Oggi non serve stabilire chi ha torto e chi ha ragione. La guerra è una follia. Occorre un immediato cessate il fuoco. E così assurdo (voler) vivere in pace? Il Papa all’Ambasciata russa presso la Santa Sede

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Questa mattina Papa Francesco si è recato all’Ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede in via della Conciliazione per incontrare Alexander Avdeev, che tiene costantemente informato il Pontefice sul conflitto in Ucraina e si sta adoperando per preparare il secondo incontro tra Francesco e Sua Santità Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Si è trattenuto poco più di mezz’ora, secondo quanto confermato dal Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Dott. Matteo Bruni. Preoccupato per la guerra in Ucraina, Francesco auspica ancora il dialogo e continua a sperare nella possibilità di negoziare, ma una mediazione della Santa Sede tra le due parti ora pare impossibile.

La sede dell’Ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede, in via della Conciliazione 10 a Roma.

Scrive l’esperto diplomatico di ACI Stampa, Andrea Gagliarducci: «Si pensa anche che il Papa abbia voluto offrire la sua mediazione, e che dunque andrà anche in visita all’ambasciata ucraina presso la Santa Sede. Quest’ultima è guidata ora da un incaricato di affari. L’ambasciatore appena nominato, Andryi Yurash, non è ancora arrivato a Roma e non ha presentato le sue lettere credenziali, anche se ha dato diverse interviste in questi giorni, chiedendo sia la mediazione del Papa sia una visita del Papa in Ucraina» [QUI].

L’incontro tra Papa Francesco e il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin del 10 giugno 2015. Si sono stato altri due incontri: il primo avvenne il 25 novembre 2013 e il terzo il 1° luglio 2019.

All’Udienza generale di mercoledì scorso nell’Aula Paolo VI in Vaticano, Papa Francesco diceva di sentire un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione nell’Ucraina. Rivolgendosi a credenti (i cattolici, sia latini che orientali e gli ortodossi, spaccati tra Kiev e Mosca) e non credenti, si era appellato a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra. Ha ricordato che Dio è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici. Alla vigilia dello scoppio dell’offensiva russa, ha pregato – inutilmente – le parti coinvolte affinché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale. Ha ricordato che Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio. Così Papa Francesco ha invitato tutti a fare del prossimo 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri e inizio della Quaresima, una Giornata di digiuno per la pace; e ha incoraggiato in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera.

Oggi propongo, per aiutare nella riflessione sul titolo, due articoli dell’amico e collega Renato Farina su Libero Quotidiano. Il primo è stato pubblicato ieri, 24 febbraio ma scritto prima dell’invasione russa in Ucraina. Il secondo è stato pubblicato oggi, 25 febbraio e scritto la sera del primo giorno dell’inizio dell’offensivo russo in Ucraina, ancora in corso. Chiudo con la Preghiera di San Giovanni Paolo II per la pace, davanti alla sacra Icona in copertina, che rappresenta la Beata Vergine Maria di Ozeryanka, venerata sia dagli Ucraini sia dai Russi, Cattolici e Ortodossi. Regina della pace, prega per noi.

Prima. Nel prima articolo Allo sbaraglio – scritto alla vigilia dell’inizio dell’offensivo russo in terra ucraina – Farina osservava che non c’è più nessun accordo di Yalta a delimitare le pretese e a spartire il mondo in aree d’influenza tra blocchi. Dal 1945 in poi, gli Stati Uniti hanno perso sempre e ovunque, a volte con disonore come in Afghanistan. Dopo Eltsin, l’ex impero sovietico teneva alta la guardia verso la minaccia di Pechino, perché storicamente il pericolo veniva dai mongoli e dai tatari. Se il confronto militare proseguirà, Taiwan sembra destinata a finire nelle mani di Xi Jinping. Il vero punto da focalizzare è Pechino. Per quanto riguarda l’Ucraina, c’era poco da stare “serena”, con certi protettori… Vatti a fidare di Ue e USA. Ecco gli alleati dell’Ucraina: contro Putin schieriamo il fiacco Joe Biden, Ursula von der Leyen, Erdogan. È la loro debolezza intellettuale a essere oggi la più grande nemica della pace.

Dopo. Nel secondo articolo Orrore in diretta – scritto quando la guerra in Ucraina era dichiarata ed iniziata – Farina racconta dell’offensiva di Vladimir il terribile, quel figlio di Putin. Esplosioni al confine ucraino: l’offensiva russa è scattata con l’attacco all’alba di ieri su più direttrici, scardinando il sistema difensivo di Kiev. Chernobyl viene occupato. Il destino di Odessa. II Cremlino sostiene di aver già cancellato le difese aree di Kiev, a cui puntano. L’obiettivo è azzerare l’armata ucraina e rovesciare il governo di Zelensky, che implora la pace. Città ucraine assediate, bombe, missili, civili ucraini inginocchiati in preghiera e a migliaia in fuga. Mentre l’Occidente resta a guardare. Così abbiamo vissuto il ritorno di un conflitto maggiore sul suolo europeo.

Allo sbaraglio
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 24 febbraio 2022


Il cielo sopra l’Ucraina è nero, volano corvi. Oggi non serve capire chi ha torto e chi ha ragione. Ma fermare un conflitto latente che se non trovasse presto un altolà solido, anche senza fuochi di guerra (ahimè probabili), provocherebbe insicurezza, problemi economici enormi, e sconvolgimenti sociali non solo nel teatro immediatamente coinvolto dell’Europa orientale, ma in tutti i 27 Stati dell’Unione e soprattutto per l’Italia. Le sanzioni contro la Russia, che si annunciano abbastanza timide, sono in qualche modo un karakiri cui l’America ci costringe attraverso la Nato, che ha sostituito in pieno Brussel, totalmente imbelle.

Qualche timida colomba prova a consegnare messaggi di cauta distensione a Vladimir Putin. L’ultimo a provarci sul serio è stato Recep Tayyip Erdogan, che tra i membri della Nato è l’unico che abbia qualche carta da giocare molto concreta, essendo amico insieme della Russia e dell’Ucraina, avendo il secondo esercito dell’Alleanza Atlantica ed avendo le chiavi di entrata ed uscita dal Mar Nero. Vorrebbe essere lui a trattare l’accordo di una pace stabile. La Turchia non ha però la delega se non di sé stessa. Putin purtroppo non ha interlocutori che possano gareggiare con lui in leadership. Paradossalmente solo Papa Francesco, con cui ebbe una cordiale telefonata il 17 dicembre scorso, giorno del compleanno del Pontefice, e che – si noti – a differenza del segretario dell’Onu Gutierrez non ha espresso alcun giudizio di condanna riguardo alle mosse del Cremlino, ma ha solo ripetuto anche ieri che “la guerra è una follia”, ed ha proposto preghiera e digiuno il 2 marzo, Mercoledì delle ceneri, a tutti i cristiani e persino ai non credenti. Aveva in mente soprattutto gli ortodossi. Chiama ripetutamente a soccorso, chiamandola Regina della Pace, la Madonna. In qualche modo risponde a Putin che ha rivendicato l’ortodossia come collante dei popoli dell’antica Rus’; e certo né Francesco né Vladimir dimenticano il clamoroso precedente della icona della Madonna di Kazan che Stalin volle sorvolasse, durante la guerra con il nazismo le linee del fronte. Ma non è che la Madonna può farsi ricevere al Cremlino e tanto meno alla Casa Bianca.

Dall’altra parte, con chi si ritrova a fare i conti Putin: con quelli che Giovannino Guareschi chiamerebbe “mezze porzioni”, “spumarini pallidi”. È la debolezza intellettuale, la scarsa capacità di visione e di comprensione dei fattori in gioco, ad essere oggi la più grande nemica della pace. Joe Biden, Ursula von der Leyen, e quello che oggi è il vero capo di Brussel, il Segretario generale della Nato, l’ex Premier norvegese Jens Stoltenberg, che ha in mano il guinzaglio con cui tiene a bada, per conto degli Usa, gli alleati recalcitranti ma impotenti. Povera Ucraina, se spera qualcosa da questo trio, sta fresca.

Ci tocca rimpiangere la Guerra Fredda. Magari ci fosse. Lì si fronteggiavano due blocchi, dai confini definiti non dalla fragile carta di accordi evanescenti ma dalla cortina di ferro, che separava visioni del mondo incompatibili. La storia era bloccata. E con essa la geografia politica. Oggi la storia è tornata a muoversi come alla fine della seconda guerra mondiale, senza però alcun accordo di Yalta a delimitare pretese e a contenere i conflitti. C’era un altro fattore che contribuiva magari a far sibilare gelidi venti di minacce occulte, ma da una parte e dell’altra c’erano personalità con le palle quadre, si scusi il linguaggio da caserma, ma più caserma di così il mondo non lo era da parecchi anni. Chruščëv e Kennedy, Nixon e Breznev, infine Reagan e persino il disastroso Gorbaciov non erano fantocci di carta velina. Non c’era amicizia, ma stima tra forti.

Reagan e un Papa

Caduta, grazie a un Papa e a Reagan, e alla sua crisi interna l’Unione Sovietica, l’Occidente è stato troppo goloso, fino al rischio attuale di farsi scoppiare la pancia.

C’era stata la promessa di non allargare la Nato, di non umiliare quella che restava per storia, armi, materie prime, cultura assai più antica del comunismo, una superpotenza che andava rispettata per tale.
L’errore madornale è stato credere di ingannare chi è infinitamente più furbo di te, e conosce il gioco del risiko geopolitico.

Si leggano le ultime dichiarazioni di Joe Biden – che con precisione geometrica accentuano il rischio di guerra. La Russia chiede sicurezza? E io le faccio marameo. Sono sparate ma con il braccio corto. Paura di impegnarsi in una guerra, che gli americani dal 1945 in poi hanno sempre perso, a volte con disonore come in Afghanistan, ma desiderio inespresso che la Russia la faccia davvero, per vincere l’unica guerra che interessa alla Casa Bianca: quella della propaganda, quella di poter indicare al mondo un cattivo per eccellenza.

Ha detto Biden che “raddoppierà le truppe americane nei Paesi Baltici, ma garantendo per ora di non attaccare militarmente la Russia”, e all’Ucraina non ha promesso interventi diretti, ovvio, ma solo forniture di armi. Mantenendo però aperta la possibilità di includerla nella Nato come chiede ancora, con una sindrome suicida, il Presidente di Kiev Volodymyr Zelensky. Biden non dice di no. Business e propaganda, questo interessa all’America di Joe. Destinata, se Putin muoverà su Kiev, a trovarsi Taiwan in mano a Xi Jinping. Come Donald Trump ha crudamente ripetuto: “Putin è troppo intelligente rispetto a Biden”, il quale ha reagito con debolezza e dita tremanti, incoraggiando la Russia a prendersi quel che si è presa, e che oggi – grazie alla politica insieme provocatoria e malferma della Casa Bianca “è sorella gemella della Cina”.

Poteva andare diversamente questa storia? Ma certo. Noi ci ostiniamo a sperare non finisca nel sangue o nella moria da canna del gas che non c’è.

Riassunto di storia

Dopo l’età dei folli oligarchi ladri e corrotti emersi con la presidenza di Eltsin, venne il tempo di Putin. Ufficiale del Kgb di stanza in Germania, quindi – dimessosi da 007 – politico emergente a San Pietroburgo, infine capo della sicurezza della nuova Russia (la politica estera seria e il collante reale di un Paese immenso è nelle mani del capo dei servizi segreti), e subito dopo presidente della Federazione Russa. Da subito ha concentrato in sé il potere, con enorme consenso popolare, e nessun contrappeso tipico di una liberaldemocrazia, in questo sostenuto anche da un anticomunista come Solženicyn e dal Patriarcato di Mosca, che riteneva necessaria una fase di ricostruzione severa e senza le ambiguità dei diritti individuali occidentali e decadenti.

Cominciò una nuova fase. Dopo la debolezza molesta di Eltsin, la Russia riprendeva il proprio orgoglio di nazione. Nessuna volontà di contrapporsi all’Occidente, semmai un occhio guardingo – come racconta tutta la storia della Russia dove il pericolo veniva dai mongoli e dai tartari – alla Cina. Ecco dunque, grazie specialmente alla lungimiranza di Silvio Berlusconi, che a Pratica di Mare, nel maggio del 2002, divenne reale l’impossibile amicizia tra America e Russia addirittura in una riunione della Nato. La quale Nato che fu proposta e presa sul serio come possibile cornice di sicurezza persino da Mosca, con un Putin che teneva le mani di Bush jr.
Poteva andare molto diversamente. Il Fatto è che l’America non poteva sopportare la nascente amicizia culturale e geopolitica dell’Europa (e specialmente di Italia e Germania) con la Russia. Da qui la volontà realizzata di includere nella Nato paesi confinanti con la Russia, e costruire basi ad avanzata tecnologia puntati non certo a dar sicurezza a Mosca come promesso a parole e rinnegato nella pratica.

E così oggi i leader si sfidano mettendo alla prova i loro muscoli e la propria tenacia e duttilità mentale.

E qui sta il guaio. In che mani siamo?! Soprattutto su quali teste e su quali tempre da condottieri possiamo contare noi che siamo legati a doppio filo dalla nostra impotenza militare agli Usa e alla Nato?! Comunque vada, per gli europei e per gli italiani in particolare, sarà un insuccesso. Per gli ucraini peggio. Salvo un miracolo della Madonna.

Orrore in diretta
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 25 febbraio 2022


Ieri mattina, ci siamo svegliati presto, acceso la moka e la tivù, e abbiamo sentito il sibilo borbottante del caffè, ma infinitamente più stridente ci è entrato nelle midolla il rumore della guerra, mai così vicino alle nostre vite. Alle 4, nel buio della notte invernale di Mosca, ore sei in Italia, Vladimir Putin aveva annunciato l’inizio dell’«operazione speciale per proteggere chi è discriminato, e disarmare e denazificare l’Ucraina». Quando inizia un’azione sanguinaria si gira sempre intorno alle parole. Non bisogna dire guerra, non bisogna nominare quel liquido rosso che si raggruma orrendamente sulla pelle dei morti accartocciati dalle bombe. Insomma invasione. Eravamo fino a poche ore prime molto preoccupati per gli ucraini, per la povera gente a tiro di mitraglia russa. Lo eravamo sinceramente. Discutevamo persino di geopolitica, discettando sulle buone ragioni di Mosca a non essere accerchiata da postazioni missilistiche a cui si contrapponeva il sacrosanto diritto all’indipendenza e all’integrità dei confini da parte di Kiev. E la Nato, Biden, l’Europa: lì a guardare, certo stando dalla parte dell’Ucraina, candidata a far parte di Ue e di Patto Atlantico, ma in fondo rassegnati, o addirittura – ci pare proprio il caso dei tizi della Casa Bianca – speranzosi in una mossa guerresca di Putin, così da farlo credere vincitore del primo tempo della partita e poi isolarlo, rendendolo definitivamente nemico dell’Europa. Tutto vero, ma ci pareva teoria, e se doveva essere sangue, avremmo sparso lacrime ed espresso solidarietà a gente lontana.

L’Azerbajgian ha fatto la guerra dei 44 giorni con cui ha occupato gran parte della Repubblica di Artsakh con l’indispensabile aiuto militare da parte della Turchia, che oggi protesta contro la guerra della Russia in Ucraina. Se non fosse per la Russia che ha imposto il cessate il fuoco dopo 44 giorni di combattimenti, tutto l’Artsakh sarebbe in mano Azero (e con ogni probabilità gli Azeri sarebbero alla fine arrivati fino a Yerevan.
«Ci sarebbe bastato un centesimo dell’attenzione che oggi il mondo riserva alla crisi in Ucraina quando nel 2020 l’Azerbajgian bombardava le città dell’Artsakh e colpiva obiettivi anche in Armenia. Ma tutti si voltarono dall’altra parte… #Bastaguerre» (Iniziativa italiana per l’Artsakh @IArtsakh – Twitter, 24 febbraio 2022).

Il diritto all’autodeterminazione dei popoli è un diritto fondamentale e se assecondato risparmierebbe molte violenze.

Per l’Armenia e la Repubblica autonoma (e cristiana) di Artsakh/Nagorno-Karabakh aggredita e rapinata delle sue terre da Azerbajgian e Turchia nel settembre-ottobre del 2020 avevamo recitato proprio questo copione. A bloccare il cannibalismo di Baku e Ankara era dovuto intervenire la Russia di Putin, in nome di una difesa della memoria cristiana e del diritto internazionale. Mentre la Nato, Ue e Onu se ne fottevano allegramente.
Così ancora mercoledì sera, prendevamo sul serio gli espertoni televisivi di strategia globale, sostituti temporanei dei virologi. Sembra un secolo fa, pareva disegnassero scenari di guerre su Andromeda.

Ma ieri mattina – non diciamoci bugie per favore – il brivido ha percorso le nostre ossa temendo per noi stessi, la nostra famiglia, su che cosa aspetterà noi, proprio noi. Fin dove arriverà il conflitto armato, l’odore di bruciato. Lo sentiremo sotto le nostre finestre? Ci toccherà, come ieri mattina capitava agli abitanti di Kiev, di radunarsi nei sottopassaggi, chiudersi in cantina? Oppure ci saranno risparmiate le bombe, ma non il nodo scorsoio di chi crede di punire con dure sanzioni finanziarie il nemico, e in realtà resta impiccato lui: se la Russia chiude il gas all’Italia e ci nega il grano e altre materie prime di cui siamo privi, chi ce le dà, visto che la Nato ha regalato a Russia e Turchia pure la Libia?

Arte e schifo

Arrivano le immagini del fumo nero che sale da qualche edificio. Non è un bombardamento a tappeto, ma la gente piange. L’arte della guerra è elegante nei salotti, ma poi fa schifo, è una follia senza alcuna giustificazione, perché nessuno potrà mai teorizzare come ineluttabile lo strazio di un bambino. Il minestrone della geopolitica si è rovesciato ieri addosso al mondo, ed è una colata di sangue. Si limiterà a lambirci, o dovremo anche noi raccoglierne a secchi?

Ehi, stai facendo terrorismo, mi rimprovererà qualcuno. Figuriamoci se il conflitto ucraino, in un posto remoto che si chiama Donbass, come il soprannome nome di un prete dell’oratorio, dalle Porte dell’Asia si dirigerà verso Porta Vercellina o Porta Romana. Eppure avete in mente il Covid, esploso in un lurido mercato di Wuhan, e che ha subito preso il biglietto per Bergamo? Tutto in questo terzo millennio corre più veloce di Jacobs e piomba sul traguardo con la furia istantanea di Sofia Goggia. Angoscia, insicurezza, terra che manca sotto i piedi magari non subito, ma tra un mese, un anno, anzi domani mattina. Questo è il sentimento che ieri ha attraversato come un lampo le nostre coscienze di sonnambuli, improvvisamente ricordandoci chi siamo, la nostra fragilità personale, nazionale, continentale, occidentale.

Ragazzi, è bene che prendiamo nota: siamo nudi. Non abbiamo armature medievali né giubbotti anti-proiettili in questo mondo dove si stanno scontrando i continenti, e le potenze, come non accadeva dal 1945. Noi siamo vasi di coccio tra vasi di ferro, come capitò a don Abbondio che malvolentieri ma si mise a obbedire a don Rodrigo. Il nostro don Rodrigo oggi si chiama America, ed è stata a volte un buon amico, un alleato che rispettava i nostri interessi e la nostra cultura. Putin stavolta nel suo calco- lo di costi benefici ci ha deluso, la sua azione è folle e in fondo criminale. Ma esistono, eccome, responsabilità occidentali. In fondo con la Russia si è ripetuto l’errore fatale commesso punendo esageratamente la Germania per la sconfitta nella prima guerra mondiale.

E il tempo del buon senso contro l’irrazionalità della distruzione. Qualcuno dotato di una follia alla Erasmo da Rotterdam, dotata di disperata fantasia, per fermare l’incendio. Perché, visti i fallimenti dei massimi leader con la corona in testa, non incaricare di trattare con Putin. Onde evitare l’ecatombe, personaggi autorevoli e non ostili a Mosca? L’Italia insieme alla Germania potrebbe svolgere la funzione di migliore amico del nostro nemico. Se ci fossero un Andreotti e un Kohl sarebbero perfetti. Ma niente male sarebbero per questa missione da cavalieri templari Berlusconi e Merkel, oggi senza cariche nei governi, ma dotati di carisma e capaci di andare oltre la logica dei puri rapporti di forza.

Silvio e Angela

Intanto siamo ad oltre trecento attacchi. Aeroporti fuori uso. Gente inginocchiata per le strade a chiedere aiuto a un Dio i cui preti si taglierebbero la gola. Mentre Odessa sul Mar Nero, che fu città genovese ed ebraica, è obiettivo immediato e simbolico di Putin, che non dimentica che qui furono bruciati vivi nel 2014 cinquanta russofoni. Putin si prende il Mar Nero. Farà infuriare i turchi di Erdogan, che è della Nato, ma non è tanto ubbidiente, e tiene nelle sue basi qualche bel missile nucleare della Nato.

Ma certo che sentiamo lo stridio della guerra. Poveri Ucraini. Ma neanche noi c’è da stare allegri. Ci piacerebbe non averci nulla a che fare, abbiamo da prendere il tram, maneggiare scartoffie, compilare moduli sul computer a Casalpusterlengo o a Molfetta. Abbiamo da vivere.

E così assurdo vivere in pace?

Dio dei nostri Padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della vita, Padre di tutti.
Tu hai progetti di pace e non di afflizione, condanni le guerre e abbatti l’orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani, a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe in una sola famiglia.
In comunione con Maria, la Madre di Gesù, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza; minaccia per le Tue creature in cielo, in terra e in mare.
Ascolta il grido unanime dei Tuoi figli, ancora Ti supplichiamo: parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli, ferma la logica della ritorsione e della vendetta, suggerisci con il Tuo Spirito soluzioni nuove, gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa più fecondi delle affrettate scadenze della guerra.
Concedi al nostro tempo giorni di pace.
Mai più la guerra.
Amen.

Giovanni Paolo II

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