Il guerrafondaio azero continua a pronunciare parole e idee anti-Armeni ed espansionisti nel Caucaso meridionale, per la soluzione finale della questione armena iniziata un secolo fa

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Il 12 gennaio 2022 il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, in un’intervista a diversi organi di stampa locali, riferendosi alle attività del Gruppo di Minsk dell’OSCE [1], ha affermato di avere una sua idea su ciò che dovrebbe fare e cosa non dovrebbe fare. Aliyev ha dichiarato che il Gruppo di Minsk deve accettare la realtà e sapere che non può affrontare la questione del Nagorno-Karabakh perché Baku non lo consentirà. In tale ottica, ha sottolineato che il Gruppo di Minsk non dovrebbe occuparsi del “conflitto del Nagorno-Karabakh”, poiché è già stato risolto dall’Azerbajgian [2].

«Qarabag Azerbaycandir»:
«La guerra nel Nagorno-Karabakh
era una misura forzata,
che si è rivelata più efficace
dei negoziati trentennali»

(Ilham Aliyev).

La foto di copertina, con Aliyev davanti allo slogan «Qarabag Azerbaycandir» (Karabakh è Azerbajgian), riassume la soluzione finale, soltanto parzialmente raggiunta, perché non tutto l’Artsakh/Nagorno-Karabakh è stato conquistato, per il momento… anche se a seguito della guerra scatenata dall’Azerbajgian del Nagorno-Karabakh nel 2020, buona parte del territorio della Repubblica di Artsakh è finito sotto controllo delle forze armate azere, sia per le conquiste militari nel corso della guerra, sia per quanto stabilito dall’Accordo di cessate il fuoco trilaterale del 9 novembre 2020, firmato da Azerbajgian, Armenia e Federazione Russa. Di fatto, quello che rimane del territorio libero della Repubblica di Artsakh è interamente circondata dall’Azerbajgian con l’eccezione dello stretto collegamento garantito dal Corridoio di Laçın che la unisce all’Armenia e che si trova sotto controllo e vigilanza della forza per il mantenimento della pace russa.

Già un secolo fa, le orde della prima repubblica di Azerbajgian hanno tentato di risolvere il problema dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, già inserito nell’agenda internazionale, usando la forza e l’uccisione di massa della popolazione civile, con il pogrom di Sushi nel 1920 [3]. Il guerrafondaio Ilham Aliyev, sostenuto dal sultano del Bosforo, non fa mistero con parole e azioni, che ha intenzione di raggiungere finalmente la soluzione finale: annientare gli Armeni, la Repubblica di Artsakh e la Repubblica di Armenia.

Il Parlamento della Repubblica di Artsakh a Stepanakert.

Stepanakert ha ricordato a Baku che la Co-Presidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE è l’unica struttura concordata da tutte le parti per risolvere il conflitto Azerbajgian-Artsakh

«Nelle sue recenti interviste a diversi media, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, riferendosi alla soluzione del conflitto Azerbajgian-Artsakh e ai processi regionali, ha usato ancora un vocabolario e pronunciato idee anti-armeni, distruttivi ed espansionisti, esprimendo i programmi e obiettivi ad essi corrispondenti», ha affermato in una dichiarazione il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh, sottolineando che tale politica è una grave violazione del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario, nonché degli accordi raggiunti. «Ha lo scopo di silurare iniziative per stabilire la pace e mantenere la stabilità, nonché lo smantellamento dei formati esistenti. Il Presidente dell’Azerbaigian ha lanciato attacchi specifici alle attività dei Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE e alla missione di mantenimento della pace svolta nell’Artsakh da uno dei Paesi copresidenti – la Federazione Russa -, lanciando accuse ridicole contro di loro», ha dichiarato il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh. Allo stesso tempo, Stepanakert ha ricordato a Baku, che la Co-Presidenza del Gruppo di Minsk l’unica struttura concordata da tutte le parti per risolvere il conflitto Azerbajgian-Artsakh. «Apprezziamo molto la missione del contingente di mantenimento della pace russo in Artsakh e consideriamo inaccettabile qualsiasi tentativo di gettare un’ombra sulle loro attività. Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh condanna fermamente il comportamento dell’Azerbajgian, sicuro che tale politica, attuata a livello statale, dovrebbe ricevere un’adeguata valutazione anche dalla comunità internazionale».

Comunicato delle forze politiche dell’Artsakh contro le dichiarazioni di Aliyev

Le forze politiche rappresentate nell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh hanno rilasciato oggi la seguente dichiarazione congiunta sulla politica distruttiva e aggressiva della leadership politica dell’Azerbajgian:

«Dopo la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, l’Azerbajgian crea regolarmente situazioni di tensione ai confini della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Armenia, prendendo di mira principalmente la popolazione civile delle due repubbliche armene [4].

Tali provocazioni, divenute più frequenti negli ultimi giorni, dimostrano che l’Azerbajgian non ha rinunciato alla sua decennale politica anti-armena, che mette in discussione la leadership politico-militare del Paese sulle agende di pace, la sincerità delle dichiarazioni talvolta formulate per le organizzazioni internazionali.

Nonostante gli sforzi di pace di uno dei Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, la Federazione Russa, l’aggressione azera scatenata contro il popolo di Artsakh nell’autunno del 2020 con la partecipazione della Turchia e di terroristi internazionali, accompagnata da massicce violazioni dei diritti umani, continua con altri metodi. Tutto ciò è regolarmente infiammato dalle continue minacce rivolte in particolare dal leader dell’Azerbajgian, mettendo così in discussione la sicurezza del corridoio controllato dalle forze di pace russe.

L’abbandono di tutto questo da parte della dirigenza armena, delle organizzazioni internazionali e dei Paesi influenti, e la mancanza di risposte adeguate, sono diventati il segnale sbagliato per il leader del Paese vicino, il quale, dimenticando gli impegni presi dal suo Paese quando aderisce ad autorevoli strutture europee, sostiene attualmente di limitare le attività del Gruppo di Minsk dell’OSCE, composto da tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: Russia, Stati Uniti e Francia.

Consideriamo inammissibile un tale atteggiamento denigratorio nei confronti della suddetta autorevole struttura, che ha contribuito a lungo alla stabilità regionale sulla soluzione pacifica del conflitto nel Nagorno-Karabakh dal 1992 e lo valutiamo come un aperto disprezzo del diritto internazionale e gli sforzi della comunità internazionale.

Condannando tale comportamento della leadership azerbaigiana, chiediamo ai Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE di adottare misure pratiche per neutralizzare la politica distruttiva dell’Azerbajgian al fine di prevenire nuove tensioni nella regione e riportare i responsabili di quel paese nel campo del diritto internazionale».

Libera Patria-UCA
Patria Unita
Giustizia
Federazione Rivoluzionaria Armena
Partito Democratico di Artsakh

[1] Gruppo di Minsk dell’OSCE

Il Gruppo di Minsk è una struttura di lavoro creata nel 1992 dalla Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE), dal 1995 Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE) [QUI], allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata dopo la guerra del Nagorno-Karabakh. Il meeting straordinario di Helsinki della CSCE tenutosi il 24 marzo 1992 richiese al Segretario dell’Organizzazione di dare vita il più rapidamente possibile ad una Conferenza internazionale che affrontasse il problema del Nagorno Karabakh che da alcuni mesi era interessato da un’aggressione dall’Azerbajgian, dopo che a seguito del referendum del 10 dicembre 1991, il 6 gennaio 1992 era stata proclamata la Repubblica di Nagorno-Karabakh (che poi assunse il nome di Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dopo il referendum costituzionale del 20 febbraio 2017).

La Conferenza si sarebbe dovuta tenere nella Città di Minsk, capitale della Bielorussia ma non ebbe mai luogo alla data prefissata. Venne comunque creato un “Gruppo di lavoro” dal nome della Città che avrebbe dovuto ospitare la riunione. La sua attività è già registrata nei verbali delle riunioni della CSCE a dicembre. Il summit dei Capi di stato e governo CSCE tenutosi a Budapest il 6 dicembre 1994 diede mandato per la creazione di un formale gruppo di Co-Presidenti il cui lavoro fosse finalizzato a:

  • fornire un quadro appropriato di lavoro per la risoluzione del conflitto in modo da assicurare il processo di negoziazione sostenuto dal Gruppo di Minsk medesimo;
  • ottenere dalle parti in causa la stipula di un accordo di cessazione del conflitto armato al fine di permettere la convocazione della Conferenza di Minsk;
  • promuovere il processo di pace con il dispiegamento di una forza multinazionale di pace sotto l’egida dell’Organizzazione stessa.

Il Gruppo di Minsk è guidato da una Co-Presidenza composta da Francia, Russia e Stati Uniti d’America. Fanno inoltre parte del Gruppo rappresentanti di Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia, oltre a Armenia e Azerbajgian.

Il Gruppo di Minsk è impegnato tuttora in una difficile opera di mediazione fra le parti in causa e sono frequenti ogni anno le visite che la delegazione dei Co-Presidenti effettua a Erevan, Baku e Stepanakert. Ad oggi, tuttavia, non è ancora riuscito ad ottenere dai soggetti interessati la firma di un definitivo accordo di pace sulla questione del Nagorno-Karabakh. La comunità internazionale sembra tuttavia concorde nel ritenere il format del Gruppo di Minsk l’unico in grado di assicurare un lento ma progressivo miglioramento dei negoziati fra le parti. Per tale ragione non sono andati a buon fine i tentativi azeri e turchi di aprire altri tavoli di trattativa presso la Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) dove i lavori di una sotto-commissione sul Nagorno-Karabakh non sono mai iniziati, e alle Nazioni Unite.

L’Azerbajgian è critico nei confronti del Gruppo di Minsk in quanto ritiene la posizione dello stesso sbilanciata a favore dell’Armenia. In particolare vorrebbe che il Co-Presidente francese fosse sostituito da membro di un’altra nazionalità, possibilmente turco.

L’Armenia lamenta che al tavolo dei negoziati non sieda un rappresentante del Governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Il Gruppo di Minsk ha comunque incontrato a più riprese il Presidente di Artsakh ed ha attraversato più volte a piedi il confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbajgian.

[2] Ilham Aliyev, Presidente dell’Azerbajgian: «Passo dopo passo la pace verrà».

Il 1° marzo 2021, il Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha tenuto una conferenza stampa a cui hanno partecipato più di 50 giornalisti locali e stranieri. All’avvio delle oltre 4 ore di conferenza stampa, il Presidente dell’Azerbaigian ha tenuto un discorso di apertura, per poi rispondere a circa 50 domande di 35 giornalisti, dando informazioni sui risultati della guerra nel Nagorno-Karabakh nell’autunno precedente, definendola «una misura forzata, che si è rivelata più efficace dei negoziati trentennali», facendo riferimento ai distaccamenti d’assalto del Paese «che hanno sfondato la linea di difesa e hanno mostrato un vero eroismo». Aliyev ha poi precisato: «Ci siamo fermati al nostro confine senza fare nulla di dannoso per i cittadini armeni. Abbiamo messo un grande cartellone “Benvenuti in Azerbajgian”. Non so perché crei irritazione in Armenia, ma non abbiamo scritto niente di sbagliato».

Il Difensore dei diritti umani dell’Armenia accusa l’Azerbajgian di “terrorizzare” gli abitanti dei villaggi armeni con un cartello stradale oltraggioso
YEREVAN, 29 DICEMBRE 2020, ARMENPRESS. Il Difensore armeno dei diritti umani Arman Tatoyan ha condannato l’esercito azerbajgiano per aver “terrorizzato” i pacifici residenti dell’Armenia installando un cartello “Benvenuto in Azerbajgian” tra gli insediamenti di confine a Syunik, dove sono ancora in corso lavori di delimitazione e demarcazione. Il cartello, caratterizzato da una mappa distorta che mostra gran parte di Syunik come parte dell’Azerbajgian, è stato installato dalle truppe azere sulla strada che porta dalla città di Goris al villaggio di Vorotan. Bandiere azere sono state installate anche vicino al villaggio di Vorotan. “Il cartello è stato installato su una strada che collegava un insediamento civile armeno con un altro”, ha detto Tatoyan in una nota, aggiungendo che le truppe azere hanno installato il cartello per terrorizzare e violare esplicitamente i diritti dei pacifici residenti armeni delle città di confine. “Si tratta di un passo totalmente condannabile, compiuto con l’intento esplicito di terrorizzare i residenti pacifici, tenendo conto in primo luogo delle torture, dei trattamenti disumani e di altri crimini di guerra e delle pulizie etniche che i militari azeri hanno commesso contro il nostro popolo, specialmente durante e dopo la guerra di settembre-novembre 2020. Tali passi sono particolarmente condannabili sullo sfondo della continua propaganda organizzata e sanzionata dallo stato del sentimento anti-armeno e dell’assassinio di Armeni in Azerbajgian, così come il fatto che persone pubblicamente note che si sono dichiarate difensori dei diritti umani in Azerbajgian chiamano esplicitamente per una nuova guerra contro l’Armenia”, ha detto Tatoyan.

Torna a salire la tensione tra Armenia e Azerbajgian
L’Azerbajgian ha intensificato il blocco delle principali strade armene
di Joshua Kucera
Eurasianet, 15 novembre 2021

La tensione è tornata a ribollire tra Armenia e Azerbajgian, con molteplici scontri a fuoco negli ultimi giorni e traffico limitato dalle forze azerbajgiane su due strade lungo il confine con l’Armenia. Secondo quanto riferito, gli incidenti arrivano quando le due parti sono vicine al raggiungimento di accordi tanto attesi per delimitare il proprio confine e aprire nuove rotte di trasporto tra i due Paesi. L’Azerbajgian ha istituito ulteriori posti di blocco sulla strada che collega le città armene meridionali di Goris e Kapan, ha annunciato il 12 novembre il Difensore dei diritti umani dell’Armenia, Arman Tatoyan. Poi, il 15 novembre, gli Azeri hanno istituito un altro posto di blocco su una strada che porta a sud-est di Goris, hanno riferito funzionari locali. Tatoyan ha riferito che molti insegnanti e studenti che vivono tra Goris e Kapan e fanno il pendolare verso le scuole di quelle città non sono stati in grado di andare a scuola a causa dei nuovi posti di blocco, costringendoli a passare alla didattica a distanza. I posti di blocco azeri, diretti principalmente ai camion iraniani che rifornivano l’Artsakh, operavano su quella strada già da agosto. Diversi segmenti della strada attraversano il territorio azerbajgiano, sul quale Baku ha ripreso il controllo come parte dell’accordo di cessate il fuoco che ha posto fine alla guerra dell’anno scorso. Non è stato subito chiaro come funzionassero i nuovi posti di blocco, ma questa è la prima volta che il movimento degli Armeni lungo la strada sembra essere stato notevolmente limitato. Il traffico lungo la seconda sezione della strada, da Kapan che porta a Chakaten e poi fino alla sezione più meridionale del confine tra Armenia e Azerbajgian, era stato precedentemente libero. Ma nel cuore della notte del 15 novembre, le truppe azere hanno allestito un nuovo posto di blocco in un altro segmento che attraversa una fetta di territorio azerbajgiano, nel villaggio di Gazanchi. Alla gente del posto che vive più avanti lungo la strada non è stato detto quali siano le intenzioni degli Azeri lì, hanno detto i funzionari locali. Il Sindaco di Chakaten, Ara Harutyunyan, ha detto al sito di notizie locale News.am di essersi recato a Kapan la mattina del 15 novembre ma non era sicuro di poter tornare indietro. “Non è nemmeno possibile arrivarci, nemmeno a piedi”, senza quella strada, ha detto. “Non so nemmeno come farò a tornare al villaggio. Ci sono scolari nel villaggio, come faranno ad arrivare a scuola?”. Nessuna delle restrizioni stradali è stata riportata ufficialmente da fonti azere, sebbene alcuni media azeri abbiano riportato la notizia, citando fonti armene.

Aliyev ha dichiarato anche: «In 44 giorni abbiamo trasformato l’impossibile in realtà. Abbiamo restituito ciò che era nostro e dimostrato che le nostre dichiarazioni e azioni hanno lo stesso valore. Verrà attuata la Dichiarazione del 9 novembre [Accordo trilaterale di cessate il fuoco], l’esito della guerra rimane invariato. Abbiamo creato una nuova realtà. L’Armenia e altri paesi devono riconciliarsi con questa realtà. La sicurezza nei territori liberati è assicurata, è in corso un monitoraggio continuo. La situazione è completamente sotto controllo. Passo dopo passo la pace verrà. Abbiamo una visione strategica per realizzare i nostri desideri e obiettivi».

Il pogrom di Sushi, 1920.

[3] Un secolo fa la violenza azera su Sushi

Un secolo fa, le orde della prima repubblica di Azerbajgian hanno tentato di risolvere il problema del Nagorno-Karabakh che era già stato inserito nell’agenda internazionale, usando la forza e l’uccisione di massa della popolazione civile. A partire dal 22-23 marzo 1920 e per almeno una decina di giorni, più di ventimila Armeni furono trucidati dai militari azeri o costretti a lasciare la Città di Sushi e tutta la parte armena fu rasa al suolo e incendiata. Le antiche mura di Sushi furono riempite con i corpi di donne e bambini. Sushi, un importante centro economico, spirituale e culturale della regione, chiamata all’epoca la “Parigi del Caucaso“, fu sottoposta a indicibili violenze nel più classico stile turco-azero.

Queste atrocità, commesse con una crudeltà senza precedenti, furono guidate da Khosrov Bey Sultanov, che in seguito, durante la seconda guerra mondiale, partecipò attivamente alla formazione della legione azera nei ranghi delle truppe naziste.

Dei circa 40.000 abitanti, la metà furono trucidati; decine di chiese e monumenti armeni furono distrutti. La furia genocida si estese anche ad altri territori dell’Artsakh. Tuttavia, il piano di rendere Artsakh una parte della prima repubblica di Azerbajgian con la spada e il fuoco fallì, a Sushi come in tutte le altre località nelle quali la violenza azera cercò di annientare la fierezza del popolo armeno e il diritto all’autodeterminazione. Tutta la popolazione armena dell’Artsakh valida (con l’aiuto anche di alcune milizie volontarie provenienti da Syunik/Zangezur in Armenia) allestì una strenua difesa e ricacciò indietro gli invasori mantenendo integra, sia pure a carissimo prezzo, la propria sovranità nazionale.

Nel mese di aprile 1920, il nono Congresso del popolo ancora una volta proclamò solennemente l’Artsakh come parte integrante dell’Armenia. Ora, un secolo dopo, rendiamo omaggio alla memoria di tutte le vittime innocenti e ribadiamo la determinazione del popolo armeno di Artsakh a vivere e a prosperare in una patria libera e in pace.

[4] Rapporto sulle uccisioni di civili da parte delle Forze armate azere nella guerra del 2020

Qualche settimana fa è stato rilasciato ufficialmente dall’Ufficio del Difensore civico per i diritti umani di Artsakh un rapporto sulle vittime civili armene nel corso del conflitto. Segue la presentazione in forma sintetica e tradotta in italiano, a cura dell’Iniziativa italiana per il Karabakh. La lettura di questo documento evidenzia la crudeltà e le atrocità commesse dagli Azeri in occasione della loro aggressione militare contro l’Artsakh. Uno spaccato terribile di quanto accaduto nel corso dell’aggressione contro gli Armeni. A fare le spese della crudeltà azera furono soprattutto vecchi e infermi che non poterono lasciare i loro villaggi.

Sezione 1. Informazioni generali sui crimini delle Forze armate dell’Azerbajgian che hanno provocato l’uccisione di civili in Artsakh

Questo rapporto riassume i casi di vittime civili causate dall’aggressione militare scatenata dall’Azerbajgian e dalla Turchia contro la Repubblica dell’Artsakh dal 27 settembre 2020, nonché uccisioni di civili imprigionati nelle zone passate sotto il controllo delle forze armate azerbajgiane. I casi sono introdotti con rilevanti brevi informazioni.

Dal 27 settembre 2020 al 27 settembre 2021, durante le attività conoscitive dello Staff del Difensore civico per i diritti umani di Artsakh, sono stati identificati 80 civili che sono stati uccisi dal Forze armate azere. 42 di loro sono stati uccisi a seguito di attacchi mirati, 38 in prigionia.

Sono stati registrati numerosi casi di tortura e mutilazione di cadaveri, sicuramente classificabili come morti civili. Il Difensore civico per i diritti umani di Artsakh ha anche registrato i casi di 163 civili feriti, la maggior parte dei quali causati da bombardamenti che hanno provocato la morte di altre persone.

Le circostanze di violazioni gravi, deliberate e sistematiche del diritto alla vita e di altri diritti della popolazione civile della Repubblica di Artsakh sono presentate nelle sezioni 2 e 3.

Uccisione di civili per luogo di residenza:
Regione di Hadrut 32
Regione di Martuni 14
Stepanakert 13
Regione di Askeran 9
Regione di Martakert 5
Regione di Shushi 5
Regione di Kashatagh 1
Repubblica di Armenia 1

Uccisione di civili per localizzazione:
Luogo di residenza 52
Spazio pubblico 15
Luogo di lavoro 1
In prigione azera 2

Uccisione di civili per circostanze di morte:
Bombardamenti a lungo raggio 42
In cattività 38

Uccisione di civili per genere:
Maschi 68
Femmine 12

Uccisione di civili per età:
Sotto i 18 anni 1
18-40 anni 15
41-62 anni 25
Sopra i 63 anni 39

Questo documento presenta solo i casi confermati su basi indiscutibili, ma il personale dell’Ufficio del Difensore civico per i diritti umani di Artsakh ha ricevuto informazioni incomplete su altri presunti casi, non ancora del tutto verificati.

Inoltre, al momento della pubblicazione del rapporto, sulla base delle attività di accertamento dei fatti del Difensore civico per i diritti umani di Artsakh, sono stati registrati circa 20 civili scomparsi, il cui destino è ancora sconosciuto.

Di seguito sono riportate le principali modalità di un’attività conoscitiva e di redazione della relazione:

  • I rappresentanti del Difensore civico ricevono regolarmente dati sui decessi dall’Ufficio di medicina legale e dagli ospedali.
  • I dati sono raccolti anche dalle forze dell’ordine, oltre che dal Servizio di emergenza di Stato e dall’Esercito di Difesa in particolare sui risultati delle operazioni di ricerca.
  • Per le verifiche vengano effettuate visite e chiamate alla leadership delle comunità e delle regioni per scoprire le circostanze degli incidenti e i dati delle vittime e dei loro familiari.
  • Le interviste sono condotte con i parenti delle vittime e possibili testimoni, vengono chiariti i dati anagrafici delle vittime e le circostanze della morte, si recuperano le foto delle vittime.
  • Si organizzano visite e si effettuano studi in loco.

A seguito dell’applicazione dei metodi citati è stato possibile raccogliere i dati presentati, per preparare le versioni pubbliche e chiudere del rapporto. Il rapporto definitivo ha aggiunto molte foto dei civili uccisi prima e dopo la loro morte. La relazione pubblica è stata preparata senza foto, per non mostrare immagini crudeli e sensibili.

La sezione 2 presenta le 42 vittime civili uccise da attacchi a lungo raggio delle Forze armate dell’Azerbajgian, compresi i casi di attacchi missilistici, bombardamenti, attacchi e spari di gruppi sovversivi.

La sezione 3 riassume i dati su 38 vittime civili che sono state uccise in prigionia in Azerbajgian o almeno sotto il loro controllo, attraverso violenza fisica, accoltellamento, decapitazione, tiro a distanza ravvicinata e altri mezzi diretti. Dato che sono stati trovati i corpi di alcuni degli uccisi molto tempo dopo la morte, in alcuni casi è diventato impossibile valutare in dettaglio le circostanze- della morte e le tracce dei delitti. Tuttavia, in alcuni casi, brevi informazioni sono state fornite anche dai risultati preliminari degli esami forensi.

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