Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI sull’essenza del Cristianesimo. Getta le reti per l’ultima volta, in un mare dove ormai la Chiesa non pesca più nessuno

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Ieri mattina è stata diffusa la lettera di Benedetto XVI [QUI] alle “care sorelle e ai fratelli” della sua diocesi di origine, Monaco e Frisinga, che sente ancora come la “mia patria” di Baviera. Che lettera è? Di difesa? Di contrattacco? È l’offerta della propria anima e del proprio corpo come farebbe un bambino al mondo intero, perché lo giudichi in attesa di quell’altro Giudice. Sta davanti alla morte, ma è “lieto” come un bimbo appena svezzato che tra poco sarà in braccio a sua madre.

La cronaca prevede degli obblighi. Impone di specificare che la missiva è stata scritta in risposta all’accusa formulata da una commissione indipendente e sostenuta dalla presidenza dei vescovi tedeschi di aver tollerato e tutelato in quattro casi dei preti pedofili mentre tra il 1977 e il 1982 era arcivescovo in Baviera. In questa lettera Joseph Ratzinger che si firma Benedetto XVI – come figura ai vertici della Chiesa per più di quarant’anni – si prende la responsabilità personale per l’orrore degli abusi inflitti da sacerdoti a dei ragazzini. Com’è stato possibile non prevenire, lasciare che l’humus dell’orrore sia stato innaffiato dall’indifferenza della gerarchia? Eppure Ratzinger rifiuta con forza l’accusa di essere un “bugiardo”, non ha mentito: c’è stato un errore materiale nella trascrizione di alcune frasi da parte del gruppo dei difensori.

Ma non è questa la giusta sintesi. Il primo contraccolpo davanti a questa lettera del Papa emerito, da leggersi d’un fiato, per la sua prosa lucente ed elementare, è di meraviglia. Ma chi è quest’uomo? Da dove è caduta in mezzo a noi mortali una persona capace di una simile speranza a 95 anni da compiere ad aprile, che si accusa di tutto, si confessa peccatore, eppure con la medesima forza cristallina annuncia che il male non è l’ultima parola che definisce l’esperienza umana e neppure è la sentenza definitiva che marchia la Chiesa-prostituta-vergine: le nefandezze dei suoi preti e capi non prevarranno.

Il peccatore

La si giri come si vuole. Il cristianesimo, la sua essenza esistenziale, la sua pretesa di salvezza per l’umanità nel suo insieme e per ciascun singolo, si concentra in queste poche pagine. Il cristianesimo è raccontato dal di dentro del suo cuore e della sua coscienza di miserabile peccatore. E la rinnova ogni mattino battendosi il petto e proclamando <mia grandissima colpa>, non in generale, ma proprio accusando sé stesso, e perciò addolorato fino a cadere a terra, ma poi lieto e certo che Gesù Cristo lo rialza, perché il male e la morte non sono l’ultima parola, Dio è stato così umile da incarnarsi in una ragazza ebrea per salvarci dal male che imperverserà fino alla fine dei tempi.

Confessa qualcosa di logicamente impossibile ma sperimentato per tutta la sua vita di cattolico e di prete-cardinale-papa: un miracolo altrimenti assurdo, a meno che Dio ci sia davvero. E la prova fornita da Benedetto alla credibilità del suo racconto non sta nei sillogismi di una verità cristallizzata in dottrina, ma nella concretezza dei giorni che lui ha vissuto e vive, qualche volta sereni, altre volte turbinosi, eppure tutti dominati da una strana letizia.

Prima che il testamento spirituale di Ratzinger, questo testo è il suo gettare le reti per l’ultima volta, in un mare dove ormai la Chiesa non pesca più nessuno. Fidandosi di Cristo di cui resta Vicario, seppure emerito, come fece Pietro, dopo non aver preso nulla per tutta la notte, prende ancora il largo. Sostiene la bellezza dell’avvenimento cristiano, nonostante la sporcizia che ha cercato in ogni modo e con scarso successo di spazzar via (vedi il discorso della via crucis del 2005, pronunciato in sostituzione del papa morente). Ne fa respirare il paradosso che scandalizza i filosofi, perché il cristianesimo non è una morale ma un incontro con Cristo che cambia la vita, e la fa essere un guazzabuglio divino-umano, in cui stanno insieme la tristezza e la gioia; il dolore straziante per le vittime di tanti abusi, il cui peso sente ancora sulle sue spalle ormai di cardellino il cui ultimo canto è un “miserere”, ma insieme cinguetta letizia e pace davanti alla morte.

Non la fa facile. Non si assolve neanche un po’. Si carica del male commesso da tutti i preti pedofili. Ma non è conformandosi al mondo, come chiedono i cardinali Marx e Hollerich [QUI], che la Chiesa sarà purificata e il male riparato, ma confidando nella possente forza del Signore che non viene meno, neppure quando il male pare assoluto e irredimibile. Cristo è più forte. Si può non crederci, si può bestemmiarlo. Ma questo è Vangelo. Non solo secondo Benedetto, ma anche secondo papa Bergoglio, al quale – scrive Ratzinger – “sono particolarmente grato per la fiducia, l’appoggio e la preghiera che mi ha espresso personalmente”.

Il perdono

Piccola antologia.

“Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata… per presentarmi come bugiardo”.

“Vorrei infine ringraziare la piccola famiglia nel Monastero Mater Ecclesiae la cui comunione di vita in ore liete e difficili mi dà quella solidità interiore che mi sostiene”.

”Preghiamo il Dio vivente pubblicamente di perdonare la nostra colpa, la nostra grande e grandissima colpa… E… per quanto grande possa essere oggi la mia colpa, il Signore mi perdona, se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso.”

“In tutti i miei incontri, con le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade. (A loro esprimo) la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono”.

“Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello… In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano (che mi dona) l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte”.

Questo articolo è stato pubblicato questa mattina su Libero Quotidiano.

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