Siluro di fango. Qui prodest? Qui tacet consentire videtur! «Mi è stata messa una spina nella carne» (2Cor 12,7). «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10)

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«Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2Corinzi 12,7-10).

«La vera notizia di ieri non è lo scandalo della presunta pedofilia di un Papa, ma il rito tribale del linciaggio contro un uomo buono e mite. Questo è il vero documento che dice la verità sui tempi che viviamo» (Renato Farina – Libero Quotidiano, 22 gennaio 2022).

Ritorniamo oggi sul caso dell’attacco al Papa emerito di cui abbiamo scritto ieri: Il siluro lanciato dalla Baviera contro Ratzinger è di marca vaticana ed è alla Santa Sede che deflagra suo carico nauseabondo. Quando il mestolo ha finito a mescolare nel fango dello stagno, e la mano che si nasconde si ferma (e sì, un mestolo non si agita da solo e la mano si stancherà, e prima ancora la bassa manovalanza di cui si serve), le acque torneranno limpide. Quando il sasso scagliato nel lago si ferma nel fango sul fondo, e la mano che si nasconde si ritira (e sì, un sasso non si scaglia da solo), la superfice dell’acqua diventerà di nuovo uno specchio.

«Si cerca di screditare in tutti i modi Benedetto XVI, che a 95 anni rappresenta ancora, per alcuni, un’insopportabile spina nel fianco. In gioco c’è l’eredità granitica del suo magistero, l’ultimo baluardo d’identità cattolica che sperano di superare con ridicole palate di fango» (Michelangelo Nasca – Twitter, 21 gennaio 2022).

Perciò, res ipsa loquitur tabula in naufragio (nelle circostanze incerte, la cosa parla da sé, è evidente, manifesta, come un’asse di un relitto). L’espressione legale viene usata quando le circostanze sono così ovvie, che non serve nessuna ulteriore prova o spiegazione. Nel diritto comune degli illeciti, res ipsa loquitur è una dottrina che deduce la negligenza dalla natura stessa di un incidente o di una lesione in assenza di prove dirette su come si è comportato un imputato, cioè, il semplice verificarsi di un incidente comporta che vi sia stata negligenza da parte dell’imputato. La frase è anche usata, spesso in modo sprezzante o ironico, per descrivere una proposta nelle richieste legali che il proponente spera possa (quasi) rimanere a galla anche se il resto del caso di quella parte è stato bloccato sotto la linea di galleggiamento. La frase è stata resa popolare in epoca contemporanea dal terzo film “Ai confini del mondo” della serie dei “Pirati dei Caraibi”, quando Jack Sparrow si rivolge in un monologo ai suoi compagni pirati alla Corte dei Fratelli Pirati, per discutere di una risposta attiva contro gli aggressori della Baia del Relitto, con l’espressione latina res ipsa loquitur tabula in naufragio, per significare: “Ci resta solo un’opzione”.

Potete esserne certi, che la mano che si nasconde, non mestola nel fango e non scaglia il sasso per puro divertimento (in verità, non si sta divertendo, perché il suo proprietario è piena di rabbia e di odio), come invece fanno nella loro innocenza i bambini. Ma come i bambini si stancano presto, anche la mano che si nasconda si stanca, mentre la rabbia e l’odio del suo proprietario crescono ancora, perché non raggiunge suo scopo. La mano – per niente innocente – che si nasconde, servendosi della bassa manovalanza primaria (sì, che si presta a collaborazione o partecipazione a livello modesto, reclutata in studi legali) e con la bassa manovalanza secondaria (sì, la manodopera non specializzata né professionalmente catalogata, reclutata in organi di stampa compiacenti), ha uno scopo preciso mentre nel contempo confonde le acque.

Dopo il siluro di fango lanciato contro Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI, nel colpevole silenzio della Santa Sede e dell’Uomo che Veste di Bianco in primis, sono ancora una volta i fedeli laici che devono difendere il Papa, il Papato e la Santa Madre Chiesa di sempre. Sì, come sempre è la Santa Madre Chiesa il vero bersaglio del missile partito dalla congrega eretica e scismatica, che si è impossessata delle strutture e degli edifici della Chiesa Cattolica Romana in Germania, costituendosi in una nuova chiesa non più cattolica. Un missile uscito dalla fabbrica della congrega eretica e scismatica, che si è impossessata delle strutture e degli edifici della Curia Romana, costituendosi in una nuova chiesa non più cattolica. Quando le acque dello stagno velocemente ritornano limpidi e piatte come una tavola, avverrà quanto Mirko Ciminiello scrive oggi su RomaIT: «In effetti questa strumentale campagna di discredito, per tempistica e inconsistenza, sa molto di arma di distrazione di massa. Ma anche in quest’occasione, ne siamo certi, prima o poi finiranno per scoprirsi tutti gli altari(ni)».

Perché, come scrive questa mattina l’amico e collega Michelangelo Nasca su Porta di servizio: «È il pensiero teologico di Papa Ratzinger, dunque, che fa paura, e che un certo tipo di teologia vorrebbe occultare, o tutt’al più sostituire con qualcosa di meno impegnativo per tutta quanta la Chiesa. Ed è per questo motivo che dev’essere distrutta ogni traccia del suo magistero! Si cerca, così, di screditare in tutti i modi Benedetto XVI, che a 95 anni rappresenta ancora, per alcuni, un’insopportabile spina nel fianco. In gioco c’è l’eredità granitica del suo magistero, l’ultimo baluardo d’identità cattolica che sperano di superare con ridicole palate di fango!».

Dalla mia cultura napoletana acquisita pesco – mentre le acque dello stagno si stanno già calmando – la risposta che meglio si adisce a questo ennesimo lancio di un siluro (che sa anche di arma di distrazione di massa), a cui stiamo assistendo, nostro malgrado: o‘ pernacchio [Si badi bene, o’ pernacchio non è una pernacchia – 27 dicembre 2021].

Il Papa regnante Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI alla benedizione di una statua di San Michele Arcangelo, nei pressi del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, 5 luglio 2013.

Poi, il punctum pruriens. Lo ha formulato il caro amico e stimato collega Renato Farina, anche lui tornando sul punctum dolens, dalle pagine di Libero Quotidiano (anche lui parla di sassi, non nello stagno ma della lapidazione di «un Papa di 95 anni, colpevole di essere ormai senza potere, salvo quello inestimabile tipico dei senza potere: l’inermità, la buona fede, in fin dei conti la verità»): «Ieri [Papa Francesco] ha trattato in pubblico la questione davanti alla plenaria dell’ex Sant’Uffizio. Ha detto: “La Chiesa, con l’aiuto di Dio, sta portando avanti con ferma decisione l’impegno di rendere giustizia alle vittime degli abusi operati dai suoi membri”. Nessun cenno a Benedetto. Dura la vita dei Papi. Quelli emeriti di più». Ricordatevelo, sepolcri imbiancati, iprocriti e farisei, quando usate la tastiera a modo di grimaldello.

Ecco, in riferimento all’assordante silenzio di Bergoglio, viene in mente l’espressione “chi tace acconsente”. Il significato è chiarissimo. Quando non ci si esprime su una questione, evitando di manifestare anche un eventuale dissenso, si dà per scontato che si è d’accordo sulla questione stessa. Significativo che è una variante della locuzione latina qui tacet consentire videtur (chi tace sembra acconsentire), tratta da un decreto di un predecessore del Papa regnante e del Papa emerito, Papa Bonifacio VIII. In senso giuridico l’espressione di solito si applica il silenzio-rifiuto, mentre solo in via eccezionale vale il silenzio-assenso. Senz’altro con Bergoglio siamo in presenza dell’eccezione che conferma la regola.

Come non essere d’accordo con il caro amico avvocato Fernand Keuleneer quando ieri ha scritto su Twitter, soprattutto con la sua conclusione: «Whomever reads the “report” and the thorough and extensive answers given by Benedict to the written questions which he received (as I did), can only conclude that this is an organized and coordinated attack based on nothing. Nothing. I understand that the law firm, which adopted a bizarre “investigation style” was apparently commissioned by Marx whom I cannot say anything good about. It is despicable. I hope that in the end, the missile will hit where it should. I will applaud [Chiunque legge il “rapporto” e le risposte esaurienti e complete che Benedetto ha dato alle domande scritte che ha ricevuto (come ho fatto io), può solo concludere che si tratta di un attacco organizzato e coordinato basato sul nulla. Nulla. Apprendo che lo studio legale, che ha adottato uno “stile investigativo” bizzarro, è stato apparentemente incaricato da Marx di cui non posso dire nulla di buono. È spregevole. Spero che alla fine il siluro colpisca dove dovrebbe. Applaudirò]».

Papa Francesco in visita dal Papa emerito Benedetto XVI del Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, 28 giugno 2018.

Francesco tace sul siluro di fango contro Benedetto XVI
I giornali prendono per oro colato il “non potevo non sapere” del rapporto sui pedofili
Il peso del silenzio di Bergoglio sulla lapidazione
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 22 gennaio 2022


La lapidazione prevista dalla sharia è malvagia, sassi aguzzi spaccano la testa, sfondano il petto. Eppure è più onesta di quella praticata in queste ore contro un Papa di 95 anni, colpevole di essere ormai senza potere, salvo quello inestimabile tipico dei senza potere: l’inermità, la buona fede, in fin dei conti la verità.

La sua lapidazione è stata praticata tirandogli contro un malloppo di carte elaborate da uno studio legale di Monaco di Baviera che improvvisamente è emerso dal nulla come uno Zeus tonitruante: secondo questi avvocati auto certificatisi come “Commissione indipendente” Joseph Ratzinger quattro volte, da Arcivescovo metropolita della capitale della Baviera, ha saputo e tollerato la presenza di preti pedofili, straziatori di bambini. Li conosceva, e ne ha lasciato sfregiare l’innocenza. Le prove? Zero. Non una. È solo il confronto serrato – secondo qualunque manuale dei diritti umani e della deontologia giornalistica – che trasforma le dicerie in prove, a sua volta da vagliare. Niente di tutto questo. Dichiarazioni raccolte, deduzioni. Inutilmente da anni Ratzinger con un poderoso dossier di 84 pagine ha fornito le prove, esse sì rigorose, della menzogna pesante come un macigno che gli è stata tirata contro. Nessun dubbio. È uno dei piaceri dell’umanità quella di poter mostrare l’anima nera di un angelo finalmente spogliato delle sue candide vesti. Ah, tagliargli le alucce, arrostirlo allo spiedo. Potersi sentire persino migliori di un santo venerato da tutti e sbugiardarlo gettando nel panico i suoi fedeli e nella pattumiera i suoi insegnamenti. E così alla massa di carte fornita dai legulei tedeschi i giornalisti di tutto il mondo hanno aggiunto carta a carta, inchiostro a inchiostro. La vera notizia di ieri non è lo scandalo della presunta pedofilia di un Papa, ma il rito tribale del linciaggio contro un uomo buono e mite. Questo è il vero documento che dice la verità sui tempi che viviamo.

Sbatti il mostro in prima pagina

Non ci credete? I titoli di prima pagina dedicati ieri dai più diffusi quotidiani italiani a Joseph Ratzinger propinano le certezze dei quotidiani afghani al popolo con il sasso in mano per tirarlo contro il reo. Com’era il titolo di quel vecchio film? Ah sì: “Sbatti il mostro in prima pagina”. I giornaloni e i giornaletti italiani, ma non solo, hanno sposato con trasporto le accuse infamanti contro il Papa emerito, pedofilo nell’oscurità delle navate barocche. Ci aspettiamo nei prossimi giorni una bella lettera di 700 intellettuali all’Espresso, sul modello di quella che inchiodò 50 anni fa il Commissario Luigi Calabresi al palo della fucilazione. Potrebbe funzionare come titolo: “Il pedofilo emerito”. Esageriamo? Ma no, è il sarcasmo che alza le mani e si arrende all’evidenza: le affermazioni colpevoliste, pronunciate in assenza di controparte, sono state bevute come vin santo dai giornalisti, i quali a sua volta l’hanno versato come nettare ai lettori.

Ed ecco allora questi titoli. Hanno infatti la perentorietà alata dei versetti del Vangelo, anzi più che altro delle sure del Corano, e potrebbero candidarsi per un premio di giornalismo a Kabul intitolato al Mullah Omar. In pole position è La Stampa, il cui titolista crede di essere Padre Pio e legge la coscienza di Ratzinger come un libro stampato, scoprendola putrida: “Il peccato di Benedetto” (Domenico Agasso). La Repubblica è più oggettiva: “Preti pedofili a Monaco. Ratzinger coprì 4 casi” (Paolo Rodari). Questo è il famoso garantismo progressista. E così non si accenna alla “rigorosa smentita” di Benedetto XVI, il quale mette in gioco la sua parola contro quella di sconosciuti avvocati bavaresi.

Il Corriere della Sera elude anch’esso la difesa di Ratzinger, che pure per la prima volta in vita sua ha impugnato la spada per difendersi dall’ignominia: “’Abusi, Ratzinger non agì su 4 casi’. Choc in Vaticano” (Gian Guido Vecchi). Lo choc, sia chiaro, non è provocato dall’indignazione per la temerarietà di un’accusa contro chi conserva il nome di Papa sia pure emerito, e dovrebbe essere difeso con l’alabarda delle parole e il tuono dell’anatema da chi ne ha l’autorità, ma lo choc è perché in fondo in fondo piace credere che davvero Ratzinger sapesse e abbia lasciato fare.

Ci risulta che nessuno, da dentro le mura vaticane, abbia osato mostrare la faccia e levarsi lo zucchetto per lanciarlo a mo’ di sfida per duellare contro chi offende il Vicario di Cristo in terra, che è tale anche se emerito, silenzioso, e vicino alla morte, povero agnello candido che rischia di bagnarsi del sangue dello sgozzamento rituale della calunnia. Abbastanza solitario è intervenuto il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione scrivendo: «La personalità e l’opera di Benedetto XVI smentiscono le accuse infamanti alla sua persona. Siamo vicini al Papa emerito e preghiamo insieme con lui per una Chiesa più vera, più unita e più libera».

Coro di vaticanisti

L’unanimità, o quasi, dei vaticanisti, nel dare credito a pugnalate a tradimento, dice molto di più dell’opinione dei singoli giornalisti. Essi infatti esprimono il pensiero dominante del circolo stretto di consiglieri del Papa. Il quale di sicuro non crede alle accuse contro il predecessore. Ma per difendere la Chiesa dall’attacco generalizzato per lo scandalo degli abusi sui minori da parte di preti e vescovi, forse persino d’accordo con Benedetto, preferisce sottolineare la volontà purificatrice della Chiesa.

Ieri ha trattato in pubblico la questione davanti alla plenaria dell’ex Sant’Uffizio. Ha detto: «La Chiesa, con l’aiuto di Dio, sta portando avanti con ferma decisione l’impegno di rendere giustizia alle vittime degli abusi operati dai suoi membri». Nessun cenno a Benedetto. Dura la vita dei Papi. Quelli emeriti di più.

Palate di fango contro Benedetto XVI, per distruggere ogni traccia del suo magistero!
di Michelangelo Nasca
Porta di servizio, 22 gennaio 2022


L’accusa infamante che in questi giorni ha coinvolto il papa emerito, Benedetto XVI, in un’indagine condotta su richiesta della Chiesa tedesca, riguarderebbe una presunta negligenza da parte dell’allora cardinale Joseph Ratzinger nella gestione di quattro casi di pedofilia avvenuti nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, da lui guidata dal 1977 al 1981.

Tali accuse – a suo tempo già ampiamente chiarite dal Papa emerito, quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e successivamente come Pontefice regnante, con un documento di 82 pagine – tornano a sporcare l’immagine di un pontificato che per qualcuno continua a rappresentare un pericolo, dimenticando peraltro che fu proprio Benedetto XVI a scoperchiare gli scandali e gli abusi sessuali all’interno del mondo ecclesiale, per ripulire – come scrisse nella memorabile via Crucis del 2005 – «la veste e il volto così sporchi della Chiesa».

Cui prodest? “A chi giova” rilanciare queste infamanti accuse contro Benedetto XVI? Alla Chiesa tedesca che sembrerebbe abbracciare il cammino di riforme sostenuto dai cattolici progressisti vicini allo scisma? Ad altri signorotti che vorrebbero da parte di Papa Francesco una chiara presa di distanza dal magistero del Papa emerito?

Benedetto XVI conosce bene i “lupi” (citati all’inizio del suo pontificato) che continuano a braccarlo senza tregua. Sono lupi che non cercano la carne, ma la sostanza del suo pontificato e di una ecclesiologia che non ha eguali, e che i feroci predatori vorrebbero distruggere definitivamente. Un’ecclesiologia in crisi, dove equivoci e veri e propri errori insidiano la teologia e la cattolicità della Chiesa. Considerazioni, queste, che, oltre trent’anni fa, il cardinale Joseph Ratzinger consegnava all’attenzione dei lettori tra le pagine di «Rapporto sulla fede», uno dei grandi successi editoriali di Vittorio Messori, dove, per la prima volta, l’allora Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio parlava a cuore aperto, con lucido e coraggioso realismo, a chi dentro la Chiesa guardava irresponsabilmente da un’altra parte!

«La mia impressione – affermava il pericoloso e ancora oggi temutissimo “Panzer Cardinal” – è che tacitamente si vada perdendo il senso autenticamente cattolico della realtà “Chiesa” senza che lo si respinga espressamente. Molti non credono più che si tratti di una realtà voluta dal Signore stesso. Anche presso alcuni teologi, la Chiesa appare come una costruzione umana, uno strumento creato da noi e che quindi noi stessi possiamo riorganizzare liberamente a seconda delle esigenze del momento. Si è cioè insinuata in molti modi nel pensiero cattolico, e perfino nella teologia cattolica, una concezione di Chiesa che non si può neppure chiamare protestante, in senso ”classico“. Alcune idee ecclesiologiche correnti vanno collegate piuttosto al modello di certe “chiese libere” del Nord America, dove si rifugiavano i credenti per sfuggire al modello oppressivo di “chiesa di Stato” prodotto in Europa dalla Riforma. Quei profughi, non credendo più nella Chiesa come voluta da Cristo e volendo nello stesso tempo sfuggire alla chiesa di stato, creavano la loro chiesa, un’organizzazione strutturata secondo i loro bisogni».

Questa, ovviamente, non è l’unica preoccupazione per i feroci predatori, che vedono in Benedetto XVI un pericolo “presente” e “futuro”. Il vero problema, infatti, è quello di non riuscire a contenere le migliaia di pagine pubblicate da Joseph Ratzinger, prima e dopo il suo pontificato. Libri, articoli, conferenze, omelie… un vero fiume in piena difficilmente arginabile. Una serissima minaccia per chi vuole guardare la Chiesa come una costruzione umana, dove gli elementi della fede possono diventare arbitrari e pastoralmente interfacciabili. «Così – raccontava Ratzinger a Vittorio Messori –, senza una visione che sia anche soprannaturale e non solo sociologica del mistero della Chiesa, la stessa cristologia perde il suo riferimento con il Divino: a una struttura puramente umana finisce col corrispondere un progetto umano. Il Vangelo diventa il progetto-Gesù, il progetto liberazione-sociale, o altri progetti solo storici, immanenti, che possono sembrare anche religiosi in apparenza, ma sono ateistici nella sostanza».

È il pensiero teologico di Papa Ratzinger, dunque, che fa paura, e che un certo tipo di teologia vorrebbe occultare, o tutt’al più sostituire con qualcosa di meno impegnativo per tutta quanta la Chiesa. Ed è per questo motivo che dev’essere distrutta ogni traccia del suo magistero! Si cerca, così, di screditare in tutti i modi Benedetto XVI, che a 95 anni rappresenta ancora, per alcuni, un’insopportabile spina nel fianco. In gioco c’è l’eredità granitica del suo magistero, l’ultimo baluardo d’identità cattolica che sperano di superare con ridicole palate di fango!

Il vile attacco dalla “sua” Germania
Benedetto XVI, riparte la vergognosa macchina del fango sui pedofili preti
di Mirko Ciminiello
RomaIT, 22 gennaio 2022


Secondo un report [QUI], l’allora Arcivescovo di Monaco sottovalutò 4 casi di abusi: accuse già smontate, oltre al fatto che nessuno ha combattuto questa piaga come Papa Ratzinger.

Chi ha paura di Papa Benedetto XVI? Viene da chiederselo, alla luce dell’ignobile attacco subito da Sua Santità sullo scandalo dei pedofili preti (e non “preti pedofili”: nomina sunt consequentia rerum). Un attacco basato su un report che muove a Joseph Ratzinger delle accuse pretestuose, vergognose e – soprattutto – già da tempo confutate.

Accuse pretestuose contro Benedetto XVI

È stato presentato il rapporto stilato dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl sugli abusi ecclesiastici nell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga tra il 1945 e il 2019. Un documento commissionato dalla stessa Arcidiocesi, che dal 1977 al 1982 è stata retta dal futuro Papa Benedetto XVI. Al quale il team forense imputa di aver coperto, o comunque sottovalutato i comportamenti di alcuni sacerdoti che hanno macchiato la tonaca nel modo peggiore possibile.

Il Santo Padre ha respinto ogni addebito attraverso una corposa memoria difensiva, che però gli estensori del fascicolo hanno ritenuto «non credibile». Il che la dice lunghissima su di loro e sulla presunta imparzialità del dossier – d’altronde ordinato da una comunità incrostata di modernismo.

Lo stesso Papa Ratzinger, peraltro, ha tacciato i periti di aver abbandonato «il loro ruolo di neutralità e obiettività», cadendo nella «propaganda e pura speculazione». Difficile dargli torto.

Il caso di “padre H.”

In conferenza stampa, come riferisce La Nuova Bussola Quotidiana [QUI], gli avvocati hanno insistito soprattutto su un caso, quello di “padre H.”, al secolo Peter Hullermann. Un episodio già finito sotto i riflettori nel marzo del 2010, e immediatamente smontato.

Hullermann è un religioso che, accusato di violenze su un undicenne, fu obbligato dalla sua Diocesi (quella di Essen) a sottoporsi a psicoterapia nella capitale bavarese. Nel gennaio 1980, l’allora Cardinale Ratzinger acconsentì al suo trasferimento, ma non al conferimento di incarichi pastorali.

Presentazione del report del Westpfahl Spilker Wastl

Ad assegnargli incautamente un compito di assistenza in una parrocchia fu invece, un mese dopo, l’allora vicario generale Gerhard Gruber. Il quale, come riporta il cronista e sociologo Giuliano Guzzo [QUI], proprio nel marzo 2010 si assunse pubblicamente la responsabilità di questo «grave errore». Che, come hanno sostenuto i giornalisti Andrea Tornielli e Paolo Rodari nel libro “Attacco a Ratzinger”, fu commesso non secondo, bensì «contrariamente a quanto stabilito da Ratzinger».

Questa dovrebbe essere la pistola fumante. Tanto fumante che gli stessi legulei hanno dovuto ammettere che non c’è una «base affidabile per continuare (…) a valutare criticamente l’operato dell’allora Arcivescovo Cardinale Ratzinger in questo caso».

Perché questa macchina del fango contro Benedetto XVI?

Se poi tutto questo non fosse ancora sufficiente, res ipsa loquitur. E stavolta è Il Foglio [QUI] a ricordare che Benedetto XVI è il Papa che per primo ha preso provvedimenti pratici contro l’orrenda piaga della pedofilia. Inasprendo tutte le norme canoniche, raddoppiando la prescrizione onde poter punire vicende ventennali, riducendo allo stato laicale i colpevoli di abusi in presenza di prove evidenti.

Perché, allora, è ripartita la spregevole macchina del fango contro il Vicario di Cristo? È possibile, come sostiene il collaboratore di Libero Andrea Cionci [QUI], che questo assurdo e vile accanimento proveniente dalla “sua” Germania sia legato alla Magna Quaestio? Ovvero alla possibilità concreta, su cui anche RomaIT sta indagando [QUI], che Joseph Ratzinger non si sia mai dimesso e sia dunque ancora il Pontefice regnante? Dal momento che la sua celeberrima Declaratio, con tutta probabilità, era piuttosto un’attestazione di (Santa) Sede impedita?

In effetti questa strumentale campagna di discredito, per tempistica e inconsistenza, sa molto di arma di distrazione di massa. Ma anche in quest’occasione, ne siamo certi, prima o poi finiranno per scoprirsi tutti gli altari(ni).

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