Catania accoglie mons. Renna con misericordia e amicizia sociale

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Da sabato scorso mons. Luigi Renna è il nuovo arcivescovo di Catania, succedendo a mons. Salvatore Gristina, nel segno dell’accoglienza: “Se per me oggi è il giorno dell’ingresso nella diocesi, per voi è il giorno dell’accoglienza del nuovo vescovo e vi chiedo di avere nei miei confronti quei sentimenti gentili e ospitali di chi apre le sue porte a chi viene nel nome del Signore Gesù per servire come Egli ha insegnato a fare”.

Nell’omelia  ha applicato la Lettera a Diogneto alla sua missione pastorale: “Vengo a Catania da pellegrino e mi sento già cittadino; da oggi sono catanese come voi. Ma rimarrò in qualche modo sempre straniero. Se uno è cristiano, considera ogni angolo della terra la sua patria, ed ogni uomo o donna che incontra in essa, compagno nel cammino: non esistono luoghi estranei per i figli di Dio!

Ogni patria però è straniera perché è sempre piccola cosa rispetto al Regno di Dio. Per questo motivo per noi credenti non dovrebbero esistere il campanilismo, la discriminazione, il disprezzo per le altre culture, perché siamo cittadini del Regno di Dio, ospitali verso ogni uomo ed ogni donna che abita la Terra”.

Ed ha raccontato la sua terra: “Vengo come pellegrino dalla Puglia, la terra dove sono nato, divenuto cristiano, presbitero e vescovo; laddove molti hanno lasciato la loro impronta di affetto e di cura nella mia esistenza. Vengo da Minervino Murge, il mio paese natale, adagiato sulle colline pietrose della Murgia, dove i miei genitori e la mia famiglia mi hanno donato la vita, l’amore che rende sicuri nell’affrontare il futuro, e amici d’infanzia, laici e presbiteri (persino un siciliano indimenticabile direttore didattico) mi hanno dato tutto ciò che segna in maniera indelebile l’esistenza di un uomo”.

Ha ricordato che già Catania aveva avuto un altro vescovo pugliese: “Vengo da Andria, città della mia prima formazione al presbiterato e del mio ministero per circa vent’anni: quella andriese è una Chiesa di grande tradizione di fede, che ha già dato un pastore a Catania, mons. Felice Regano, e che mi ha insegnato a crescere nell’attenzione ai segni dei tempi e nella cura di tutti gli ambiti della vita pastorale…

Vengo da Molfetta, con il suo Seminario Regionale e la Facoltà Teologica, che mi hanno fatto respirare la preziosità della formazione nella vita dei presbiteri e, attraverso di essi, di tutto il popolo di Dio.

Vengo infine da Cerignola-Ascoli Satriano, la Diocesi che continuo ad amare perché in essa ho imparato a servire la Chiesa da pastore… Ognuno di questi luoghi è nella mia memoria popolato di volti sui quali invocherò sempre la benedizione dell’Altissimo”.

Ed è arrivato soprattutto da ‘fratello’: “La Parola di Dio, nel Nuovo Testamento, ci insegna uno stile nuovo per definire le relazioni umane, quello della fraternità… Come vedete, è il Vangelo di Gesù Cristo che esige che io venga a voi come fratello e, con voi, consideri tali tutti gli uomini.

Noi cristiani possiamo comprendere meglio la fraternità alla scuola di Gesù Cristo quando riascoltiamo la parabola del Buon Samaritano l’esempio di uno straniero che si fa prossimo, perché è capace di provare compassione, di prendersi cura, di impiegare il suo tempo e le sue risorse economiche per un uomo abbandonato”.

La fraternità è lo stile di vita del cristiano, da cui nasce la bellezza, come testimonia la patrona Agata: “La misericordia spezza ogni catena di violenza ed è ciò che cambia davvero il mondo e le società inclini alla violenza. Questa virtù ha reso e renderà sempre più questa nostra Sicilia terra di testimonianza cristiana, come ai tempi di Agata.

Qui, su questa nostra isola, sono state pronunciate parole di perdono da tanti che hanno perso una persona cara per mano violenta: voglio ricordare solo che quando un mio coetaneo, di solo un anno più grande di me, fu ucciso dalla mafia mentre svolgeva il suo compito di agente di scorta del giudice Falcone, sua moglie, ai funerali, disse parole sofferte, ma di perdono.

Io credo che ogni volta che parole di misericordia raggiungono il cuore di chi ha sbagliato, o sorrisi carichi di mitezza come quello di don Pino Puglisi di fronte al suo carnefice, si rinnova il miracolo della testimonianza dei martiri, e il seme di una nuova umanità viene gettato nei solchi della nostra bella terra”.

L’omelia è conclusa da un richiamo al cammino sinodale: “Sono vescovo per voi e cristiano con voi in un tempo magnifico, quello del cammino sinodale, che sarà una nuova primavera conciliare, se lo vivremo appieno. Continueremo a viverlo nella conversione dell’ascolto reciproco, nel narrarci come sentiamo la nostra appartenenza ecclesiale e la nostra missione, come vediamo il nostro futuro di Chiesa. Non può essere un percorso facoltativo o della durata di qualche mese!”

La sinodalità è lo stile della Chiesa: “No, è stile di Chiesa che riforma se stessa alla luce del Vangelo! Nella sinodalità i laici sono chiamati a riscoprire la loro corresponsabilità e la loro missione nel mondo; i presbiteri il loro ministero che diventa autorevole nella misura in cui sa ascoltare il popolo di Dio e promuove la vocazione di ciascuno; i religiosi e le religiose quello che regole antichissime, come quella benedettina, e costituzioni più recenti, testimoniano fraternità, apertura allo Spirito nel discernimento, volontà casta, povera ed obbediente di non perpetuare potere nelle mani di pochi”.

(Foto: diocesi di Catania)

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