Il vincitore della crisi esiste già: è la Cina. Mentre il mondo è distratto, il Dragone sta rafforzando la sua posizione in Africa e in diversi stati sudamericani

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La Cina è per antonomasia il Dragone. Il muoversi sinuoso, poi fuoco e fiamme. In questo momento storico l’immagine che più ci pare somigliante a questa super-potenza è però quella del gattone nei cartoons di Walt Disney. Xi Jinping si acquatta sornione e conquista territori, alleanze, mercati, prestigio mentre osserva i due topoloni Biden (+ i recalcitranti europei) e Putin sfidarsi e rincorrersi intorno al prezioso boccone ucraino.

Non banalizziamo la faccenda. Conquistare l’egemonia a Kiev-Odessa-Leopoli significa acquisire la supremazia politico, economica, militare dove si situa un’architrave portante su cui si reggerà l’ordine o il disordine del mondo: la porta tra Europa e Asia. Distraendosi però da quel che sta capitando in aree dove erano convinti di aver piantato definitivamente la loro bandiera.

Ad esempio? L’Africa per la Russia (e per l’Europa); ma soprattutto il dominio su quello che gli americani hanno sempre chiamato il loro cortile dove a nessuno hanno permesso l’ingresso senza permesso: i Caraibi e l’America Latina in generale, e soprattutto – sorpresa delle sorprese – l’Argentina, dove sta proprio esagerando in queste settimane il presidente​ Alberto Fernández. L’inquilino della Casa Rosada ha stabilito il 5 febbraio addirittura un’alleanza ideologica con l’omologo di Pechino, dicendogli in pubblico quasi fosse un’affiliazione: “Se tu fossi argentino, saresti un peronista”.

Comunicati tonanti

Non che la Cina guardi neutralmente la partita che si gioca in Ucraina. Sostiene con comunicati tonanti la Russia, ma Putin – che è un fuoriclasse sulla scacchiera geopolitica – sa che Xi Jinping non vede con favore una Russia in stato di guerra: le sue merci che raggiungono per ferrovia l’Europa passano attraverso l’immenso Paese che ha per capitale Mosca. Guai ai confini tra la Federazione russa e l’Unione Europea, sanzioni devastanti per la tenuta finanziaria ed economica della Federazione di Vladimir costringerebbero la Cina a rallentare la sua corsa, e a dipendere eccessivamente dalla Russia quanto ad approvvigionamento energetico. Senza dimenticare che Pechino ha investito grossi capitali e vanta formidabili interessi commerciali in Ucraina dove si è appena comprata anche la Borsa di Kiev.

Per questo, anche per il peso silente degli interessi cinesi, la soluzione dell’interrogativo: “guerra o non guerra?” sarà proprio il permanere del punto di domanda. Fa comodo a tutti, lo stallo, che è sempre meglio di un conflitto dagli sviluppi forse incontenibili. Per intanto la Russia ha fatto presente la sua forza, la capacità di condizionare gli europei riluttanti a dar sempre ragione agli Usa, pur legati da vincoli storici e trattati dalle clausole che non lasciano spazi di libertà. Amerebbe avere rapporti di cordiali scambi commerciali con Vladimir Putin, da cui dipende per il gas. Gli Americani hanno venduto tali e tante armi all’Ucraina e ai Paesi Baltici da poter far respirare la sua industria bellica anche senza conflitti in atto. (De resto dal 1945 in poi gli Stati Uniti non hanno vinto una sola guerra tra quelle che hanno intrapreso, a parte forse l’occupazione dell’isola della noce moscata, Grenada).

In Africa? La Russia ha sottratto alla Francia Mali e Burkina Faso: dove a operare ormai sono i guerriglieri della Wagner, come in Libia. Ma sono briciole. È il gattone cinese ad essersi impossessato del formaggio. L’Europa ha convocato a Bruxelles la scorsa settimana i leader dei 27 Paesi UE e oltre 50 capi di Stato e di Governo raggruppati nell’Unione Africana. Troppo poco e troppo tardi. Il neocolonialismo europeo molto politicamente corretto si scontra con i metodi brutalmente vincenti dei cinesi. L’investimento dell’Ue sarà di 20 miliardi di euro, dopo di che Bruxelles intende attrarre investimenti privati. E la Cina? Si è impegnata a versare 60 miliardi. Li versa sul serio, e in fretta. Corrompe, porta manodopera dai suoi Gulag, la nostra Eni trova giacimenti, ma deve muoversi con delicatezza ecologica e sotto lo schiaffo delle procure. La Cina si pappa tutto. Non è che regala. Presta denaro, ma i vincoli per la restituzione sono durissimi. E il Gattone diventa padrone di tutto. Come ha scritto il sito geopolitico svizzero Il Federalista: “Se il debitore non è grado di restituire l’investimento, fa scattare la trappola. L’esempio del porto di Hambantota nello Sri Lanka resta tuttora quello più emblematico: il poverissimo Paese insulare nel 2015 si è visto costretto a cedere l’infrastruttura allo stesso Paese che glielo aveva… regalato”.

Ma oggi la nuova preda è il cortile di Biden. Il Los Angeles Times del 17 febbraio ha fatto l’elenco dei paesi letteralmente conquistati dai cinesi, i quali non hanno nessuna intenzione di scalzare le dittature o di pretendere standard democratici.

Via della seta

Scrive il L.A.T.: “Dei 14 paesi del mondo che hanno ancora relazioni diplomatiche con Taiwan, la maggior parte sono in America Latina e nei Caraibi. La Cina ha già convinto Costa Rica, Nicaragua, Repubblica Dominicana e El Salvador a rinunciare al loro riconoscimento di Taiwan e a stringere legami con Pechino.

In cambio, ha offerto doni sontuosi, come la costruzione di nuove strade, porti e stadi, così come un’altra offerta, a volte più preziosa: la promessa di non intromettersi negli affari politici interni di un Paese”. Al punto di indurre alla sfacciataggine il tirannello del Salvador Nayib Bukele che dopo aver mandato al diavolo gli Usa si è definito su Twitter suscitando l’applauso dall’oltretomba di tutta una sfilza di golpisti: “Il dittatore più figo del mondo”.

Soprattutto è l’Argentina ad essersi letteralmente venduta, tango compreso, al Dragone. Fernández ha approfittato delle Olimpiadi di Pechino per ottenere un prestito monumentale, che impedirà un nuovo fallimento previsto per i prossimi mesi. In cambio? Semplice: l’adesione alla via della seta, il disconoscimento di Taiwan, in cambio della dichiarazione cinese che le Falklands non sono inglesi bensi si chiamano Malvinas e appartengono all’Argentina. Non basta: i cinesi hanno installato una centrale nucleare potentissima. E così diventa perfetta realtà una copertina di un po’ di tempo fa del principale settimanale argentino “Noticias” con Gonzales con in testa un copricapo da mandarino e il titolo “ArgenChinas”. Mentre i topoloni litigano…

Questo articolo è stato pubblicato oggi, 21 febbraio 2022 su Libero Quotidiano.

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