Al Convegno di Azione Cattolica Italiana la cura è essenziale

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Il 42^ convegno che l’Azione Cattolica Italiana ha dedicato nel ricordo a Vittorio Bachelet nel giorno dell’omicidio avvenuto nel 1980 ad opera delle Brigate Rosse, ha avuto protagoniste le donne, ‘La loro responsabilità nella Chiesa e nella storia del Paese’ nel segno di Armida Barelli, che sarà beatificata sabato 30 aprile.

Armida Barelli è stata fondatrice della Gioventù femminile di Azione cattolica e dell’Opera della Regalità, promotrice della nascita dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, figura fondamentale del laicato cattolico in Italia tra XIX e XX secolo, ed è testimone di una santità vissuta nel quotidiano, esempio per tante donne e precorritrice di una presenza attiva dei laici nella vita della Chiesa, come ha detto Emanuela Gitto, vice presidente nazionale per il settore Giovani di Ac, introducendo i lavori:

“Abbiamo bisogno di riprendere la militanza. In questo senso, viviamo un grande divario tra Unione Europea e Italia: mentre tutte le principali istituzioni europee sono guidate da donne, in Italia non riusciamo a ‘normalizzare’ l’impegno delle donne in politica a tal punto. Cosa manca?

Negli ultimi anni l’attenzione all’inclusione e alla partecipazione delle donne ha visto accrescere una rinnovata sensibilità mediatica. Eppure, se facciamo un focus sulle realtà più vicine e circoscritte, è un’altra la realtà a cui assistiamo: pensiamo ai casi di violenza domestica consumati nel periodo della pandemia, le molestie, i femminicidi, al fenomeno della tratta”.

Salutando i convegnisti il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione Cattolica italiana, ha sottolineato il valore della cura: “Ricominciare dalla cura significa re-immaginare la visione di bene comune in termini più inclusivi e generativi, riscoprire l’umano a partire dalla necessaria condivisione delle fragilità e da una diversa visione del potere e delle sue gerarchie. Un percorso esigente ma irrinunciabile che deve farsi strada anche nel cammino sinodale intrapreso dalla comunità cristiana”.

Il prof. Ernesto Preziosi, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e divulgatore della storia del movimento cattolico in Italia, ha parlato di una donna rivoluzionaria:

“Una vera e propria ‘rivoluzione’, che vede le donne come protagoniste lungo i decenni centrali del ‘900 assurgere alla ribalta con una considerazione inedita nella Chiesa e nella società. Di questo più complessivo e generale movimento, Armida Barelli è stata artefice e animatrice con un apporto originale, capace di operare una evoluzione nella fedeltà, che ha coinvolto centinaia di migliaia di giovani donne”.

Per il docente la sua eredità è preziosa ancora oggi: “Molti sono gli apporti e le eredità che lascia all’Azione Cattolica e con essa alla Chiesa e al mondo femminile. La sua biografia attraversa, al di là di ogni consapevole visione intellettuale, la modernità”.

Numerosi anche gli effetti prodotti dall’eredità della venerabile: “Lo sviluppo dell’organizzazione, la centralità della persona, l’emancipazione ecclesiale, culturale e sociale della donna, la capacità di relazione con le altre vocazioni nonché la ‘semina’ etica”.

Mentre la prof.ssa Cecilia Dau Novelli, docente dell’Università di Cagliari, ha offerto un completo excursus lungo un secolo delle organizzazioni femminili, non solo cattoliche, che nei primi anni del ‘900 sono state considerate ‘presenza attiva della donna nella società’:

“L’obiettivo del movimento cattolico era raggiungere mutamenti di mentalità per un progressivo allargamento delle conoscenze della donna; era quindi la crescita dell’intelletto femminile, voleva influire sulla sua mentalità e non, come il femminismo, sulla sua natura e i suoi compiti”.

Specie l’organizzazione cattolica femminile ebbe un ruolo fondamentale, secondo la docente, nel distruggere sistematicamente tutto ciò che il fascismo stava cercando di costruire: “Il fascismo si trovò a dover contrastare un’organizzazione già abbastanza efficiente”.

I primi anni della Repubblica, sono poi contraddistinti dalla nascita di numerosi gruppi cattolici votati all’impegno femminile in politica: “Sul finire degli anni Cinquanta emerse in maniera dirompente il problema delle lavoratrici, ancora sottopagate e discriminate nonostante il dettato costituzionale. Anni di lavoro e di sacrifici non erano stati sufficienti ad equipararle agli uomini”.

La prof.ssa Luigina Mortari, docente di pedagogia dell’Università di Verona, ha sottolineato il valore della cura, specialmente in questo periodo pandemico: “L’azione di cura è importantissima, se noi continuiamo a non parlare del lavoro di cura, questo sarà sempre di più emarginato… Abbiamo visto come nella pandemia la cura avesse bisogno delle parole.

Sto raccogliendo i racconti degli infermieri impegnati nelle prime fasi che lasciano la pelle d’oca. Dicono: ‘la cosa che più mi ha colpito è il fatto di aver visto morire persone che non potevano essere calmate dalle parole dei loro cari e morivano in solitudine’. Hanno ancora gli incubi, non sono riusciti a dare la cura necessaria all’anima poiché non avevano tempo”.

Però la cura del corpo deve essere corroborata dalla cura dell’anima: “Nel Vangelo Gesù ricorda che un’eccessiva cura del corpo può far dimenticare la cura dell’anima mentre il bene sta nella giusta misura. Quando si ha cura di qualcuno bisogna trovare quindi la giusta misura rispetto ai bisogni dell’altro…

Al contrario di quanto sostengono alcuni teorici, la cura è politica. La buona politica è cura e diventa etica perché è etica delle virtù. Da parte di chi riceve cura, la virtù da agire è la gratitudine. La parola che ringrazia mette in evidenza l’atto politico. Rendere grazie a chi fa il lavoro di cura perché ispirato alla ricerca del buono nel lavoro di tutti i giorni”.

I lavori sono stati conclusi da Rosy Bindi, che ha ribadito che cura è buona politica: “Prendersi cura è fare buona politica. E prendersi cura soprattutto delle moltitudini”.

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

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