Carlo Molari e la dimensione cosmica di Cristo

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Sabato 19 febbraio è morto a 94 anni il teologo cesenate don Carlo Molari, già docente di teologia nelle università Lateranense, Gregoriana e Urbaniana e segretario dell’Associazione Teologica Italiana. Nel 1974 il libro ‘La fede e il suo linguaggio’, ispirato a Teilhard de Chardin, fu giudicato non conforme alla dottrina cattolica dalla Congregazione per la dottrina della fede e nel 1977 e gli venne chiesto di lasciare l’insegnamento.

L’ultimo libro, scritto nel 2020, è intitolato ‘Il cammino spirituale del cristiano’, prevalentemente tratto dalle centinaia di pagine trascritte, e riviste dall’autore, dalle registrazioni dei corsi tenuti a Camaldoli nel periodo 2012-2019, ogni anno su un tema specifico, e che sempre includono le considerazioni fondamentali e ricorrenti dei temi centrali del suo insegnamento: le dinamiche della vita spirituale e di fede e le relative motivazioni di carattere concettuale e teorico.

Lo scopo dell’insegnamento di don Molari è come vivere la vita spirituale: per i cristiani questo passa attraverso l’esperienza della fede in Dio secondo il modello tracciato dal Gesù della storia; per tutti gli uomini attraverso la consapevolezza della dipendenza da una forza più grande e la volontà di adeguare a essa la propria esistenza.

Il pensiero del teologo si colloca nella prospettiva evolutiva tracciata dal pensiero scientifico e da Theilard de Chardin, fatta propria dalla Chiesa nei suoi documenti ufficiali; la sua teologia si sviluppa all’interno di questa visione del mondo che getta una luce nuova sul vivere dell’uomo e sulla creazione:

“Lo sguardo fisso su Gesù ha caratterizzato l’esperienza dei primi cristiani, fin dagli inizi, in senso trinitario. Da subito, e lungo tutto il suo sviluppo, la vita spirituale cristiana si è dispiegata ad abbracciare tutto l’arco del tempo in quanto ambito dell’azione di Dio, che continuamente alimenta la storia delle creature con frammenti di perfezione che nel tempo vengono accolti”.

Fin dall’inizio del nuovo millennio don Molari ha sviluppato il ‘Vangelo della misericordia’: “Noi proiettiamo in Dio le nostre categorie, così come quando parliamo di ‘soddisfazione vicaria’. E, invece, Gesù non è morto perchè Dio lo voleva, ma ha mostrato nella sua carne fin dove arrivava l’amore, Gesù ha espresso amore: ‘Padre perdona loro perchè non sanno quello che fanno’.

Così pure la riconciliazione non va intesa come ‘fare il bene per ottenere il perdono’, ma Dio offre il perdono così che noi ci convertiamo; infatti Gesù è venuto per i peccatori, per la pecora perduta. Credere al perdono di Dio significa credere al processo di recupero e di cambiamento del passato”.

Allora credere significa avere fiducia: “Vuol dire assumere quell’atteggiamento di fiducia, quell’atteggiamento positivo nei confronti delle offerte di vita, che consentono di accogliere tutti i doni che ci vengono offerti, cioè di vivere pienamente la nostra esistenza: proprio di diventare noi stessi. Quindi la domanda è in ordine al nostro divenire. Allora è importante individuare quali sono le dinamiche di fondo attraverso le quali noi raggiungiamo la nostra identità, attraverso le quali noi diventiamo”.

Quindi credere in Gesù vuol dire che la sua vita è autentica: “Per prima cosa significa ritenere che l’esperienza che Gesù ha fatto, l’esperienza che Gesù ha vissuto, l’insegnamento che ha introdotto nella storia sono cose autentiche, cioè riflettono dinamiche reali di vita.

Quando ha detto di perdonare i fratelli, di amare i nemici, non ha indicato dei traguardi utopici, ha indicato una linea di comportamento, che non può essere realizzata subito in un istante, ma che conduce alla vita piena.

Per cui il ‘dare fiducia’ significa verificare che realmente, seguendo quelle indicazioni, si perviene a maturità, si perviene all’identità definitiva di vita, o si sviluppa quella dimensione spirituale che conduce poi ad attraversare la morte come viventi”.

Ed in ‘Note di Pastorale Giovanile’ scriveva nel 1993 un articolo sulla Chiesa come comunità della memoria: “La chiesa è la comunità cresciuta attorno alla esperienza di fede di Gesù Cristo, «iniziatore e consumatore della nostra fede», come dice la lettera agli Ebrei (Eb 12,2).

Egli ha vissuto la fede nel Padre in modo da suscitare una tradizione nuova di fedeli, come testimone di Dio. Considerare Gesù come un testimone di Dio significa fare propria la sua forma concreta di fede, assumere gli ideali di vita per cui egli è vissuto fino a morirne.

La fede cristiana quindi è prima di tutto memoria della fedeltà di Gesù, ricordo degli eventi attraverso i quali Gesù è stato costituito Messia e Signore per noi”.

Per don Molari Gesù è il Messia perché la Parola è salvifica: “La messianicità di Gesù, infatti, è proponibile solo se in realtà Gesù salva, se la fede in Lui guida a traguardi nuovi di vita. La serie ininterrotta di santi è garanzia della efficacia salvifica del Vangelo, lungo i secoli e presso tutti i popoli. Ma la memoria non è mai rivolta solo al passato.

Essa porta tensioni al futuro… I sacramenti sono appunto il richiamo del futuro del regno per delineare l’orizzonte e il traguardo dell’impegno quotidiano cui la memoria conduce nelle diverse occasioni dell’esistenza. Ogni sacramento traduce in simboli l’impegno di solidarietà, di amicizia, di condivisione per comunicare l’energia vitale necessaria al cammino storico.

Richiamarsi a Cristo è un modo concreto per esercitare la propria fede in Dio secondo modalità convalidate da una tradizione, che ha dato buona prova di sé nei santi”.

Nell’omelia funeraria il vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina, mons. Douglas Regattieri, ha usato espressioni dello stesso teologo per raccontare la sua fede in Dio e l’amore alla Chiesa:

“Ora don Carlo abita dove ama e dove ha amato per tutta la sua lunga vita sacerdotale. Abita in Dio: in quel Dio che tanto ha cercato di conoscere e di amare, in un appassionato e costante dialogo con la storia, consapevole che la Verità in azione nella nostra mente è più profonda delle nostre idee; ogni volta che amiamo, ci rendiamo conto che il Bene che ci attira supera quello che noi possiamo offrire.

Fare teologia – un giorno disse – non è un mestiere o un semplice servizio reso agli altri, ma è un modo concreto di vivere la fede ecclesiale, è uno stile di vita, e per me, oggi, è componente di identità personale, ragione di tutta la mia storia. E la ragione della sua vita oggi ha raggiunto il suo compimento”.

(Foto: Diocesi di Cesena-Sarsina)

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