Azerbaigian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale

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Negli ultimi giorni alcuni siti italiani hanno pubblicato degli articoli che rivendicano un legame organico tra l’antica civiltà dell’Albania del Caucaso (da non confondere con l’Albania nei Balcani) e gli azerbaigiani moderni, un popolo musulmano turcofono. Provare un tale legame è un compito arduo perché il Regno dell’Albania del Caucaso, il cui nucleo era situato nelle pianure dell’Azerbaigian odierno, fu abolito dai persiani intorno al 510 d.C. Dopo l’islamizzazione dell’Albania del Caucaso, avvenuta ad opera degli arabi già prima della fine del secolo VIII, la lingua albanese – la principale portatrice della sua cultura cristiana – gradualmente svanì, mentre l’armeno divenne la lingua dominante delle popolazioni cristiane che restavano ancora sul territorio dell’antico regno. L’esigua popolazione udi dell’Azerbaigian, la cui lingua parlata rappresenta una parente, o addirittura una discendente diretta, dell’albanese del Caucaso, è stata per secoli affiliata alla chiesa armena. È proprio a causa dei legami stretti con gli armeni che una gran parte degli udi fu costretta ad abbandonare la terra natia dell’Azerbaigian all’inizio degli anni 1990.

La Storia dell’Albania del Caucaso attribuita a Mosè di Kałankatoyk̔, un’opera composita scritta in armeno tra i secc. VIII e X rappresenta la fonte principale sull’Albania cristiana. Gli articoli pubblicati nei giorni scorsi evitano ogni menzione della lingua in cui questa opera fu scritta proprio per sostenere la tesi dell’estraneità degli armeni alla storia dell’Azerbaigian e a quella dell’Artsakh (Nagornyj Karabagh), una regione storica armena situata sui monti che sovrastano le pianure dell’Albania del Caucaso.

Antichi Paesi della Transcaucasia.

Eppure, la Storia dell’Albania del Caucaso non è soltanto redatta in armeno ma rivela anche riferimenti culturali armeni. Per esempio, essa annovera ripetutamente l’Artsakh tra le «Regioni Orientali», perché al centro della mappa mentale dei suoi autori non si trovano le pianure adiacenti alla costa caspica (dove si trovava una volta il regno svanito dell’Albania) ma si trova la valle dell’Ararat situata a occidente – il cuore dell’Armenia.

All’inizio del secolo X, il Katholikos armeno Giovanni di Drasxanakert, che aveva visitato l’Albania del Caucaso, attesta che i suoi contemporanei prìncipi albanesi si riconoscevano come appartenenti allo stesso popolo (žołowurd) degli armeni.

Quando, all’inizio del secolo XI, le tribù turche iniziarono a penetrare nelle pianure caspiche, l’albanese del Caucaso non era più praticato in quanto lingua scritta. Nessuna testimonianza storica ci suggerisce che la cultura dell’antica Albania del Caucaso abbia esercitato un influsso diretto sulle popolazioni turcofone, mentre i prestiti armeni nel kurdo successivamente parlato sul suo territorio, nonché nell’azerbaigiano – parole relative all’agricoltura, all’allevamento di animali, allo scambio monetario, all’artigianato e alla religione – riflettono il ruolo degli armeni nella sedentarizzazione di queste popolazioni nomade. Altri influssi armeni sono riscontrabili in varie sfere di attività culturale sul territorio dell’Azerbaigian, per esempio nelle forme architettoniche o nei disegni ornamentali sui tappeti.

Ogni resoconto storico della terra conosciuta oggi come Azerbaigian (un nome che prima della Rivoluzione russa del 1917 era attribuito esclusivamente alla provincia persiana a sud del fiume Arasse, sul territorio dell’Iran) presuppone, quindi, un esame dei legami e della trasmissione culturale tra l’Albania del Caucaso e gli armeni delle regioni caspiche da una parte e tra gli armeni e gli azerbaigiani dall’altra.

La dottrina storiografica ufficiale dell’Azerbaigian rinnega radicalmente l’esistenza di tali legami, ed è questa negazione che fornisce ai dirigenti azerbaigiani una base ideologica per la loro opera di distruzione del patrimonio monumentale e artistico armeno in Azerbaigian, nella regione di Nakhichevan e nel Nagornyj Karabagh, epurati dalla popolazione armena, nonché per le ambizioni espansionistiche dell’Azerbaigian sul territorio della Repubblica dell’Armenia.

Per apprezzare la fallacia del mito di un passato «albanese» degli azerbaigiani possiamo rivolgerci ad un raro documento che ci permette di sentire la voce del popolo udi stesso: è una petizione, redatta in armeno, che nel 1724 gli udi indirizzarono allo zar russo Pietro il Grande. Essa fa luce sulla natura dei rapporti che gli udi intrattenevano sia con le popolazioni turche dell’ex Albania del Caucaso sia con gli armeni prima che i russi iniziassero a penetrare nel Caucaso:

Con suppliche e implorazioni, portiamo alla conoscenza della sua Maestà tutti i crimini ivi commessi e lo stato in cui giace questo paese. Ecco, cosa i senza legge e gli infedeli hanno per così tanti anni portato sulle nostre teste: primo, essi hanno bruciato le chiese e ci hanno causato tanto male agendo contro la nostra fede; hanno indotto preti in apostasia, uccidendone diversi; hanno portato in prigionia donne con loro figli e figli con loro madri; monasteri ed eremitaggi, resi deserti, rimangono tali fino ad oggi, mentre noi, i sopravvissuti, giacciamo in mezzo alle sofferenze, né vivi né morti. Siamo albanesi, e udi per quanto riguarda la nostra stirpe. […] Segretamente osserviamo la nostra religione, ma apertamente i senza legge ci forzano con la spada, vecchi come giovani, a diventare turchi. Per paura non osiamo a scriverti tutto […] Non siamo che pochi superstiti rimasti in questa terra […] Che il Re celeste sia il tuo protettore, nonché delle tue forze, e la Sua Maestà sia la protettrice di tutti i fedeli armeni, sia ricchi sia indigenti. (Relazioni armeno-russe durante il primo terzo del secolo XVIII, vol. II/2, a cura di A. Hovhannisyan, Erevan, 1967, pp. 90–91, in arm.)

Le origini della mitologia storiografica che rivendica una continuità culturale diretta tra gli albanesi del Caucaso e gli azerbaigiani risalgono alla politica delle nazionalità sovietica: per prevenire lo sviluppo sul territorio dell’Unione sovietica di una comune identità turca, sostenuta a partire dal 1931 dalla Turchia kemalista, l’Azerbaigian, come altre repubbliche turcofone, fu obbligato a sviluppare un’identità nazionale separata e autoctona. L’eliminazione, tra il 1936 e il 1938, da parte delle autorità sovietiche di numerosi eminenti intellettuali dell’Azerbaigian (filologi, storici ed etnografi tra gli altri) ha spianato la strada per la creazione in questa repubblica di una nuova dottrina, dissociata dalla tradizione storiografica precedente e da ogni analisi oggettiva delle fonti storiche. A partire dalla pubblicazione nel 1939 a Baku della prima Storia della repubblica sovietica socialista dell’Azerbaigian, possiamo osservare una lunga successione di tentativi intrapresi da parte degli accademici azerbaigiani per impiantare il passato del loro popolo ora in una, ora in un’altra civiltà antica. Per collegare queste civiltà ai turcofoni odierni, la quarta versione della Storia dell’Azerbaigian, pubblicata tra il 1958 e il 1962, rivendicherà l’apparizione delle popolazioni turche sul suo territorio nel secolo IV d.C., e cioè più di sei secoli prima della datazione universalmente riconosciuta nel mondo accademico. Nel 1976 Nasir Rzayev scoprirà tratti turchi nelle sepolture, scavate nel territorio della repubblica e risalenti ai secc. II a.C. – IV d.C., mentre nel 1989 Mirəli Seyidov anticiperà l’apparizione dei turchi in Azerbaigian al secolo III a.C. Per Seyidov, le tribù turche rappresentavano addirittura il gruppo predominante dell’Albania del Caucaso. Nel 1990 Ali Sumbatzade affermerà che la lingua degli azerbaigiani antichi fosse «vicina alla lingua degli elamiti, dei cassiti (cossei) e dei lulubei». Tali espedienti permisero agli accademici azerbaigiani di lasciare gli armeni fuori del quadro storico. La contemporanea Fəridə Məmmədova (Farida Mamedova) afferma addirittura che gli armeni sono degli stranieri nel Caucaso del Sud.

Nel 2007 il Ministero della cultura dell’Azerbaigian pubblica, quindi, un libro che definisce tutto il territorio della Repubblica dell’Armenia come «l’Azerbaigian occidentale» (Aziz Youssif oghlu Alakbarli, The Monuments of Western Azerbaijan, eds B. Budagov et al., Baku: Nurlan Publishing House, 2007): è una road map per l’esercito dell’Azerbaigian.

Igor Dorfmann-Lazarev
School of Oriental and African Studies, London

Il Prof. Igor Dorfmann-Lazarev (Mosca, 18 aprile 1968) è ricercatore associato presso la School of Oriental and African Studies (SOAS), University of London, Department of the Languages and Cultures of the Near and Middle East. In precedenza ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Storia Antica della Goethe Universität di Frankfurt am Main e poi presso l’Università di Regensburg. Tra il 2001 e il 2015 ha insegnato ebraico, armeno, Patristica delle Chiese Orientali e Storia dell’Armenia nelle Università di Roma (La Sapienza e Tor Vergata), Montpellier, Durham, Londra (School of Oriental and African Studies-SOAS) e Istanbul (Boğaziçi Üniversitesi). In precedenza ha studiato a Mosca, Gerusalemme e Roma e ha scritto la sua tesi di dottorato all’École Pratique des Hautes Études (ÉPHÉ, Sorbonne sui rapporti armeno-bizantini durante il IX secolo. La monografia basata sulla sua tesi di dottorato, Arméniens et Byzantins à l’époque de Photius (Leuven 2004), ha ricevuto il premio “Charles et Marguerite Diehl” dall’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Nell’ÉPHÉ è stato inoltre insignito, nel 2009, del diploma di abilitazione. I suoi attuali interessi di ricerca risiedono nella trasmissione degli apocrifi attraverso le tradizioni cristiane orientali. Questo tema è stato anche al centro della sua ricerca presso l’Università di Halle, nel 2010-12, nell’ambito di una borsa di studio A. von Humboldt. Nel 2018 ha ideato e diretto la Conferenza Internazionale The Role of Esoteric and Apocryphal Sources in the Development of Christian and Jewish Traditions con la partecipazione di trenta studiosi in rappresentanza di università di undici nazioni (Forschungskolleg Humanwissenschaften, Bad Homburg). È interessato al ruolo che le antiche idee religiose, veicolate attraverso la letteratura apocrifa, hanno svolto nella formazione di distinte tradizioni esegetiche, concezioni antropologiche e cosmologiche e iconografiche dei cristiani orientali, e in particolare in Armenia e, negli studi più recenti, anche in Georgia e nell’Albania del Caucaso. Ha contribuito alla Cambridge History of Christianity e ad altri volumi collettivi e alle principali riviste internazionali di studi armeni e orientalisti.

L’anno scorso l’autore ha pubblicato un altro breve articolo al riguardo del tema di oggi, che si può leggere QUI.

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Foto di copertina: Monastero di Gandzasar, un monastero armeno del XIII secolo situato nella Repubblica di Artsakh Nagorno Karabakh), nei pressi del villaggio di Vank (regione di Martakert). “Gandzasar” significa “Montagna del tesoro” in armeno (da gandz tesoro e sar montagna). Gandzasar fu la residenza del Catholicosato di Aghvank della semiautonoma Chiesa Armeno-Albana dal XIV secolo fino al 1836 quando quest’ultima venne definitivamente unita alla Chiesa Apostolica Armena. Ora è la sede dell’Arcivescovo armeno dell’Artsakh.

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