Putin pronto a tutto. L’attacco ai reattori è un’avviso alla NATO

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Sono guai. Ma a differenza che nella canzone di Vasco Rossi non saremo noi a inseguirli, ma ci cadranno in testa, e niente whisky al Roxy bar. Di che guai si tratti, la risposta sta nella mente di Putin e della cerchia ristretta dei suoi strateghi. Si chiama “guerra ibrida”.

Una specie di ircocervo, un perverso animale bellico che ha zampe dotate di armi convenzionali, occhi da pirati informatici (cyber-attack), propaganda, e una coda velenosa da sbattere addosso al nemico in caso di necessità: l’atomica, non una atomica tale da squassare il mondo, ma qualcosa di orrendamente tascabile, su misura di una piccola città (Dio non voglia) o più probabilmente da tirare a mo’ di segnale in qualche zona semi disabitata dell’Ucraina, magari ai confini della Polonia o della Romania, per grattare la pancia alla Nato. Ancora nelle scorse ore. Putin ha ripetuto l’accadere di “qualcosa di mai visto” contro chi volesse interferire nella sua guerra santa per riunire spiritualmente e politicamente la Russia, ingoiandosi l’Ucraina.

Escalation retorica o minaccia reale che sia, Putin di solito fa quel che dice e ci sono segnali pessimi. Emmanuel Macron, l’unico leader occidentale che ha la linea diretta con Putin, non pensa sia un bluff, e, commentando il suo ultimo colloquio con il capo del Cremlino, ha sentenziato: “Si va verso il peggio”. E il peggio che cos’è? È esattamente quello che in questi giorni pensiamo tutti, e ha che fare con la guerra mondiale, che per forza – secondo Sergei Lavrov, il Ministro degli esteri russo che passa per moderato – se dovesse scoppiare, sarà nucleare. Ripeteva quanto detto inopinatamente da Joe Biden (“O sanzioni o terza guerra mondiale”). Biden dimentica la dottrina della citata guerra ibrida.

Allerta

Putin non è il Dottor Stranamore, non è un matto che intende mettere la pistola alla tempia dell’umanità secondo i canoni della roulette russa. Non vuole giocare alla fine del mondo. L’“allerta nucleare” da lui innescata sabato non è programmata per fare tabula rasa dell’intera umanità, puff via l’Europa, puff via l’America; contro puff via la Russia e magari la Cina. Il problema è che Putin ritiene possibile una guerra nucleare tattica, controllabile, non apocalittica, ma in grado di garantirgli rispetto e libertà di manovra geopolitica: in Ucraina e altrove fosse necessario. Del resto è un campo in cui la Russia è dieci volte più forte di Usa e Nato: Putin ha 2000 atomiche tattiche mentre Biden e alleati ne hanno duecento. L’Occidente è immensamente più dotato di armi nucleari strategiche, di quelle che se ben piazzate fanno saltare per aria non solo la Terra ma pure Marte. Dunque in fondo inutili (si spera). Per di più Putin può contare sull’inarrivabile “missile balistico Kinzhal, che supera di dieci volte la velocità del suono, ipersonico, che è praticamente impossibile abbattere” (Giulio Sapelli, su Ilsusssidiario.net).

Il grande bluff di Putin sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Perché lo spauracchio del fallout atomico funziona più nella propaganda che nella realtà. C’è chi si chiede se per caso Vladimir Putin abbia perso il senno, rivelandosi disposto al fallout nucleare pur di vincere la guerra in Ucraina. Dopo le prime ansie suscitate dall’occupazione di Chernobyl – che rievoca in noi i ricordi dell’incidente nucleare avvenuto in epoca Sovietica -, è stata la volta del bombardamento della centrale nucleare di Zaporizhzhia. L’incendio divampato subito dopo non ha fatto altro che incrementare il panico tra gli osservatori internazionali. «La Russia vuole il terrore atomico», ha affermato il presidente Volodymyr Zelensky, il quale ha tutto l’interesse di cogliere l’onda emotiva di una situazione del genere. Forse però tutto questo fa parte di una strategia volta a fare terrorismo psicologico, una strategia a tutto vantaggio del Cremlino. Il fisico Enrico D’Urso spiega a Open il probabile bluff attuato da Mosca per disseminare il panico sull’occupazione delle centrali nucleari ucraine. Come è avvenuto esattamente il bombardamento? «C’è stato un bombardamento – continua D’Urso -, che ha provocato un incendio dentro il perimetro dell’impianto, ma ha riguardato unicamente un edificio secondario che è per l’addestramento del personale, non gli edifici principali dell’impianto (Juanne Pili – Open, 5 marzo 2022).

C’è un avvertimento che va in questo senso, e riguarda noi europei soprattutto. Perché deliberatamente l’Armata Rossa ha dato l’assalto alla più grande centrale nucleare d’Europa, ma solo per graffiarla? Le bombe sono piovute infatti su Zaporizhzhia, ma è come se avessero tracciato un disegnino, una specie di corona di fiori fiammeggianti intorno al reattore. Se avessero centrato il nucleo, altro che Chernobyl. Se fosse accaduto scriverei questo articolo da un bunker (ma accidenti dove sono in Lombardia quelli in cui rifugiarci?). Non è stato un errore di mira, ma un ultimatum. Era un modo per dire: l’uso bellico del nucleare – vuoi attraverso lo spargimento di radiazioni mortali nucleari, vuoi con missili a testata nucleare – non è più tabù. Dopo lo sdoganamento linguistico, diventa pensabile, dunque fattibile, quello in battaglia.

Pressione interna

Putin da settimane sta riempiendo la testa dei generali del Pentagono e della Nato di riflessioni preoccupate. A metà febbraio quattro Mig-31 con i missili Kinzhal sono stati segnalati e fotografati sul Baltico. Ancora: nei cieli dell’alleata Bielorussia Putin ha spedito in ricognizione bombardieri Tupolev TU22M3 Backfire. E che cos’è se non una sfida nucleare che si allarga dall’Ucraina a tutto lo scenario baltico.

La massima esperta di simili questioni si chiama Francesca Giovannini, di chiare origini italiane, ed è direttore esecutivo del Project on Managing the Atom presso il Belfer Center for Science della Harvard Kennedy School. Interrogata su El Pais International ritiene che l’opzione nucleare, sebbene tuttora improbabile, non possa essere esclusa. “Le circostanze sono molto complesse”, sostiene. “E Putin è sottoposto a un’enorme pressione interna”, afferma Giovannini. “Non è pazzo. Non credo che lancerebbe una bomba strategica.​ Ma mi preoccupa che possa prendere in considerazione l’opzione di una tattica. Per inviare il messaggio che è pronto a fare qualsiasi cosa per difendere gli interessi russi. Egli pensa che forse un attacco con una testata tattica in Ucraina non innescherà una reazione militare della Nato contro la Russia”.

Un azzardo tremendo. Se la Nato non replica, vuol dire campo libero per lo Zar Vlad. Se la Nato gli restituisce il colpo, che succede? Qualcuno ci avverta dove sta un bunker antiatomico, meglio se con grappa.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

Foto di copertina: un missile Kh-47M2 Kinzhal collocato sotto gli attacchi ventrali di un intercettore supersonico MiG-31K. Il Kh-47M2 Kinzhal è un missile balistico aviolanciato ipersonico di fabbricazione russa, sviluppato negli anni 2010 ed entrato in servizio sperimentale nel 2018 presso le forze aerospaziali russe. Pensato per neutralizzare obiettivi navali di importanza strategica quali portaerei ed incrociatori lanciamissili, è in grado di volare a velocità prossime a Mach 10 disegnando traiettorie manovrate dalle virate improvvise pensate per saturare le capacità di calcolo dei sistemi antimissile avversari, riducendo drasticamente le probabilità di intercettazione. Al 2020 l’unico vettore designato al trasporto del Kinzhal è l’intercettore supersonico MiG31K appositamente modificato per il ruolo aria-superficie.[3][4] Nel prossimo futuro, il missile potrebbe essere imbarcato sui bombardieri supersonici a lungo raggio Tu-160M2 di nuova produzione e sugli ammodernati Tu-22M3M, aumentandone così il raggio d’azione in modo esponenziale.

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