Ricordare perché dimentichiamo spesso

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Oggi si ricorda la liberazione di Auschwitz da parte della 60° Armata dell’Esercito sovietico e ritorna alla mente quello che ha scritto Primo Levi ne ‘La tregua’: “La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles e io i primi a scorgerla (…. ) Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide”.

Oggi è la memoria della Shoah, la distruzione dell’ebraismo europeo durante la Seconda guerra mondiale per mano dei nazisti e dei loro alleati: 6.000.000 di morti, di cui 1.000.000 di bambini e per l’occasione il presidente della Comunità di Sant’Egidio, prof. Marco Impagliazzo, ha sottolineato, come ha scritto Francois Mauriac che ci sono momenti nella storia in cui il mistero del male segna ‘la fine di un’era e l’inizio di un’altra’:

“Ma oggi ne abbiamo preso coscienza e non possiamo nascondercelo: dalle ceneri di Auschwitz è sorto un mondo nuovo, centrato sui valori della democrazia, della libertà, nella consapevolezza che il genere umano è uno e ciò che accade a ognuno ci riguarda tutti.

Il Giorno della memoria allora, non consiste solo nel voltare lo sguardo al passato, ma getta una luce nuova sul futuro. Un futuro in cui gli ebrei possano vivere senza temere per la loro vita, come singoli e come popolo, un futuro in cui l’antisemitismo e il razzismo siano un ricordo del passato, in cui la coscienza abbia introiettato il valore della coabitazione, dell’accoglienza e della diversità, perché tutti nella storia siamo stati in certi momenti minoranza o stranieri a qualcun altro, come ricorda la Bibbia: ‘Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri in terra d’Egitto’.

La risposta più importante, a livello della società, resta quella di ‘fare memoria’. Che non è semplice ricordo del passato ma impegno a costruire un mondo diverso. Un mondo, in cui siano banditi i semi e le premesse che hanno portato all’inferno dello sterminio.

In primo luogo degli ebrei, ma anche delle persone con disabilità o degli anziani con malattie croniche, le così dette vite indegne di essere vissute, insieme ai Rom e i Sinti, considerati asociali e razzialmente impuri, i testimoni di Geova, le persone omosessuali, gli oppositori politici, i popoli slavi, a iniziare dai polacchi.

Il male si allarga e a cerchi concentrici colpisce tanti, non si esaurisce sulle vittime designate; il male, una volta scatenato, sfugge al controllo e sfigura tutti, dilagando come un contagio”.

Per fare memoria occorre ricorrere ai testimoni, come ha sottolineato il presidente di ANLA (Associazione Nazionale Lavoratori Anziani), Edoardo Patriarca, in quanto ‘niente del genere possa mai ripetersi’: “Devi solo ricordare… è il monito del nonno a sua nipote a non abbassare la guardia, a non rassegnarsi all’indifferenza che prende i cuori di tanti e che consente ai responsabili di violenze e sopraffazioni di rimanere impuniti rafforzando le proprie convinzioni mortifere, e di trovare talvolta ascolto anche nello spazio pubblico”.

E’ occasione per ricordare le altre tragedie succedute dopo il 1945: “E’ accaduto nella orribile e indicibile tragedia della Shoah e ancora accade ‘a pezzi’ nel mondo come direbbe papa Francesco: l’eccidio di Sebrenica compiuto a pochi passi dall’Italia, il genocidio in Ruanda,  la tragedia dei profughi siriani e ora di quelli afghani, le mamme e i bambini che attraversano il Mediterraneo sperando in una vita più degna, le persecuzioni delle minoranze in tante parti del mondo…

Accade ogniqualvolta venga minacciata e offesa la dignità della persona, i suoi diritti che nella Costituzione dichiariamo inviolabili. Una dignità che non accetta distrazioni,  sospensioni o eccezioni  di sorta perché ogni persona nella sua preziosità è unica e irripetibile, in tutte le condizioni della vita: nella giovinezza come nell’anzianità, nel vigore fisico e nella malattia, nell’esercizio dei propri doveri e nella espiazione delle colpe”.

L’olocausto fu anche il ‘genocidio’ dei disabili, come ha ricordato il presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), Vincenzo Falabella:

“Oggi, come FISH, ricordiamo lo sterminio di centinaia di migliaia di persone con disabilità durante il regime nazista e la seconda guerra mondiale, ma la nostra non vuole essere una semplice rievocazione di ciò che è stato e che mai più dovrà accadere, bensì un monito per i tempi presenti, dove continuiamo purtroppo a registrare parole di odio nei confronti delle persone con disabilità o, ancor peggio, cruenti episodi di cronaca che vedono le stesse persone con disabilità vittime di violenze, minori compresi”.

 L’Olocausto delle persone con disabilità servì da ‘primo tragico esperimento’: “E’ proprio di fronte a questo evento dedicato alle tragedie di ottant’anni fa che oggi e in ogni altro giorno dell’anno vogliamo ricordare come il virus della discriminazione, dell’odio e del razzismo nei confronti delle persone con disabilità e di chiunque altro venga ritenuto ‘diverso’, sia ancora sin troppo spesso presente e vada combattuto con forza in Italia e nel resto del mondo”.

Si può concludere con un passaggio dell’intervento di David Sassoli tenuto l’11 luglio 2021 nel Campo di concentramento di Fossoli a Carpi: “Ricordare che non basta credere di essere al riparo, e ribadire che l’orrore che ci travolse nasceva dentro grandi culture democratiche, liberali, progressiste anche, in un tempo di grandi invenzioni tecnologiche, di scoperte, di artisti, letterati e filosofi cosmopoliti e pieni di ingegno, ma tutti, tutti, incapaci di fiutare per tempo il pericolo del fascismo e del nazismo.

Culture sicure che non fosse possibile un capovolgimento dei valori fondamentali di umanità e civiltà. Quello che è accaduto è il risultato di società consapevoli dei diritti, ma incapaci di farli prevalere contro i pregiudizi e gli odi. Società dal temperamento anche pacifista, ma incapaci di sradicare la pandemia della guerra.

Società che si credevano migliori del proprio vicino, esasperando un antagonismo che ha trasformato l’amore per la propria terra in nazionalismo fanatico e criminale”.

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