Card. Bassetti: lo sguardo della Chiesa nel mondo

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“Ci ritroviamo insieme mentre alle porte dell’Europa una guerra devastante sta seminando terrore, morte e distruzione. Il nostro pensiero va alle vittime, ai loro cari e a quanti sono costretti a lasciare le proprie case per cercare un luogo sicuro: uniamo la nostra voce a quella del Santo Padre, affinché ‘in nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi’. La nostra voce sale a Dio perché questa «inutile strage» del nostro tempo sia fermata. L’umanità implora un’alba nuova”.

L’alba nuova richiamata dal presidente, card. Gualtiero Bassetti, che ha aperto il Consiglio permanente della Cei, è la profezia di Michea, con uno sguardo all’Ucraina: “Di fronte alla fuga di milioni di persone, soprattutto donne e bambini, esprimiamo il nostro vivo e sincero ringraziamento a quanti, in Italia e in tanti altri Paesi, sono impegnati a dare forma e anima all’accoglienza. È una testimonianza di carità e di fraternità che diventa impegno concreto per un futuro di pace contro il virus dell’egoismo e dell’indifferenza”.

Con quale sguardo alla realtà? A questa domanda il presidente della Cei propone il vangelo della prossima domenica: “Innanzitutto il padre: offre una grande lezione di vita, perché è capace di accettare scelte di autonomia del figlio, che forse egli stesso non condivide, senza tuttavia rinchiudersi nel carapace delle sue idee. Si tratta di un gesto di tolleranza e di pazienza, che somiglia molto all’atteggiamento di Dio Padre che dà tempo ai suoi figli per riconoscere e fare il bene.

C’è poi il figlio più giovane, dissoluto e dissipatore, che si ricrede solo a causa dell’indigenza e non di un vero ravvedimento o dal desiderio di ritrovare il padre. Mentre cammina verso la casa paterna, però, la sua mente – possiamo immaginare – è turbata da alcuni interrogativi: come mi accoglierà? Con tanti rimproveri? Mi tratterà come l’ultimo dei servi e mi relegherà a un rango inferiore?

Eppure, quando è ancora lontano, il padre lo vede. E il suo non è solo un vedere materiale. Questo sguardo da lontano lascia intendere che egli stesse sempre attento a un potenziale ritorno del figlio: non è ripiegato sugli affari quotidiani. Il padre vede, perché sa guardare. Per questo gli corre incontro: perché ha a cuore quel figlio che si sta stagliando all’orizzonte”.

Questa nuova visione è offerta dal cammino sinodale: “Probabilmente, tutti abbiamo bisogno di imparare a guardare come il padre della parabola, in modo da attraversare la superficie delle cose e raggiungere i dolori e le speranze dell’umanità.

E’ quello che ci chiede il Cammino sinodale, in questo tempo dedicato all’ascolto: aprire le orecchie significa accogliere, guardare tutti e ciascuno con la stessa misericordia di cui è stato capace il padre della parabola. Questo percorso, su cui si sono incamminate tutte le nostre Chiese, sta registrando una partecipazione ampia e coinvolgente”.

Riprendendo l’appello alla pace di papa Francesco durante l’Angelus di domenica scorsa il card. Bassetti ha ringraziato i giornalisti per il racconto di ciò che avviene in Ucraina: “E siamo raggiunti anche da immagini di una popolazione che, da un giorno all’altro, ha perduto la propria quotidianità, la propria casa, la propria famiglia ed è stata costretta a separarsi dai propri cari, a lanciarsi in una fuga per la salvezza, a rischio della vita.

 Senza dimenticare le persone fragili, i malati e i minori soli, più vulnerabili che mai, totalmente dipendenti dall’aiuto di qualcun altro. La spinta di solidarietà dei Paesi di confine con l’Ucraina è stata davvero commovente; nessuno ha rinunciato a fare la sua parte. Degli oltre 3.000.000 di ucraini in fuga, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, l’80% si trova in Polonia, un’altra gran parte in Romania, Moldavia, Ungheria e Slovacchia”.

Ed anche le Chiese partecipano all’accoglienza: “Le nostre Chiese stanno facendo e faranno la loro parte nell’accoglienza e nell’apertura di corridoi per favorire l’arrivo in sicurezza delle persone che sono bloccate nei Paesi di transito, che non riescono più a proseguire il loro viaggio o sono troppo vulnerabili per farlo. Anche questo è un contributo prezioso alla pace”.

Ricordando l’incontro di Firenze il presidente della Cei ha invitato a pregare per la pace venerdì prossimo: “Per questo, venerdì 25 marzo, Festa dell’Annunciazione, ci uniremo con i Vescovi e i presbiteri di tutto il mondo a Papa Francesco che consacrerà la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria: è un ulteriore segno della misericordia di Dio che, al contempo, esprime tutta la preoccupazione del Santo Padre per questa situazione estremamente pericolosa per l’umanità intera.

Sappiamo che la pace nasce anzitutto nel cuore di ciascuno, dalla volontà di accompagnarsi reciprocamente nel cammino della vita, di stringere relazioni fondate sulla fraternità. In questo senso le Chiese, in ogni angolo del mondo, possono svolgere un ruolo insostituibile per l’edificazione di una vera pace, che ponga al centro dell’attenzione la dignità umana, il rispetto dei diritti, delle libertà di ogni persona e della vita, la costruzione di comunità solidali e aperte”.

Ma la guerra ha un impatto nella vita degli italiani: “L’impatto sconvolgente della guerra, infatti, ha colpito la società italiana in un momento in cui sembrava potersi concretizzare il desiderio collettivo di una stagione di ritrovata serenità, avvalorata dai numeri di una ripresa economica eccezionalmente intensa e dal progressivo superamento delle misure anti-Covid”.

Però non trascura il calo demografico: “Anche sul versante demografico i dati sono ancora una volta negativi, per l’effetto combinato delle morti per Covid (una tragedia che sarebbe intollerabile archiviare con superficialità e non solo perché il virus non è affatto domato) e dell’ennesimo minimo storico delle nascite che per la prima volta si sono fermate sotto la soglia emblematica delle 400.000 unità…

Occorre tuttavia essere consapevoli che un’inversione di tendenza non sarà possibile senza un salto di qualità sul piano culturale. Purtroppo il clima sociale appare ancora profondamente segnato dai contraccolpi della pandemia a cui si sono da ultimo sovrapposte le angosce provocate dalla guerra.

E’ necessario quindi che a tutti i livelli, da quello educativo e della comunicazione, a quello politico e giuridico, si diano risposte all’insegna della responsabilità e della solidarietà. Non è il tempo per effimere scorciatoie”.

Inoltre un  punto sulla tutela dei minori: “Proprio nell’ottica di questa premura, la Chiesa che è in Italia continua a procedere con passi decisi e convinti nella tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Quello degli abusi è un fenomeno che interpella nel profondo ciascuno e che non permette di abbassare la guardia.

Ma, a tre anni dall’emanazione delle rinnovate linee guida, incentrate sulla garanzia per le vittime, e dalla costituzione del Servizio nazionale, è possibile dire che la rotta è tracciata e ben salda. Non solo vi è una rete di Servizi che tocca ogni Diocesi italiana, ma con l’istituzione capillare di Centri di ascolto, diocesani e interdiocesani, sono stati resi disponibili luoghi dove (con persone formate e competenti in grado di accogliere, comprendere e confortare) viene esercitata l’accoglienza autentica delle vittime”.

Grazie a una formazione sempre più diffusa, inoltre, è possibile parlare oggi di un aumento globale della consapevolezza in ogni membro della comunità ecclesiale, di una cultura rivolta sempre più alla riparazione che al nascondimento, di una tensione alla verità e alla giustizia che non lascia indietro nessuno. In tal senso prosegue il cammino di discernimento e impegno per comprendere cosa è accaduto e perché, così da implementare ogni possibile attività di prevenzione e di tutela dei minori e delle persone vulnerabili all’interno della Chiesa”.

Però quale è il contributo del popolo di Dio nella società? Il presidente della Cei propone alcune linee: “I cristiani, che non costituiscono un’associazione separata dagli altri, sono inviati ancora oggi da Gesù ovunque, per incarnare il Vangelo portando la gioia, la speranza e l’esperienza di comunione.

La scelta di vivere come Cristo alimenta la speranza nel loro cuore, perché essa si realizza nella misura in cui la persona orienta tutte le risorse, anche nei tempi difficili, verso il progetto evangelico che diventa realtà nel quotidiano”.

Il popolo di Do offre un contributo essenziale alla società: “Il popolo di Dio ha nel cuore il desiderio di incontrare gli altri, senza preferenza di persona, ed essere riflesso di comunione in ogni luogo, perché fratello o sorella di tutti e, insieme, figli dell’unico Padre.

Nella vita personale rimanda costantemente allo sguardo amoroso di Dio che abbraccia non solo i credenti, ma tutti i viventi della terra. L’uomo e la donna di fede si mettono in ascolto di ogni persona che incontrano, in atteggiamento di accoglienza incondizionata dell’altro, soprattutto dei più fragili.

Scelgono, con la postura del pellegrino, di essere in comunione, operando con delicatezza e umiltà con le Chiese sorelle e le altre religioni, e anche con coloro che, pur professandosi lontani dalla fede, vivono valori profondamente umani”.

(Foto: Cei)

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