Giornata del malato: non dimenticare la ‘singolarità’ del malato

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Venerdì 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, si è celebrata nella basilica di san Pietro la XXX Giornata del malato con una celebrazione eucaristica celebrata dal card. Peter Turkson, Prefetto emerito del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale:

“L’occasione della apparizione alla giovane Benedetta a Lourdes ci invita anche questo anno a riflettere sul grande dono che Dio ha fatto all’umanità in Maria, concepita e nata immacolata.

La sua apparizione alla giovane Benedetta nel comune francese di Lourdes non ha fatto solo di Benedetta un profeta che richiama alla conversione, ma quell’apparizione ha donato pure all’intera umanità delle acque sanatrici come segno della misericordia di Dio che accompagna l’umanità sofferente nel cammino della vita. Siete misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”.

Questa la Giornata mondiale si doveva svolgere in Perù, ma a causa del coronavirus è stata rimandata nel 2025 nel santuario mariano della Vergine del Chapi, con l’invito a lasciarsi guidare dalla misericordia: “Lasciarci guidare dalla logica della misericordia di Dio significa ritornare al cuore della scelta cristiana, cioè il mistero della fede cristiana. Partire dalla misericordia è contrastare la propria misericordia e necessità.

Lui ci consola in ogni nostra consolazione perchè possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione. Come una Madre consola un Figlio così io vi consolerò, il profeta Isaia ci ha tratteggiato i lineamenti compassionevoli della paternità e maternità di Dio.

Egli interviene per consolare. La consolazione è quindi quel mistero tenerissimo, servizio reso alle persone il cui consolatore offre il dono della propria presenza”.

Il prefetto del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale ha rivolto un pensiero agli operatori sociali: “Ciò che Dio fa per gli altri, può fare per noi, per i nostri ammalati e per quanti invocano il suo nome. Negli ospedali uomini e donne dedicano la propria vita per curare gli anziani, disabili, malati e cosi via.

Sono opere preziose mediante le quali la carità cristiana ha preso forma e l’amore di Cristo è diventato più credibile. In questi luoghi la misericordia acquista un significato. Fra questi operatori sanitari penso ai medici, agli infermieri, ai tecnici, all’assistenza, come pure ai numerosi volontari che dedicano tempo prezioso a chi soffre.

Cari operatori sanitari il vostro servizio accanto ai malati trascende i limiti della professione per diventare una missione. Le vostre mani che toccano la carne sofferente di Cristo possano essere segno della misericordia del Padre. Siate consapevoli della vostra professione. La misericordia consolatrice diviene un balsamo di vita”.

Nel video messaggio papa Francesco ha sottolineato che non si deve dimenticare la ‘singolarità’ del malato: “E’ la persona nella sua integralità che necessita di cura: il corpo, la mente, gli affetti, la libertà e la volontà, la vita spirituale…

La cura non si può sezionare; perché non si può sezionare l’essere umano. Potremmo salvare il corpo e perdere l’umanità. I santi che si sono presi carico dei malati hanno sempre seguito l’insegnamento del Maestro: curare le ferite del corpo e dell’anima; pregare e agire per la guarigione fisica e spirituale insieme”.

Occorre uno sguardo nuovo: “Individualismo e indifferenza all’altro sono forme di egoismo che risultano purtroppo amplificate nella società del benessere consumistico e del liberismo economico; e le conseguenti disuguaglianze si riscontrano anche nel campo sanitario, dove alcuni godono delle cosiddette ‘eccellenze’ e molti altri stentano ad accedere alle cure di base.

Per sanare questo ‘virus’ sociale, l’antidoto è la cultura della fraternità, fondata sulla coscienza che siamo tutti uguali come persone umane, tutti uguali, figli di un unico Padre. Su questa base si potranno avere cure efficaci e per tutti. Ma se non siamo convinti che siamo tutti uguali, la cosa non andrà bene”.

Ma non ha dimenticato la festa della Madonna di Lourdes con la richiesta di essere comunità: “Essere comunità che va incontro a tutti, uscire per incontrare gli altri, ma anche uscire per lasciarsi incontrare, perché l’incontro è reciproco, l’incontro non è un’elemosina, è mettersi in gioco per un’idea, è camminare insieme, rifuggire dallo stare soli e dall’isolamento per stare insieme agli altri, con gli amici, con la famiglia, con il Popolo di Dio, tutti insieme in preghiera davanti alla Vergine. Per questo chiediamo alla Vergine di aiutarci a essere comunità. Madre, aiutaci a essere comunità! Affinché andiamo incontro come comunità”.

E da Cascia suor Maria Rosa Bernardinis, priora del Monastero Santa Rita da Cascia e presidente della Fondazione Santa Rita da Cascia onlus, attraverso la quale dallo scorso Natale le monache hanno lanciato una raccolta fondi con l’obiettivo di raggiungere € 130.000, per iniziare i lavori e aprire la Casa di Santa Rita, un appartamento nell’ala nord al 2° piano dell’Ospedale di Cascia, ha ribadito l’impegno a portare a termine l’obiettivo:

“Quando una persona si ammala la vita della sua famiglia e di tutti coloro che le sono intorno, viene devastata, inesorabilmente. Tanti, ce lo raccontano ogni giorno. Come Gina dalla Sicilia che, dopo anni di sacrifici, vive col rimpianto di non aver avuto le possibilità di far curare sua figlia Maria, affetta da una malattia genetica, in un centro all’avanguardia.

Oggi partirebbe subito per la riabilitazione di Cascia, che vede come un’opportunità di migliorare la vita di sua figlia, con la sicurezza di avere una casa sicura e accogliente ad attendere anche lei”.

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