Mala tempora currunt sed peiora parantur. Però, “non abbiate paura”… non è la morte che avrà l’ultima parola, ma la vita

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Confesso, mi rendo conto che sono un comunicatore sui generis, nel senso che faccio ricerche, leggo, rifletto, medito e scrivo per me stesso. Poi, quando ho scritto per me, comunico, pensando che quello che avevo da dire (a me stesso), potesse essere utile ad altri come me, per aiutare anche loro sulla via della metacognizione. Visto che scrivo per me stesso, cerco di scrivere con tutta l’integrità di cui sono capace, alla ricerca della verità con pazienza, tenacia e acribia (come osservò un caro amico).

Ad alcuni potrebbe non piacere quello che ho da dire (anzi, ne sono sicuro, ma visto che scrivo per me…). Anche a me non piace quello che altri hanno da dire. Ciononostante cerco di ascoltarli e di capire le loro ragione. Perciò, chiedo la stessa cortesia a chi fa la fatica di leggere quello che ho da dire (a me stesso).

I quattro cavalieri dell’Apocalisse.

Scrivo nei mala tempora currunt… mentre si svolge intorno a tutti noi la battaglia feroce tra il bene e il male, tra la fede e l’incredulità, tra l’amore e l’odio, tra la ragione e la follia, tra l’empatia e l’indifferenza, tra il buon senso e il balordaggine, tra la giustizia e l’ingiustizia, tra la schiavitù e la libertà… sed peiora parantur.

Pieter Bruegel il Vecchio, Il trionfo della morte, 1562-63, tempera e olio su tavola, cm 117 x 162, Museo del Prado, Madrid.
La morte miete le sue vittime e non risparmia nessuno.
Un dipinto terrificante sul tema della vittoria della morte sull’umanità.

La storia dell’umanità, dal Genesis, è stata sempre caratterizzata dall’eterna lotta degli esseri tra il bene (di Dio) e il male (del Maligno). Poi, la battaglia finale tra il Bene e il Male viene data per certa nel libro dell’Apocalisse. Prima del Giudizio Universale, nel momento della seconda discesa di Gesù sulla Terra, avverrà lo scontro decisivo tra il Figlio di Dio, Cristo e il Figlio delle Tenebre, Satana. In questa battaglia finale il Demonio verrà sconfitto definitivamente e condannato per l’Eternità. La morte sarà sconfitta e la vita sarà vincitore per l’eternità. «Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36).

Jacopo Tintoretto (e aiuti), La Resurrezione, ca 1599, olio su tela, cm 159 x 232, Galleria dell’Accademia, Venezia.
La vittoria di Cristo sulla morte.

Per chi ha il dono della fede e vive la fiducia nell’alleanza di Dio con l’uomo, non è la fine dei tempi che deve temere, se vive con la sua anima la vita come Dio comanda. Il Timor di Dio è l’inizio della Saggezza, mentre preoccuparsi della Fine dei Tempi e vivere come Dio non ci fosse, significa perdere la speranza e cadere nella paura, nell’ansia e nella perdizione.

«Non abbiate paura», esortava San Giovanni Paolo II. Anche perché proprio il libro dell’Apocalisse di Giovanni è soprattutto un libro di Rivelazione, libro di luce e di speranza, non di oscurità e di paura. Quindi, conduciamo la nostra vita senza paure, nella luce e nella speranza, per poter dire, come San Paolo al tramonto della sua vita: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (2Tm 4,7-8). «Nell’udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna» (Atti 12, 48).

«La morte, per chi sa comprenderla, è immortalità; ma per gli ignoranti, che non comprendono, essa è solo la morte. Non è questa morte che dobbiamo temere, ma la perdita dell’anima che è la non conoscenza di Dio. Questo è cosa tremenda per l’anima!»
(Sant’Antonio Abate, N. 49, 170 Testi sulla vita santa).

Foto di copertina: Trasfigurazione, mosaico, Chiesa della Resurrezione di Gesù Cristo di San Pietroburgo, noto come la Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato. «”Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio”. Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto» (Lc 9,28-36).

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