passato e si scoraggia ogni futuro.

Essere leale è raccontare la storia come è, e soltanto la può raccontare bene chi l’ha vissuta. Per questo è molto importante ascoltare i vecchi, ascoltare i nonni, è importante che i bambini interloquiscano con loro”.

Infine il papa ha sollecitato a raccontare veramente la fede: “La narrazione della storia di fede dovrebbe essere come il Cantico di Mosè, come la testimonianza dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli. Ossia, una storia capace di rievocare con commozione le benedizioni di Dio e con lealtà le nostre mancanze.

Sarebbe bello che ci fosse, fin dall’inizio, negli itinerari di catechesi, anche l’abitudine di ascoltare, dall’esperienza vissuta degli anziani, la lucida confessione delle benedizioni ricevute da Dio, che dobbiamo custodire, e la leale testimonianza delle nostre mancate fedeltà, che dobbiamo riparare e correggere”.

Gli anziani sono nella ‘terra promessa’ quando narrano ai giovani la bellezza di Dio: “Gli anziani entrano nella terra promessa, che Dio desidera per ogni generazione, quando offrono ai giovani la bella iniziazione della loro testimonianza e trasmettono la storia della fede, la fede in dialetto, quel dialetto familiare, quel dialetto che passa dai vecchi ai giovani.

Allora, guidati dal Signore Gesù, anziani e giovani entrano insieme nel suo Regno di vita e di amore. Ma tutti insieme. Tutti in famiglia, con questo tesoro grande che è la fede trasmessa in dialetto”.

(Foto: Santa Sede)

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