Processo in Vaticano. Becciu parla e convince. Ma il pm Professor Diddi marca visita: «Non mi sono potuto preparare»

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Decima udienza del processo, o forse si potrebbe dire, dato l’ambiente che di crocefissi abbonda, Decima Stazione della Via Crucis del Cardinale Angelo Becciu. Ieri per la prima volta – dopo aver docilmente assistito in silenzio per mesi infiniti alle dure schermaglie procedurali tra avvocati e Promotori di Giustizia (i pm vaticani) – ha parlato. Dapprima una dichiarazione spontanea [QUI]. Ha professato la sua innocenza, ha denunciato il linciaggio universale, si è inchinato al Papa richiamando il suo nome con affetto, del resto – ritiene Becciu – che Francesco non solo si auguri, ma sia convinto meriti l’assoluzione.

Quindi, dopo un preambolo da teatro shakespeariano, gli è toccato un assaggio di interrogatorio da questura, con la lampada negli occhi. Nessun problema. È nato pronto a rispondere alle accuse, essendo false e pessimamente congegnate. Uscite in tutte le salse ovunque, raccolte in faldoni di trentamila pagine, Becciu si aspettava l’assalto del procuratore che sa a memoria le presunte malefatte del porporato defenestrato. Accidenti però, nel momento in cui sul quadrante della storia scocca l’ora fatale dell’Ok Corral vaticano, il pugnace professor Alessandro Diddi marca visita. Ha sostenuto che essendo i suoi collaboratori indisposti per il Covid non aveva potuto prepararsi. Ma come? Proprio lui? Maneggia interrogatori a testimoni e accusati – come mostrano i video pubblicati dal Corriere.it – con abilità portentosa e qualche volta spaventevole per malizia. Identico allo spietato procuratore del processo a Dimitrij Karamazov, e adesso si eclissa. Gatta ci cova? Lo pensano in tanti nell’aula.

Un bel match

Lo sostituisce irritualmente con tre domande affilate come spade il Presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone. Quasi per procurare ulteriore materiale a Diddi, come insegnano ai giovani magistrati le toghe più scafate: le prove della propria colpevolezza le fornisce nel 90 per cento dei casi l’imputato durante l’interrogatorio. Vedremo come Diddi saprà usare le risposte di Becciu. È stato comunque un bel match. Pignatone ha abbandonato il tono discorsivo, stavolta ha estratto dal suo curriculum il piglio scorticatore dell’accusatore togato quale del resto, prima di essere nominato giudice vaticano, è stato per 40 anni in Italia: puntuto, preciso, un colpo al fegato, poi un uppercut al mento dell’imputato ovviamente spaurito.

Anni di bastonature

Becciu no, non si è fatto mettere all’angolo, è rimasto in piedi, ha parato i colpi, ha mandato a vuoto l’attacco. Di più. Piccolo com’è, questo prete sardo di 74 anni, ieri è parso molto più alto dei suoi scarsi centimetri. Provato dalle flagellazioni mediatiche e dal mobbing dei confratelli porporati, con l’animo intriso di sangue rappreso dopo due anni di bastonature; ci si aspettava un tono ecclesiastico piagnone. Invece ha retto e replicato con una serenità stupefacente.

Le accuse sul presunto peculato, l’aver stornato cioè dalle casse del Papa alle tasche dei parenti, l’Obolo di San Pietro, sono parse fondate sul pregiudizio che i fatti ribaltano. È strano, ma chi c’era in aula – e non solo dalla parte delle difese – ha avuto la netta percezione che sia stato trascinato alla sbarra l’uomo sbagliato. Del resto la storia della Chiesa è iniziata dal processo a un innocente, e in quel caso fu una benedizione che «redimistit mundum» ma forse non si sentiva il bisogno di ripetere – in piccolo, per carità, qui non ci sono né Gesù né Ponzio Pilato – la mala parata di accuse campate per aria, e di sputi sul volto dell’accusato da parte dei servi del sommo sacerdote. Magari dal letame nasceranno fiori, là c’è la Provvidenza. O no?

Per rimanere in tema di Via Crucis, chissà che l’itinerario verso il Golgota abbia subito una deviazione. Non sta camminando su petali di rose, non esageriamo. Ma forse, dopo aver subito il 24 settembre del 2020 una “crocifissione cautelare” (come l’ha definita su Repubblica lo storico della Chiesa Alberto Melloni), e quindi intrapreso la discesa agli inferi, magari riuscirà a saltar fuori dalla tomba in cui l’opinione pubblica l’ha tumulato.
Colpito e ferito

Ora la cronaca. Si alza Becciu, saluta, parla. Ecco stralci della sua orazione difensiva: «Sono stato preceduto da un massacro mediatico senza precedenti. Presentato come il peggiore dei cardinali. Una campagna violenta e volgare. Accuse di ogni genere con un’eco mondiale. Sono stato descritto come un uomo corrotto. Avido di soldi. Sleale verso il Papa. Preoccupato soltanto del benessere dei miei familiari. Hanno insinuato infamie sull’integrità della mia vita sacerdotale, aver finanziato testimoni in un processo contro un confratello, essere addirittura proprietario di pozzi di petrolio o di paradisi fiscali. Accuse assurde. Incredibili. Grottesche. Mostruose. Viene da chiedersi chi tutto questo ha voluto e a quale scopo. Certo, contava demonizzarmi e distruggermi. Mi hanno ferito e colpito nel mio essere sacerdotale e nei miei affetti familiari. Ma non mi hanno piegato. No, Signor Presidente, Signori Giudici: sono qui a testa alta. Con la coscienza pulita. Difendo il mio diritto all’innocenza. Dichiaro la mia disponibilità totale a cercare e a dire con voi la verità. Non ho paura di essa. Desidero anzi che al più presto la verità sia proclamata. Lo devo alla mia coscienza. (…) Lo devo soprattutto al Santo Padre, che recentemente ha dichiarato di credere alla mia innocenza. Eccomi, Signor Presidente: sono pronto a rispondere alle vostre domande».

La gaffe di Pignatone

Come detto Diddi si auto sospende. Subentra Pignatone. Tre domande. La prima riguarda il segreto pontificio ed è quella più rivelatrice: «Nella istruttoria, nella vicenda di Cecilia Marogna, lei non ha risposto invocando il segreto pontificio. Molte cose sono successe nel frattempo, tante cose sono state pubblicate dai giomali. Le chiedo se in questa sede ripropone l’opposizione del segreto pontificio o ritiene di poter rispondere?» (Osservazione. Che gaffe quella di Pignatone. I giornali? Che cosa c’entrano? Sono negli atti processuali? Forse questa voce dal sen fuggita è la prova che il vero processo è stato soprattutto giocato in un’altra sede, quella dei media mondiali). Ci si riferisce ai soldi per liberare ostaggi forniti per ordine di Becciu a colei che i promotori di giustizia non hanno esitato a insinuare fosse la sua amante. Il Cardinale Becciu ha risposto: «Intendo confermare il segreto pontificio tuttavia sono disposto ad accettare quello che verrà disposto dalla autorità». Insomma: decida il Papa.

La seconda e la terza domanda riguardano la Sardegna, e i soldi versati alla cooperativa Spes, dove c’entra il fratello. Risposte cristalline. Nessun interesse famigliare.

L’ordinanza finale ha il suo punto cardine nella domanda che il Tribunale farà alla Segreteria di Stato: Becciu è liberato dal segreto pontificio o no? Parolin busserà a Santa Marta. Vedremo.

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