Riflessioni sparse nell’era dei bambini onnipotenti al potere. Per capire (spiegare non è giustificare) cosa sta succedendo realmente in Ucraina – Parte 10

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Prosegue dalla Parte 9: QUI.

Oggi, domenica 13 marzo 2022, memoria di San Leandro di Siviglia, proseguiamo la nostra “antologia dietro le quinte di una guerra sanguinosa messa insieme con pazienza, nell’era dei bambini onnipotenti [*] al potere, con il dito sul bottone dell’atomica”, con una riflessione di Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito di Ascoli Piceno, accompagnata da 10 note “illustrative”, seguite da un Postscriptum (dedicato ai pacifisti intermittenti).

«Gira la notizia, data dai media, che il 42% degli italiani non si fida dei media. E infatti anche stavolta i media hanno certamente mentito. E non di poco. Segno evidente che il tempo non gioca a loro favore. E loro lo sanno» (Massimo Viglione). Secondo il rapporto di marzo 2022 di ECCO solo il 18 % degli Italiani ha fiducia nei media e l’8% nei giornalisti (ECCO rientra all’interno del progetto “Navigating Uncertainty” condotto da More in Common, un’iniziativa internazionale nata nel 2017 per costruire società più forti, più unite e più resistenti davanti alle crescenti minacce di polarizzazione e divisioni sociali).

Quello che abbiamo capito è che il giornalismo non era uscito bene dalla narrazione del Coronavirus cinese di Wuhan e la guerra Ucraina-Russia gli sta dando il colpo di grazia.

In questa settimana abbiamo visto l’Italia precipitare in una situazione di economia di guerra. Il prezzo dei carburanti è schizzato alle stelle, gli autotrasportatori smettono di consegnare le merci perché non riescono a stare nei costi, molti beni iniziano a scarseggiare sui scaffali. Invece, è sempre abbondante la propaganda a reti unificate, ci sono le persecuzioni contro dissidenti e “putinversteher” (amici di Putin).

Auguro una buona lettura domenicale (e, a voi “pacifisti” con il cervello spento, l’invito a non sparare al pianista con il kalashnikov).

Molto più bello amare che odiare
I bambini sono la ricchezza della società. Lui è Andrea, un piccolo grande uomo, che con grande capacità e coraggio esprime le sue opinioni. Merita di essere ascoltato
[QUI].
Il Vescovo emerito di Ascoli Piceno, Mons. Giovanni D’Ercole.

«Calma! Ci vuole self control per non creare più problemi di quelli che già la guerra in Ucraina sta creando. Leggo anche da parte di alti responsabili della nostra diplomazia attacchi a Putin molto offensivi e non proprio degni di uomini di stato [1], come pure attacchi al patriarca della chiesa ortodossa russa per la sua omelia di domenica 6 marzo [2] riferita solo parzialmente dai nostri media. Il momento è difficile e delicato perché è in gioco il futuro dell’Europa che purtroppo non è stata in grado di prevenire e affrontare la situazione con autorevolezza ed efficienza [3]. Si possono avere idee e opinioni diverse ma credo che ora è il tempo della prudenza massima per tutti noi [4].

Anzitutto perché le notizie che ci giungono attraverso i media e i social non vanno prese per oro colato [5].

In secondo luogo perché come italiani siamo ora in posizione delicata avendo in pratica dichiarato guerra alla Russia e al suo popolo inviando armi in Ucraina.

Amiamo il popolo russo e quello ucraino vittime di una situazione creata dai loro rispettivi governanti ed esprimiamo a entrambi vicinanza e solidarietà: sono popoli fratelli per lunga tradizione storica e spirituale. Non sappiamo cosa succederà. E se Putin definito nei modi più spregevoli da taluni dovesse raggiungere i suoi obiettivi noi italiani come ci metteremo? [6]

Perché non seguire piuttosto quanto il Papa e la diplomazia vaticana stanno facendo per la pace con la nostra preghiera? [7] Aiutiamo i profughi della guerra accogliendoli come in tanti stanno facendo ed evitiamo di schierarci come in una partita di calcio da una parte o l’altra perché ci sfuggono tutti gli elementi necessari per un giudizio equo della situazione [8]. Noi siamo per la pace; lavoriamo come possiamo perché si raggiunga la pace e per questo dobbiamo non buttare benzina sul fuoco [9] ma spegnerlo con la nostra corale intensa preghiera. La preghiera e il digiuno sono armi spirituali che in questo momento siamo chiamati a mettere in atto e se possibile evitate di lasciarvi assorbire da tutto quello che i media, le televisioni e i social continuamente propongono sulla guerra perché il rischio di fake news è molto alto [5]!

E infine è bene non dimenticare che ci sono guerre che durano da decenni in diverse nazioni africane, in Asia, in Medio Oriente e America Latina e nessuno ne parla [10]. Tutte le guerre sono ferite al corpo dell’umanità e testimoniamo che questo nostro mondo ha bisogno di una seria conversione al perdono e alla giustizia pilastri su cui si costruisce la pace. Ma solo Dio può cambiare il cuore dell’uomo, specialmente la coscienza di coloro che parlano di pace e fabbricano armi sempre più sofisticate e micidiali» (Mons. Giovanni D’Ercole).

Fermatevi in nome di Dio! No alla violenza e all’odio. No alla guerra! Si alla pace e alla concordia tra i popoli e le nazioni!

Le note del Blog dell’Editore

[1] L’Italia è rappresentata da un cretino che parla di questioni politiche internazionali importantissime come se fosse seduto al bar di Mergellina: «L’Italia deve continuare a sostenere l’indebolimento e l’isolamento internazionale di Putin. Se continua così condanna alla morte economica il suo popolo, che protesterà sempre di più». «Zelensky? Un eroe mondiale che merita di essere ascoltato al Parlamento italiano, anche se le cose che ci dirà non siamo disponibili a farle». Sono le parole del Ministro degli esteri Luigi Di Maio riportate dal Corriere della Sera [QUI].

[2] Qui il testo integrale dell’omelia del Patriarca Kirill: Domenica 6 marzo 2022. Appello di Papa Francesco per l’Ucraina e Omelia del Patriarca Kirill nella Domenica del Perdono -6 marzo 2022. Ci sarà una ragione perché riportiamo spesso testi integrali…

[3] La provocazione dell’allargamento della NATO ad Est e l’incapacità e autolesionismo dell’Unione Europea

«L’altro giorno il Prof. Alessandro Orsini – che nell’Occidente libero sta rischiando di rimanere per strada per aver ricordato fatti ed espresso motivate valutazioni – ha ricordato incidentalmente che l’anno scorso la NATO ha fatto tre gigantesche manovre militari in Ucraina (informazione nostrana sul tema non pervenuta). Ma non essendo l’Ucraina ufficialmente nella NATO di cosa si sarebbero mai dovuti preoccupare i russi? Dopo tutto l’adesione alla NATO è stata sì inserita dal 2019 nella Costituzione ucraina, ma senza una data. E la NATO – dopo essersi continuamente allargata ad Est dal 1999, contravvenendo alla parola data – aveva offerto l’ingresso a Ucraina (e Georgia) sin dal 2008, ma senza definire il momento dell’ingresso. Dunque perché preoccuparsi anzitempo? Era più saggio che Putin aspettasse la firma ufficiale del trattato di adesione, così la guerra del Donbass o qualunque altra tensione confinaria sarebbe diventata automaticamente un casus belli da Terza Guerra Mondiale tra Nato e Russia. Ora, la verità trasparente a chiunque non si sia bevuto il cervello è che questo conflitto è stato pervicacemente voluto, provocato e sollecitato dagli amministratori delegati della NATO, cioè dagli USA, che da esso avevano e hanno tutto da guadagnare sul piano economico e strategico, quale che ne sia l’esito. La colpa di Putin è di aver abboccato, o meglio, di aver visto il bluff con caratteristica spregiudicatezza, il che implicava accettare costi umani ed economici immediati, ma prevedibili, invece di temporeggiare oltre, rinviando quei costi verso un futuro in cui sarebbero potuti essere insostenibili. Non c’è dubbio che Putin sia uno col pelo sullo stomaco. E d’altro canto se fosse stato diverso non sarebbe durato un mese come successore di Eltsin, in una Russia che era divenuta il regno di mafiosi e oligarchi beneficiati dalla famiglia Eltsin. È uno che, con metodi autoritari, ha rimesso in piedi un Paese morente e ha implementato un relativo grado di rispetto delle leggi, e anche un grado di libertà personale maggiore che in passato. Mentre la parabola storica della Russia è crescente sul piano sociale, economico e persino democratico (pur essendo assai lontani da una democrazia decente), la parabola storica dell’Occidente en bloc è quella di una pluridecennale contrazione sociale, economica e soprattutto democratica, con una costante riduzione della rappresentatività della politica e degli spazi di agibilità della libera espressione. E come accade sempre nelle situazioni di grave crisi, in Occidente ci preoccupiamo costantemente di spostare lo sguardo pubblico fuori di noi, dipingendo il nemico (Venezuela, Corea del Nord, Cina, Iran, ecc.) con i colori più tetri, in modo da far sospirare di sollievo le proprie cittadinanze (“per fortuna non siamo così!”), distogliendo l’attenzione dalla devastante e perdurante crisi interna. In questo contesto si staglia per incapacità e autolesionismo l’Unione Europea, che, fallimento dopo fallimento, dalla crisi subprime a oggi, sta preparando per le proprie popolazioni un futuro di miseria e irreggimentazione» (Andrea Zhok).

[4] Il rischio reale di escalation della guerra in Ucraina

«Non riesco ancora a persuadermi che in Europa, classi dirigenti e popoli in larga maggioranza non si rendono conto del rischio reale di escalation della guerra in Ucraina, e NON solo in Ucraina ma in Europa e nel mondo. La possibilità di escalation nucleare c’è. Questa crisi è PIU’ grave della crisi dei missili cubani, che fu il maggiore rischio di confronto diretto fra USA e URSS nel corso della Guerra Fredda. In Italia, paese di Machiavelli, pare arrivarci una minima quota della popolazione. Si leggono chiacchiere, pagelle a Putin, gente che fa la morale al mondo, alla storia, alla logica di potenza, in sintesi clamorose devianze dalla realtà: perché se c’è un modo per identificare la realtà differenziandola dalla fantasia, è ricordarsi che la realtà è la dimensione in cui si muore: muori tu, muore lui, muoio io (per questo non è gradita). Propaganda? Sì certo, propaganda. Ma il fatto più grave è che i propagandisti sembrano credere anche loro, almeno in parte, alla loro propaganda. Se è così, non si manifesta soltanto stupidità menzognera, si manifesta una malattia spirituale» (Roberto Buffagni).

[5] È in corso una guerra psicologica, non solo sul campo

«1) Attenzione: in corso guerra psicologica occidentale e russa. A noi arriva solo la guerra psicologica occidentale. Non credere MAI niente a scatola chiusa Credere solo al verificabile/plausibile. Il verificabile NON SONO LE FOTO E I VIDEO.
2) Il verificabile è: quello che NON si vede. Esempio: NON si vedono paesaggi urbani lunari modello Falluja o Grozny (cercare foto). La Russia ha i mezzi per radere al suolo le città ucraine. Se lo fa, i satelliti registrano e lo vediamo in tv. Se non lo vediamo, i Russi NON bombardano le città, solo obiettivi militari + errori.
3) Il verificabile è: quello che mostrano i satelliti. I satelliti mostrano la manovra di accerchiamento russa, quindi i Russi hanno veramente accerchiato le FFAA ucraine, che dunque NON possono più prendere l’iniziativa.
4) Il plausibile è: CUI BONO. Esempio. A Mariupol chi impedisce ai civili di mettersi in salvo? I Russi o gli Ucraini? Conviene al Battaglione Azov trincerato a Mariupol o ai Russi che lo attaccano? Se i civili si mettono in salvo i Russi possono rovesciare un diluvio di fuoco sull’Azov. Altrimenti devono snidare l’Azov casa per casa = molti più caduti russi.
5) Sintesi: NON credere a NIENTE che non sia VERIFICABILE o PLAUSIBILE. Tutto il resto è guerra psicologica fino a prova materiale contraria» (Roberto Buffagni).

Tra altro, in questa nostra rubrica “Riflessioni sparse nell’era dei bambini onnipotenti al potere. Per capire (spiegare non è giustificare) cosa sta succedendo realmente in Ucraina” parliamo anche di fake news e della propaganda di guerra. Due esempi:

1. Il quotidiano La Stampa ha cancellato articoli dove definiva (giustamente) il Battaglione Azov come nazista [QUI]. L’ordine di scuderia per i giornalisti filo NATO (quindi il 100% su stampa e tv mainstream) è che “Il Battaglione Azov non è nazista” come ha impunemente dichiarato Enrico Mentana al suo Tg su La7: «Il Battaglione Azov è una parte delle forze armate dell’Ucraina, non è un battaglione nazista». Ma nel mondo orwelliano al contrario in cui viviamo quella foto non esiste, il massacro di Odessa non esiste, le parate naziste non esistono, il massacro di 15 mila civili in Donbass da neonazisti dichiarati come il Battaglione Azov non esiste. Va realizzato il reset totale della storia dell’Ucraina dal 2014 ad oggi e cancellare i pochi articoli in cui era emersa la verità. Ed ecco che incredibilmente La Stampa cancella gli articoli del 2014 in cui raccontava la nazificazione dell’Ucraina. Il titolo dell’articolo, recuperabile negli archivi è “I neo-Nazi imperversano in Ucraina, ma il Nazismo non è più “il male assoluto” (per l’Occidente). L’articolo è visionabile su web archive, nonostante La Stampa lo abbia cancellato, credendo di eliminarlo dalla rete e nel contempo di poter cancellare la Storia con un click. Lantidiplomatico.it ha recuperato l’articolo [QUI]. L’articolo recuperato da Stilum Curiae [QUI].

Invece, Panorama ha ripubblicato il 7 marzo 2022 un reportage uscito otto anni fa, il 2 luglio 2014, ancor oggi di un’attualità sconcertante. Racconta la storia di un Italiano che si era unito al Battaglione Azov, la forza paramilitare neonazista accusata nel 2016 dall’OSCE di uccisione di prigionieri, di occultamento di cadaveri in fosse comuni e di uso sistematico di tecniche di tortura. Ora unità militare regolare inquadrata nella Guardia Nazionale, è per lo più composta da volontari ucraini di estrema destra, affiancati da ultrà provenienti da vari Paesi europei, come l’italiano qui intervistato. Negli ultimi giorni, gli «uomini neri» accusati di crimini di guerra da Amnesty International sono tornati sotto i riflettori perché stanno combattendo a Mariupol, la città messa sotto assedio dall’esercito russo [QUI].

2. Si dice che «il sindaco di Mariupol ha informato che è stato distrutto un ospedale civile da 900 posti letto, che ci sono bambini sotto le macerie e un bambino è morto disidratato». Nella battaglia di immagini (oltre che sul campo) fra Ucraina e Russia a Mariupol, gli Ucraini mostrano le immagini di un ospedale bombardato, i Russi mostrano le immagini di militari di Kiev appostati sul tetto dell’edificio. Sostengono che lo stesso fosse già stato evacuato. Giorgio Bianchi Photojournalist informa che nel frattempo è stata trovata la ragazza fotografata sulle rovine dell’ospedale di maternità a Mariupol. È la modella e beauty blogger Marianna Podgurskaya. La ragazza è davvero incinta, ma non poteva essere ricoverata lì perché il complesso è occupato dai neonazisti del Battaglione Azov. La ragazza è stata truccata e portata sotto le telecamere. L’esclusiva è stata affidata al noto fotografo Yevgeny Maloletka, che attualmente collabora a stretto contatto con le agenzie di stampa occidentali e lavora per The Associated Press. Le sue fotografie dedicate alla crisi in Ucraina possono essere trovate sul web e anche sul sito web dell’OSCE [QUI]. La modella ha recitato in tre episodi. L’8 marzo è stata pubblicata un’intervista con uno dei dipendenti dell’ospedale di maternità. Ha detto che l’Azov ha cacciato via tutto il personale e le pazienti e ha occupato l’edificio. Il 5 marzo è stato registrato che i militanti dell’Azov stavano sparando dal territorio dell’ospedale di maternità.

Per la cronaca riportiamo che InveceConcita sul suo blog ospitato da Repubblica.it ha sentenziato che si tratta di “propaganda russa, disinformazione e complotti”, pubblicando anche le foto qui sopra. Ormai, inutile continuare a ripetere che è in atto una guerra di propaganda e contropropaganda. Mentre le bombe vere sono spaventose, quelle a parole sono ancora più devastanti.

E questo non cambia niente alle atrocità della guerra. Le atrocità sono inerenti all’essere umano che ha perso la strada e ad ogni guerra, indistintamente. La guerra è il male e fa male. Sempre e dappertutto. Questo male è scoppiato in Ucraina un decennio fa e ce ne siamo “accorti” tre settimane fa. E che “ignoriamo” in una ventina di Paesi al mondo.

La fake news dell’attacco alla moschea di Mariupol

Il Presidente dell’Associazione che gestisce la moschea di Solimano a Mariupol, Ismail Haciogl, ha affermato che l’area è sotto tiro, smentendo tuttavia che la moschea sia stata colpita come invece affermato in mattinata dal governo ucraino. “I Russi stanno bombardando l’area che si trova a 2 chilometri dalla moschea e una bomba è caduta a una distanza di 700 metri dalla moschea”, ha scritto su Instagram. Trenta civili Turchi sono all’interno dell’edificio, “compresi bambini”, ha aggiunto, senza specificarne il numero (Fonte ANSA).

Dieci cose da fare invece di stare sui social e ossessionarsi sulla guerra

«1. Qualunque video o audio o messaggio riguardante il conflitto, di qualunque fonte (anche giornalistica o governativa), va considerato con estrema prudenza e in mancanza di conferme FORTI non va condiviso, neanche per criticarlo.
2. Se qualcuno vi manda video/audio/messaggi non verificati sulla guerra, ditegli di piantarla di diffondere allarmi o almeno di smettere di mandarli a voi.
3. Se vedete notizie che sospettate già che siano false, NON MANDATELE PUBBLICAMENTE AI DEBUNKER. Regalereste solo visibilità: cancellatele e basta. Se proprio dovete segnalarle a un debunker, usate mail o messaggi privati.
4. Tutto quello che viene affermato senza prove può essere liquidato senza indagine. Non sta a noi debunker smentire: spetta a chi fa l’affermazione portarne le prove. Niente prove? Niente fonti? Allora niente clic, niente inoltri, niente condivisioni, niente commenti.
5. Non scrivetemi chiedendo un mio parere su una notizia di guerra. Se non è legata all’informatica, non sono qualificato a dirne nulla e quindi sto zitto. Fate altrettanto.
6. Se avete letto su un sito (anche di giornale o emittente TV) una scemenza sulla guerra:
A) PIANTATE DI LEGGERLO;
B) NON CITATELO, neanche per contestarlo.
Link che contestano o elogiano aumentano comunque visibilità, ranking e incassi pubblicitari.
7. Se frequentate gruppi social nei quali circolano allarmi sulla guerra, SMETTETE DI FREQUENTARLI. Non state facendo altro che rincoglionirvi e farvi venire ansie. PIANTATELA DI FARVI OSSESSIONARE DALLA GUERRA E DAI COMPLOTTISMI.
8. Invece di perdere tempo e alimentare paranoie sui social, fate altro. Leggete un libro. Riordinate la casa. Guardate un film. Cucinate. Tenete un diario privato. Staccatevi dallo schermo del telefonino e parlate con gli esseri umani che avete intorno. Aiutate chi ha bisogno.
9. Se avete figli, giocate con loro. Aiutateli con i compiti. Imparate una lingua straniera. Trovatevi con gli amici. Se avete un partner, fate l’amore (in sicurezza). Se non l’avete, siate creativi.
10. Parlate d’altro. Fate piani per il futuro, perché la guerra prima o poi finirà. Ma soprattutto, NON CONDIVIDETE CAZZATE» (Paolo Attivissimo).

“Ukraine on Fire”, il film documentario del 2016 del produttore esecutivo Oliver Stone, diretto da Igor Lopatonok. Censurato da YouTube.

[6] «Avete presente cos’è una “economia di guerra”? No? Vi aspetto tra un mese, voi che vi fate fotografare col termostato spento per amore della libertà. La macelleria sociale sarà ancora più forte di quella causata dal Covid. In Nord Africa sono già previste rivolte per il pane» (Kattoliko Pensiero @kattolikamente).

Tre piccioni con una fava:
– si giustificano disservizi (trasporti e raccolta rifiuti) cronici;
– si estendono le restrizioni;
– ci si deresponsabilizza incolpando la guerra.
E i Media grancassa.

Manca il grano, è emergenza

Sembra che manca il grano. Il Sottosegretario all’agricoltura, Gian Marco Centinaio, ha convocato, presso il Ministero delle Politiche Agricole, il Tavolo sull’emergenza grano. A conferma della gravità del momento, l’evento ha visto la presenza di tutti i rappresentanti dell’intera filiera agricola, dai produttori di alimenti zootecnici e di seminativi all’industria molitoria, che si occupa di produrre farine, fino ai panificatori.

Il rincaro dei prezzi del gas e della benzina

«Al 18° giorno di combattimenti, con circa un terzo del territorio occupato, l’Ucraina non ha ancora dichiarato guerra alla Russia. Secondo l’analista russo Sudal’zev ciò è dovuto all’ esigenza di ricevere il pagamento dei diritti di transito del gas» (Giorgio Bianchi Fotojournalist – Telegram, 13 marzo 2022).

Il transito ucraino di gas russo verso l’Europa occidentale funziona a pieno regime: 110 milioni di m3 il 13 marzo.

«La prova che la Russia non ha nulla a che fare con il rincaro dei prezzi del gas ci viene da quanto rivelato dal Presidente serbo Vucic. La Russia non aveva alcuna difficoltà a vendere il gas ad un prezzo di 400 dollari per 1000 metri cubi. Per darvi un’idea dell’enorme speculazione in corso oggi lo stiamo pagando 3900 dollari per 1000 metri cubi. Questa crisi è tutta dovuta non al lato dell’offerta, quello della Russia, ma a quello della domanda, ovvero dell’Unione Europea. Il quantitativo di gas offerto dai russi è rimasto costante. Mosca non ha mai diminuito gli approvvigionamenti di gas all’Europa. Sono stati i Paesi europei a ridurre le importazioni su indicazione del regime di Brussel che voleva favorire una “transizione ecologica” che non ha nulla di ecologico ma ha il solo proposito di deindustrializzare l’Europa Occidentale. Non stiamo pagando una bolletta salata per colpa di Putin. Stiamo pagando una bolletta salata per colpa di corrotti governanti che hanno provato a portare avanti un’agenda che comunque ad oggi è già fallita. Nessuno sta portando avanti il piano di Davos. La Francia ha investito sul nucleare e la Germania è tornata indietro sulla conversione dagli idrocarburi all’elettrico. La cosiddetta “transizione ecologica” è morta prima ancora di iniziare» (Cesare Sacchetti – Telegram, 13 marzo 2022).

Nel 2008 il prezzo del petrolio al barile era di 145,31 dollari. Sempre nel 2008 la benzina costava 1,37 euro e il gasolio 1,34 euro. Il 10 marzo 2022, il prezzo del petrolio al barile variava tra 111 e 114 dollari, ossia 30 euro in meno rispetto al 2008, ma il prezzo di benzina e diesel ha superato i 2 euro al litro (il gasolio agricolo ha toccato 1,40), attestandosi rispettivamente intorno ai 2,20 e 2,10 euro, ovvero 80/90 centesimi in più.

«Stiamo assistendo ad un aumento del prezzo dei carburanti ingiustificato, non esiste motivazione tecnica di questi rialzi. La crescita non è correlata alla realtà dei fatti è una spirale speculativa, su cui guadagnano in pochi (…) una colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini» (Roberto Cingolani, Ministro della Transizione Ecologica a SkyTg24, 12 marzo 2022).

Secondo TankerTrackers.com Inc., una società indipendente che monitora le spedizioni di merci internazionali, altre due navi cariche di petrolio hanno lasciato la Russia dirette verso gli Stati Uniti. A quanto pare, questa “messa al bando” delle importazioni petrolifere dalla Russia decisa da Biden sembra essere solamente virtuale. Gli Stati Uniti ad oggi continuano a importare il petrolio russo.

[7] Il Segretario di Stato di Sua Santità, il Cardinale Pietro Parolin durante un’intervista con i media vaticani sulla guerra in Ucraina ha riaffermato la disponibilità della Santa Sede per qualsiasi tipo di mediazione, ricordando che «non dobbiamo cedere alla logica della violenza e dell’odio» [Parolin: basta con lo scempio della guerra, non è mai tardi per trovare un accordo – 12 marzo 2022].

[8] «Spedire armi e costringere gli ucraini a difendersi si dimostrerà una scelta dannosa. “Sosteniamo la difesa civile non armata e non violenta, no alla guerra sì al dialogo”

Un noto giornalista scriveva tempo fa che “il dialogo paziente non fa notizia ma cambia la vita e la storia”. Quando si smette di comunicare e ascoltare, si finisce per attaccare. La cultura del dialogo, come ha ricordato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, costituisce infatti la premessa necessaria per difendere la Pace. Affinché le idee contrastino le armi, occorre un senso di responsabilità collettiva e umana, che dimostri che c’è ancora spazio per la pace. Non è mai troppo tardi e l’unico modo ragionevole e costruttivo per risolvere le divergenze è il dialogo, come anche Papa Francesco ha dimostrato recandosi all’Ambasciata russa presso la Santa Sede.
In questo momento di forti tensioni per la guerra in Ucraina serve un forte movimento per la pace. Spedire armi e costringere la popolazione ucraina a difendersi, si dimostrerà una scelta inefficace e dannosa, come la storia insegna. Sosteniamo la difesa civile non armata e non violenta. L’ascolto fa tacere il frastuono. Per questo motivo le piazze dicono “no alla guerra e sì al dialogo”.
Elena Di Angelo
Immasole Carbone
Irene Basenghi
Eva Berdaku
Eleonora Bozzato
III A»
(Il Resto del Carlino)
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[9] Berlino. Attacco incendiario a una scuola russo-tedesca

Un incendio doloso è stato appiccato alla “Lomonossow Schule”, una scuola russo-tedesco a Marzahn, un quartiere orientale di Berlino. L’agenzia di sicurezza statale responsabile per i crimini politici ha assunto le indagini. “Presumiamo si tratti di un atto intenzionale e sia da ricollegare alla guerra in Ucraina”, ha detto oggi un portavoce della polizia. È solo uno dei numerosi casi in cui istituzioni russe e persone di origine russa sono state attaccate di recente. Dall’inizio della guerra di aggressione della Russia in Ucraina, la polizia di Berlino ha registrato circa 100 incidenti simili, ha detto una portavoce. Edifici e club, media, dipendenti dell’ambasciata e privati cittadini russi sono stati attaccati. Si tratta principalmente di danni alla proprietà, minacce e insulti. La maggior parte dei casi è classificata come “anti-russa” (Fonte Tagesspiegel).

Meta Platforms ora accetta l’incitazione alla violenza contro Russi, Putin e Lukashenko

Meta Platforms consentirà agli utenti di Facebook e Instagram in alcuni paesi di invocare la violenza contro russi e soldati russi nel contesto dell’invasione dell’Ucraina, secondo email interne visionate da Reuters giovedì, in quello che appare come un cambiamento temporaneo nella politica di incitamento all’odio dell’azienda. La nota piattaforma social sta anche consentendo temporaneamente alcuni post che chiedono la morte del presidente russo Vladimir Putin o del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, si legge in alcune e-mail interne scambiate tra i moderatori dei contenuti. “Come risultato dell’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo temporaneamente concesso forme di espressione politica che normalmente violerebbero le nostre regole come discorsi violenti come ‘morte agli invasori russi’. Non consentiremo ancora appelli credibili alla violenza contro i civili russi”, ha affermato un portavoce di Meta in una nota. Le richieste di morte dei leader saranno consentite a meno che non contengano altri obiettivi o abbiano due indicatori di credibilità, come l’ubicazione o il metodo, ha affermato.

«I social consentono ufficialmente l’incitamento all’odio contro i russi (d’altronde si considera putiniano anche Ciaikovskij morto nel 1893). Com’è che dopo ogni attentato anche solo un vago sentore di critica all’Islam e ai musulmani viene censurato, pena l’obbrobrio pubblico?» (Giulio Meotti).
«L’agenzia Reuters riporta che Meta Platforms (Facebook/Instagram) consentirà agli utenti di invocare la violenza contro russi e soldati russi; si stanno anche consentendo post che chiedono la morte del Presidente russo Vladimir Putin o del Presidente bielorusso Alexander Lukashenko. La stessa piattaforma mondiale monopolista che blocca post con articoli scientifici perché “violano gli standard della community”, consente espressioni che rappresentano reato anche secondo la legge ordinaria. Naturalmente lo avevamo capito da tempo, però credo che le implicazioni non ci siano ancora del tutto chiare: la “rete” è dominata da attori made in USA e le principali piattaforme monopolistiche sono oramai scese in campo politicamente con intenti di orientamento dell’opinione pubblica. Questo mentre il sistema dell’informazione è dominato da tempo da un circoscritto numero di grandi rappresentanti del capitale finanziario. Ora, bisogna ricordare che le regole d’ingaggio delle democrazie formali dicono che se l’opinione pubblica maggioritaria è favorevole a X, qualunque cosa sia X, anche la più abietta porcata, allora X è legittimo. Questa è la traduzione della “sovranità popolare” in un contesto in cui la volontà del popolo è costruita dai media e interpellata con rare elezioni e sondaggi tarocchi. Bisogna riconoscere che siamo entrati in una fase nuova della storia, una fase in cui mai come oggi il “governo delle anime” è centrale, e mai come oggi è possibile manipolarle in forme radicali. Credo che dovremo imparare tecniche di riflessione che consentano sempre più di prendere decisioni “al buio”, cioè decisioni che sospendono il giudizio nel modo più radicale su tutto ciò che appartiene all’informazione corrente, all’attualità, assumendo che sostanzialmente tutto quel che appartiene alla realtà in via di svolgimento è, mediamente, falsificato o distorto» (Andrea Zhok).

«Facebook consente di esprimere “messaggi di odio contro la Russia” ma al tempo stesso censura pagine filo russe. Critichiamo autoritarismi ma accettiamo censure illiberali, se esiste libertà di espressione vale sempre, si difende un principio a prescindere dalle idee» (Francesco Giubilei).
Segnali foschi di un futuro antidemocratico


YouTube ha cancellato “Ukraine on Fire” il documentario co-prodotto dal tre volte premio Oscar Oliver Stone che racconta il golpe di Euromaidan, quella che i nostri chiamano “rivoluzione colorata”. A renderlo noto è il regista, l’ucraino Igor Lopatonok. La ragione della rimozione da tutte le piattaforme di Google è la presenza di “contenuti violenti o espliciti”. Strano sia successo proprio adesso perché il film era online da sei anni. L’ennesimo fosco segnale di quale sia il nostro prossimo futuro in un mondo dell’informazione sempre più monopolizzato da miliardari e Big tech. Però mi raccomando il problema è la democrazia in Russia. Italia, anno 2022. Professori universitari obbligati a fare atto di fede per prendere parte ad un dibattito politico dopo aver subito pressioni e reprimende per l’espressione del libero pensiero» (Giorgio Bianchi Photojournalist).

«Innanzitutto devo dire che:
– Parlo a titolo personale
– Non rappresento nessuno
– Condanno l’invasione russa
– Sto con l’Ucraina
Credo che quando un professore universitario prima di parlare deve fare tutte queste premesse, allora non è un bel clima» (Alessandro Orsini).

Il collasso della civiltà e della cultura, ogni giorno, sotto i nostri occhi

«Assistiamo, ogni giorno, alla trasformazione di un’ampia parte di popolazione in orda guerrafondaia irrazionale, assetata di sangue, con la bava alla bocca, e non possiamo farci nulla. Rispetto a un fenomeno del genere, la possibilità di terza guerra mondiale non può essere stato, in sé, il fattore scatenante. Questo lo possiamo affermare con certezza facendo ricorso a quella facoltà intellettiva che gli uomini, gradualmente ma inesorabilmente, stanno dismettendo, ovvero la memoria. Nelle varie fasi della Guerra Fredda tra USA e URSS, la terza guerra mondiale è stata sfiorata più volte. Ebbene, in quelle circostanze non accadde mai che nell’occidente venisse impedito di esibirsi agli artisti russi. Nel 1968, mentre i carri armati sovietici irrompevano a Praga, il violoncellista russo Rostropovich si esibiva a Londra eseguendo brani del compositore céco Dvorak.  Oggi non solo vengono esclusi da teatri, musei e festival cinematografici tutti gli artisti russi viventi, ma la censura arriva a colpire – come visto con la vicenda dell’università La Bicocca riguardante Dostoeveskij – finanche l’arte e la cultura dei secoli passati. Il fatto che la propaganda militare condizioni l’informazione, era un problema anche allora, ma il giornalismo si sforzava di mantenere toni il più possibilmente sobri. Non sarebbe stata concepibile, a quei tempi, una situazione come Meta/Facebook che pochi giorni fa, in deroga alle sue stesse regole, concede il via libera, per i propri utenti, a espressioni di odio e incitazione alla violenza contro la Russia. Anche nei momenti di maggiore tensione come la crisi dei missili a Cuba o quella degli euromissili nei primi anni ’80, durante il conflitto USA-URSS nessuno, in Europa occidentale, si sarebbe sognato di censurare o vietare opinioni divergenti da quelle dei governi aderenti alla Nato. Oggi, invece, assistiamo a esponenti del mondo politico che, come Giorgia Meloni, propongono di perseguire penalmente chi sostiene le ragioni della Russia e osteggia quelle della Nato. E laddove non arriva la politica, arriva la fascia intermedia istituzionale: come nel caso del sociologo Alessandro Orsini, sospeso dall’università Luiss per avere espresso in televisione l’opinione secondo cui la responsabilità iniziale del conflitto in Ucraina ricade sui paesi Nato. Analoghe forme repressive sono state messe in atto contro sportivi, imprenditori e altro ancora perseguitando cittadini, quindi, su null’altro che la loro nazionalità. Ebbene, l’ultima volta che un paese nominalmente democratico ha represso sulla base della nazionalità è stato negli anni ’40, in occasione dei campi di internamento per giapponesi attivati dagli Stati Uniti dopo l’attacco a Pearl Harbor. Ma mentre quella scelta politica americana fu reputata storicamente dai più come una barbarie, oggi quei media e quell’opinione pubblica che inveiscono contro il “dittatore folle” della Russia, accettano senza fiatare che si torni a discriminare gli esseri umani sulla base della loro nazionalità. D’altro canto, durante l’emergenza pandemica, avevamo già visto l’odio sociale veicolato dall’apparato politico-mediatico contro i dissidenti politici. Avevamo letto decine e decine di persone “di sinistra”, sui loro profili social, invocare i campi di concentramento. Dinanzi a questa pandemia spirituale in cui vediamo dissolversi sotto i nostri occhi tutto ciò che avevamo definito “umanità”, come faremo a rimanere lucidi e analitici? Come faremo a mantenere accesa la luce dell’amore e della compassione, in mezzo a un’orda di mostri urlanti? Preghiamo di riuscire a trovare, dentro di noi, questa luce e questa forza. E tutto questo sapendo che la nostra ora più oscura deve ancora arrivare (Riccardo Paccosi).

Oltre la dialettica buoni-cattivi che ci impongono i Media

«Non ho tenerezza per la disinformatia russa però lo spettacolo della nostra stampa, cartacea e televisiva, è peggio del Minculpop. Una stampa con l’elmetto, in cui dalla mattina alla sera non si fa altro che blaterare, urlare, piangere, sentenziare, per creare una psicosi di massa. Sono rimasto stupito da cotanta prontezza, che fa pensare a ordini precisi, con cui la stampa si sia messa l’elmetto. Una cosa penosa» (Il filosofo Luciano Canfora su Il Riformista).

Russia: dittatura, bavaglio giornalisti – “rischio 15 anni di carcere nelle informazioni non allineate sulla guerra”.

Italia: democrazia, libertà – “rischio ergastolo per informazioni non allineate sulla guerra” (Art. 265 codice penale).

Ci siamo giocati anche Čajkovskij

La Cardiff Philharmonic Orchestra ha rimosso Čajkovskij dal programma del suo prossimo concerto “alla luce della recente invasione russa”. L’Ouverture di Čajkovskij del 1812 doveva essere inclusa nel prossimo concerto dell’orchestra dedicato interamente a Tchaikovsky alla St David’s Hall il 18 marzo, ma l’orchestra è stata considerata “inappropriata in questo momento”.

La Normale di Pisa sospende collaborazioni e scambi con università russe pro Putin

La Normale di Pisa “sospenderà ogni forma di collaborazione istituzionale e ogni accordo di scambio con le università russe i cui rettori hanno sottoscritto un documento in cui avallano l’invasione dell’Ucraina”. Lo ha detto il Direttore Luigi Ambrosio commentando il documento con il quale l’Unione russa dei rettori sostiene le azioni di Putin. Ogni forma di aggressione territoriale di un Paese nei confronti di un altro – osserva Ambrosio, in una nota – deve essere ripudiata e il fatto che accademici, certamente bene informati e che ricoprono posizione di vertice possano appoggiare scelte così scellerate ci lascia sgomenti. Tuttavia, oltre a fornire il nostro aiuto a studenti ed accademici ucraini, continueremo a sostenere la mobilità di accademici russi, da valutare caso per caso, sulla base di accordi individuali”. “Proprio in queste ore abbiamo deciso di invitare una collega russa – aggiunge -, con la quale nostri docenti hanno collaborazioni in atto, a trascorrere un periodo di studio da noi: è importante quindi tenere ben distinto il piano istituzionale da quello dei singoli individui, ricordando che molti accademici russi si sono espressi contro l’invasione ucraina, anche con grande rischio personale, prima dell’emanazione delle leggi più restrittive”. La posizione della Normale, conclude il direttore, “è del resto in linea con quella sostenuta in queste ore dall’European University Association, di cui facciamo parte”.

L’università si conferma la sede privilegiata dell’orrore discriminatorio (e del razzismo)

«Dopo la sua nota pole position tra tutte le istituzioni nazionali nell’ambito della discriminazione legata al green pass, la sede del “libero” pensiero conferma la propria supineria ancora una volta. Ormai una dozzina di atenei italiani hanno rescisso contratti con stimati studiosi di vari ambiti solo per il fatto che sono di nazionalità russa. Mentre viene da chiedersi, in questo nuovo vergognoso clima di intolleranza, come mai invece gli atleti russi che giocano in Champions League o nei vari campionati nazionali in squadre non russe  possano essere schierati in campo, non resta che prendere atto del servilismo senza ritegno di un’istituzione che, al contrario, dovrebbe precisamente invitare personalità scientifiche di nazionalità russa per mostrare come sia insensato cavalcare l’ormai consueto clima di guerra tra una categoria e un’altra di cittadini. In questo caso specifico, si deve parlare di razzismo» (Francesco Benozzo).

Russofobia e militarizzazione della cultura, cosa stiamo diventando?

«Tra gli effetti collaterali delle bombe che hanno colpito al cuore l’Europa c’è anche la militarizzazione della cultura. Abbiamo raccontato il caso di Paolo Nori, prima bandito dall’università milanese della Bicocca perché reo di voler parlare di un russo (tal Dostoevskij) poi riabilitato sull’onda delle polemiche (ma lo scrittore non ha accettato la retromarcia dell’ateneo). I casi si moltiplicano. Le frontiere tra l’impeto sanzionatorio della megalomania distruttiva di Vladimir Putin e la russofobia sono labili e si spostano ogni giorno. Si vuole colpire l’economia, si vuole giustamente strangolare il regime, ma poi non si ha la forza di rinunciare al gas russo e si rinuncia invece alla cultura russa. Ci sono bombe meno letali di quelle che uccidono gli ucraini e però da non sottovalutare. È la contraerea idiota che vuole colpire i caccia del regime e finisce per farci un deserto intorno. Quella che ci spinge a chiuderci a testuggine, a rinunciare a vedere con altri occhi – quelli degli scrittori, dei pittori, degli artisti – quella che non colpisce solo gli oligarchi e Gazprom ma sanziona il pensiero. Il più putiniano degli esiti, come lo ha definito Mattia Ferraresi.

Nori ha ricevuto molta solidarietà e molti inviti riparatori, dopo la censura tentata. Ma è diventato anche un centro di informazione per i mille casi di russofobia, non solo italiani. Come un artificiere del pensiero, prova a disinnescare, con la sola forza delle parole, le bombe a grappolo della stupidità, disseminate nella rete. Racconta della segnalazione di uno studente della Leiden University in Olanda, membro del comitato Russia ed Eurasia del corso triennale di International Studies: «Riccardo Silenzi mi avvisa che l’università ha chiesto di posticipare la prevista proiezione della Corazzata Potëmkin, capolavoro di Sergej Eizenštein, per evitare polemiche legate alla situazione in Ucraina. Tiziana Della Rocca segnala su Twitter che in Spagna è stata vietata la proiezione di Solaris, di Tarkovskij, e che in Lituania hanno vietato la proiezione di un documentario su Velimir Chlebnikov, che Dio lo benedica, il poeta russo che ha scritto Rifiuto, che fa così: “Per me è molto più piacevole / Guardare le stelle / Che firmare una condanna a morte. / Per me è molto più piacevole / Ascoltare la voce dei fiori, / Che sussurrano ‘è lui’ / Chinando la testolina, / Quando attraverso il giardino, / Che vedere gli scuri fucili della guardia / Uccidere quelli / Che vogliono uccidere me. / Ecco perché io non sarò mai, / E poi mai, un governante”». Oggi, la Filarmonica di Cardiff ha annunciato la cancellazione di un concerto di Tchaikovsky perché «inappropriato in questo momento».

Cosa vogliamo fare, esattamente? L’Occidente si deve difendere, non può scatenare la terza guerra mondiale perché non vuole, perché ha introiettato il valore della pace e del rispetto delle vite umane. In qualche modo deve reagire contro la forza bruta. L’isolamento del regime putiniano, con le sanzioni economiche, è stata la scelta prioritaria fatta dalle cancellerie occidentali. Ma c’è una scelta non dichiarata che è più pericolosa, è la tentazione di sentirsi migliori, non di Putin, ma dei russi, di un popolo, della sua storia, della sua cultura. La tentazione di sentirsi puri, di non volersi contaminare. Di espellere ogni possibile vettore di inquinamento, di bonificarsi dal pericolo della propaganda. Così si censura l’informazione russa (e la disinformazione insieme, come abbiamo raccontato in questa Rassegna), invece di decostruirla, di depotenziarla. Così si chiedono abiure singole ad artisti, scrittori, cantanti. Così si derussifica ossessivamente la nostra cultura, con la stessa ottusità, anche se meno sanguinaria, con la quale Putin vuole «denazificare» un’Ucraina che non è affatto nazista, se non in qualche propaggine estrema.

Giorgia Serughetti sul Domani evoca un saggio di Mary Douglas, «Purezza e pericolo», del 1970: «Nei sistemi simbolici di tutte le culture, sostiene l’antropologa britannica, le idee di separazione, purificazione, demarcazione e punizione delle trasgressioni svolgono come funzione principale quella di sistematizzare l’esperienza disordinata e difendere l’ordine sociale. Il rischio di “contaminazione” è particolarmente avvertito quando il pericolo preme sui confini, quando le linee interne del sistema sono trasgredite, o ancora nei casi di contraddizione morale, “quando certi postulati fondamentali vengono negati da altri postulati fondamentali, in modo tale che in certi punti il sistema sembra in conflitto con se stesso”. Le regole relative alla purezza, e la punizione della loro trasgressione, servono così a rafforzare la solidarietà quando una comunità viene attaccata dall’esterno o a riaffermare pubblicamente una struttura quando la coesione è minacciata dall’interno, o ancora a convalidare principi morali incerti». Serughetti fa un parallelo con la pandemia: non è che è stata la lotta al Covid ad averci privati della capacità di pensiero complesso, del dubbio? È possibile che «un’ansiosa ricerca di purezza — biologica, nel caso del pericolo virale, o morale, nella contrapposizione dei fronti in conflitto — porti all’avversione verso tutte le presunte fonti di contaminazione».
Nori, in un articolo bellissimo che ha scritto lunedì per il Foglio, cita un discorso letto ai laureati del Keyton College nel 2011 da Jonathan Franzen, che spiegava la sua furia animalista e i suoi viaggi dai «nemici»: «Ogni volta, quando incontravo i miei nemici, trovavo in loro qualcosa che mi piaceva, a volte addirittura che amavo. Membri gay dello staff repubblicano, divertenti, generosi e brillanti. Giovani cinesi amanti della natura e incredibilmente coraggiosi. Un legislatore italiano con lo sguardo dolce e la mania delle armi, che mi citò Peter Singer, il difensore dei diritti degli animali. In ciascun caso, era difficile continuare a provare quella generica avversione che avevo provato all’inizio. Quando vi chiudete nella vostra stanza ad alimentare la rabbia, lo sdegno o l’indifferenza, come ho fatto io per tanti anni, il mondo e i suoi problemi vi sembrano impossibili da affrontare. Ma quando uscite e vi impegnate in un rapporto reale con persone reali, o anche solo con animali reali, correte il rischio molto reale di finire di amarne qualcuno. E allora chissà che cosa potrebbe succedere».

Il rischio che corriamo è duplice. Di sbagliare nemico, confondendo la follia di un governante con un popolo intero, con la sua cultura, la sua storia. E di disumanizzare il nemico. Come dice Serughetti, «l’esito non può che essere dannoso se è vero che, come scrive Mary Douglas, “la purezza per cui tanto lottiamo e ci sacrifichiamo si rivela dura e morta come pietra, una volta che l’abbiamo raggiunta». Prima di raggiungerla potremmo ricordarci di quel che dice Nori e di quel che gli diceva la madre: «Mia mamma, quando ero un ragazzo, che facevo qualcosa di brutto, che la faceva star male, mi diceva “Paolo, ma cosa sei diventato?”. A me viene da chiedere: “Ragazzi, cosa stiamo diventando?”» (Alessandro Trocino, Editorialista – Rassegna Stampa Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera, 9 marzo 2022).

[10] Invece, noi non le dimentichiamo e ne parliamo. E non dimentichiamo neanche la guerra dell’Azerbajgian nella Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh e contro l’Armenia [QUI].

A proposito, ma quelli che sventolano la bandiera della pace oggi, che la Russia interviene in Ucraina, dove sono di fronte al massacro che i Sauditi stanno portando avanti da 7 anni nello Yemen? Sono 7 anni che i Sauditi uccidono bambini nello Yemen. Sono ad oggi 10.000 i bambini uccisi e coloro che sono sopravvissuti ai bombardamenti hanno delle mutilazioni permanenti. È l’Occidente liberale che si volta dall’altra parte quando i suoi amici ammazzano donne e bambini.

Postscriptum

1. Dedicato ai pacifisti intermittenti

«Noto che più siete qualunquisti e disinteressati all’approfondimento politico, su temi nazionali o internazionali – anzi, siete proprio infastiditi dalla “pesantezza” di certi argomenti, che turbano la vostra voglia di frivolezza – e più vi buttate mani e piedi nella propaganda tipica dell’attivismo corporate, lo slacktivism, il sempliciottismo alla Freeda e Fanpage (dove una tizia coi capelli blu ti spiega 40 anni di geopolitica in due minuti, parlandoti come fossi un poppante). In due secondi siete i nuovi soldatini del pensiero unico e del peggior conformismo occidentalista. Innocentemente e candidamente disinformati, per vostra stessa ammissione – “mah, io non me ne intendo, però i bambini…. ” – ma con il piglio deciso di chi improvvisamente la sa lunga e ha visto tutto il film dall’inizio. Milioni di minions che a malapena riescono a pronunciare i nomi di città che menzionano, ma pronti a denunciare a colpi di tweet e storie instagram violazioni dei diritti umani ed inspiegabili quanto immotivate stragi di civili ad opera dei russi, gassificazioni di bimbi siriani o vattelappesca… È meglio se continuate a condivide scarpe, canzoncine e memini, che fate meno danno. L’impegno sociale del qualunquista produce mostri. “They made you a moron, potential H bomb”» (Enrico Bezzi).

2. Regressione infantile e necessità di una nuova cultura: chi sono i cattivi?

«Chi conosce un po’ di storia sa che la guerra Franco-Prussiana scoppiò perché c’erano delle ragioni storiche. Solo per menzionarne alcune: l’unificazione tedesca, la paura della Francia di essere accerchiata dagli Hohenzollern, le ambizioni della Francia, la diffidenza dell’Inghilterra verso queste ambizioni, le aspirazioni della Russia rispetto alla Crimea.
Chi conosce gli eventi che portarono a quella guerra sa bene che vi fu un gioco (molto più complesso di quanto sia possibile dire qui). La Francia non poteva accettare che sul trono spagnolo sedesse Leopoldo: sarebbe stata accerchiata, sarebbe potuta essere attaccata su due lati. Bismarck voleva invece il conflitto, necessario per giungere all’unificazione tedesca, alla proclamazione del Reich. Ma Guglielmo era accomodante, dava rassicurazioni ma non formali (lo abbiamo visto anche di recente).
La guerra, per farla breve, scoppiò perché Bismarck falsificò un telegramma, che umiliava la Francia. Ma lo fece da quel grande statista che era: si assicurò che l’esercitò prussiano fosse pronto, della neutralità inglese e russa. Era una trappola, e la Francia vi cadde: avvio il conflitto.
Ci fu qualcuno che si dedicò all’analisi delle ragioni, del perché del conflitto, degli interessi, complessi, intrecciati, mai lineari. E ci furono coloro che si chiesero: CHI è L’AGGREDITO? CHI è L’AGGRESSORE?
È semplice, rassicurante. Non occorre pensare, studiare, decifrare. È semplice. Come tutto ciò che è infantile.
Diventare adulti significa sviluppare un pensiero della complessità, e la nostra cultura è regredita invece di maturare.
Eravamo stati educati all’idea che per evitare il peggio, per risolvere i problemi non servono discorsi moraleggianti: bisogna cogliere e rimuovere le cause dei conflitti.
Questo significava usare la ragione.
Negli ultimi trent’anni le cose sono cambiate. Si è sviluppata una cultura che consiste semplicemente nel dire chi ha torto e chi ha ragione. Nel 1870 si sarebbe stati a chiedersi chi era l’aggressore e chi era l’aggredito. E porre così il problema significa impedirsi di comprendere la storia, significa non essere adatti ad agire in essa.
Gli intellettuali di matrice “progressista” somigliano sempre più a quegli scolaretti che vogliono fare i primi della classe, quelli che scrivono alla lavagna chi sono i buoni e chi i cattivi.
C’è una santa alleanza a questo riguardo: ci sono quelli che leggono la storia con categorie morali, ci sono quelli che hanno un accesso speciale all’inconscio (come ogni sacerdote, autorizzato alla rivelazione e unici che possono poi comunicarla agli altri), ci sono anche quelli che “bisogna combattere contro gli ortodossi, e gli ortodossi sono scismatici (anche questo c’è).
Al discorso critico, all’analisi delle forze storiche, al tentativo di decifrare i veri moventi della storia si è sostituito il catechismo moralista.
Moralista, ma immorale. Perché morale è la ragione che porta alla luce le cause e mira a rimuoverle.
Il moralismo non mira a questo, mira solo a esacerbare i conflitti, a produrre fanatismo: c’è un aggressore, morte all’aggressore.
Non ci si chiede: come è potuto succedere? Quali cause la hanno generato? Quali cause bisogna rimuovere per avere la pace, e una pace vera?
Questa cultura ci porterà alla devastazione. È una cultura incapace di assumere il punto di vista dell’altro, di cogliere come funzionano le culture, e dunque una cultura totalitaria, che rende impossibile il dialogo.
Entriamo in un mondo multipolare, e per entrarci dobbiamo lasciarci alle spalle questa cultura infantile, arretrata, priva di cultura storica, autocentrata» (Vincenzo Costa).

[*] La sindrome del bambino onnipotente
Strutture di personalità adulte che hanno subito fissazioni nel normale sviluppo evolutivo. Dunque, adulti con caratteristiche disfunzionali quali: egoismo, superbia, prepotenza e mancata totale di empatia [QUI].

Segue la parte 11: QUI.

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