L’archivio della Cosea (Commissione defunta della Santa Sede) fu copiato, trafugato e “depositato presso un notaio” e ai Promotori di Giustizia vaticani non interessano le dichiarazioni della reo confessa?

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Questa mattina, 8 gennaio 2022, avevamo già visto nella rassegna l’intervista a cura di Fabrizio d’Esposito con Francesca Immacolata Chaouqui [1], pubblicato oggi sul Fatto Quotidiano [QUI], quando un amico ce l’ha segnalato via WhatsApp: «Milady in gran spolvero», ovvero, l’eterno ritorno della “Papessa” (lei «rivendica» il soprannome, che le fu dato dal suo marito, socio al 20% nella sua società di pubbliche relazioni, mentre l’amico è più affezionato al racconto dei Tre Moschettieri di Alexandre Dumas). Nel titolo: «Io, vati lobbista d’oro, pronta per fare politica» (Toh! Ma non era già in politica da tempo… prima renziana e poi, con l’altro Matteo, leghista?).

Quando l’intervistata afferma, in riferimento alla sua condanna per lo scandalo Vatileaks 2: «Ho perso solo su un fronte. Ed è una cosa che non sopporto», l’intervistatore incalza: «E qual è?». Lei risponde: «Mi hanno fatto passare per una mignotta» (questo è un fatto che non ci ricordiamo, senno, colui/costei che l’avesse detto, sarebbe stato sotto processo per offese personali e calunnia). Ricorda d’Esposito: “La presunta notte con Monsignor Balda a Firenze”. E lei spiega: “Disse che dimenticai il baby doll in albergo. Ma lei mi ci vede in baby doll?”. Sinceramente, noi no. Ma l’ha affermato Balda, non noi. E noi non eravamo presente in quel albergo a Firenze.

Ormai, lo si sa da tempo, che si considera una gran furba. Sarà che l’ha appreso dall’Uomo Nero che Veste di Bianco, che disse di se stesso: «Sono un po’ furbo, so muovermi» (nella sua prima intervista alla carta stampata, concessa in agosto 2013 al Padre Antonio Spadaro, SI, per La Civiltà Cattolica). Il Tribunale vaticano ha sentenziato che ha tradito il suo Papa, trafugando l’archivio con le copie dei documenti riservati della Cosea [3], di cui era membro.

Dribbla le domande furbescamente, non risponde, risponde con delle domande o delle battute, e se risponde in modo diretto, per di più lo fa in modo arcano. Quando Fabrizio d’Esposito domanda: “Lei va ancora in Vaticano?”, la “vati-lobbista da 2 milioni” risponde: “Secondo lei se non avessi accesso al Vaticano starei ancora qua?”. Va a capire cosa vuole comunicare, la pierre-lobbista-comunicatore che “interpreta il lobbismo all’americana”. Oppure, cosa vuole comunicare il “comunicatore” (producendo dei video per i suoi clienti, dice), quando alla domanda: “Lei ha contatti con i Servizi segreti?”, risponde: “Lo direi a lei?”.

Ritorna anche ad accusare il Cardinale Angelo Becciu, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato al momento dello scandalo Vatileaks 2. Spiega al Fatto Quotidiano, in riferimento alla condanna a 10 mesi (sospesa per 5 anni), che le fu inflitta dal Tribunale vaticano nel 2016 per la «responsabilità criminale» della divulgazione della documentazione «certamente rimarchevole e ragguardevole per la convenienza e la funzionalità della Santa Sede» e di «natura riservata»: “Io misi solo in contatto Balda coi giornalisti. Volevo contrastare le manovre di Becciu contro di noi”. “Fu Becciu a farmi arrestare”.

Già dopo la prima udienza nel processo 60SA (Procedimento penale N. 45/2019 RGP) davanti al Tribunale Vaticano, il difensore del Cardinale Angelo Becciu, Avv. Fabio Viglione il 27 luglio 2021 comunicò, che il Cardinal Becciu «conferma, con dolore ma con fermezza, di aver dato mandato di denunciare per calunnia la Signora Francesca Immacolata Chaouqui, per le gravissime e completamente false dichiarazioni rilasciate nel corso delle indagini al Promotore di Giustizia, di cui ha potuto prendere cognizione soltanto da pochi giorni».

In ogni caso, il suo definire “arresto” è improprio: non fu mai arrestata. Invece, fu posta in stato di “fermo di polizia” per gli accertamenti del caso, accertamenti che si sono protratti fino alla mattina seguente al giorno del fermo stesso. In questo provvedimento non c’entra per niente l’allora Sostituto Becciu, che ne fu informato, non gli fu chiesto il parere e tantomeno l’autorizzazione per trattenere la Chaouqui.

A noi risulta, che è stata trattenuta e interrogata presso il Comando del Corpo della Gendarmeria SCV per molte ore. Probabilmente è stata invitata quella sera stessa alla collaborazione con gli organi giudiziari vaticani, poiché gli inquirenti hanno creduto ad una parte della sua versione (anche se fu comunque rinviata a giudizio e nel processo condannata a 10 mesi, con la sospensione per 5 anni). Lei ha presentato molte delle sue chat con Balda, che ne usciva molto male. Questa collaborazione è stata apprezzata dagli inquirenti. Dopo il lunghissimo interrogatorio, quella notte l’avrà passata in una stanza confortevole dei padri penitenzieri con la cena calda e la colazione abbondante servita in camera, per poi la mattina seguente parlare con il Promotore di Giustizia come da prassi. Lei è stata poi rilasciata e non posta in arresto e successiva detenzione, come invece è toccato a Balda. Tutto ciò si può ricondurre al fatto che il Promotore di Giustizia ha considerato la Chaouqui persona collaborativa e utile ai fini delle indagini. La sua collaborazione è continuata per molto tempo durante tutto l’arco del procedimento penale. Lei si è sempre resa reperibile e disponibile. In questo modo, tramite questa sorta di “collaborazione” e la gravidanza (che lo sapeva solo lei di essere incinta, pare era la prima settimana di gestazione), ha evitato l’arresto e la detenzione. Riteniamo di poter definire la Chaouqui una sorta di “pentita” e “collaboratrice di giustizia vaticana”, mai arrestata.

La foto qui sopra, a corredo dell’intervista sul Fatto Quotidiano online, è tutt’un programma, icona di costei che dice: “Si legge sempre di meno, facciamo solo video. Il futuro del learning è guardare e ascoltare”. Noi abbiamo guardato la foto e letto l’intervista. Un video non c’era.

Per essere sincero, non sarebbe valso il disturbo, se non fosse per averci ricordato, la reo confessa [2], che – mentre era membro della Cosea (quindi, sotto giuramento, tenuta al segreto d’ufficio e al segreto pontificio, come lei stessa ha ricordato ancora una volta nell’intervista) – ha trafugato l’archivio della Cosea, fatto copiare e portato via in delle valigie depositato “in sicurezza” presso un notaio, violando le relative disposizioni del Regolamento Generale della Curia Romana. Quando d’Esposito le fa presente: «Una sua passione è raccogliere informazioni», lei risponde: «Ma io non faccio dossieraggio. Uso le notizie che ho». Ecco, conferma quella che nega. Poi, la prossima domanda: «Tiene sempre dal notaio gli altri fascicoli della Cosea?». La risposta – penalmente rilevante – della rea confessa: «Certo. E un commissario pontificio non è mai sciolto dal segreto. Quindi non dico più nulla».

All’inizio di dicembre 2020 il TgCom24 ha dato la notizia, che la Guardia di finanza avrebbe trovato timbri e documenti del Vaticano e della Santa Sede in casa della Chaouqui [QUI] (quindi, il materiale non si trovava presso un notaio…).

Documenti del Vaticano su Papa Francesco, sull’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica-APSA (la Banca Centrale dello Stato della Città del Vaticana), faldoni sul caso 60A (l’acquisto dalla Segreteria di Stato di Sua Santità del palazzo al numero 60A di Sloane Avenue a Londra, al centro del processo penale che sta scuotendo i Sacri Palazzi, iniziato e dopo cinque udienza non ancora partito, che vede il Cardinal Becciu e altri nove più quattro società come imputati). E poi timbri con gli stemmi della Santa Sede, sigilli pontifici e pergamene pregiate con in filigrana la parola “Secretum”, utilizzate generalmente dalla Segreteria di Stato o dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. È quanto avrebbero trovato gli uomini del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Roma, dopo una perquisizione negli uffici e nell’abitazione di Francesca Immacolata Chaouqui, allora indagata per ricettazione nell’inchiesta della Procura di Roma su alcune maxicommesse da 72 milioni di euro per l’acquisto di 801 milioni di mascherine dalla Cina durante la prima ondata dalla pandemia di Sars-CoV-2 (di cui si era subito dichiarata estranea).

I finanziari non avrebbero trovato documenti riguardanti società cinesi, ma, in compenso, numerose carte vaticane, sigilli e timbri della Santa Sede, distinte, bilanci, lettere, un quaderno di appunti con versi di poesie ripetuti centinaia di volte e che contenevano, attraverso la sequenza di Fibonacci, un codice per aprire uno scrigno, antiche copie della Divina Commedia e altri documenti finanziari risalenti anche all’epoca in cui la Chaouqui era membro della Cosea.

A quanto pare – scrisse il TgCom24, però, altre copie di quei documenti, insieme a materiale ad uso esclusivo della Santa Sede, sarebbe rimasto in possesso della Chaouqui dai tempi del suo incarico in Vaticano, nonostante il Regolamento Generale della Curia Romana, in vigore dal 1999, vieti esplicitamente al personale in servizio di “asportare documenti originali, fotocopie, copie elettroniche o altro materiale d’archivio e di lavoro riguardante l’Ufficio e tenere fuori dall’ufficio note o appunti privati circa le questioni che si trattano nei Dicasteri”.

Rimane comunque il dubbio – osservò il TgCom24 -, in particolare per i timbri, sulla loro eventuale autenticità: Chaouqui nel 2016 era stata condannata per falso, tentata truffa e truffa aggravata, pena patteggiata ad otto mesi, per aver utilizzato fino al 2014 il pass di una zia disabile morta nel 2008 con l’obiettivo di attraversare con l’auto la Ztl nel centro storico di Roma. Le indagini evidenziarono che vennero utilizzati anche dei timbri falsificati per rendere credibili i rinnovi dei documenti della zia defunta.

Rebus sic stantibus, ripetiamo il nostro dubium: non è che i Promotori di giustizia vaticani dovrebbero indagare e aprire un procedimento in riferimento all’archivio della Cosea trafugato, aggiungendo la questione dei timbri e documenti del Vaticano e della Santa Sede rinvenuto a casa della reo confessa. Oppure, ce l’hanno già fatto e non è stata fatta uscire questa notizia (come succede usualmente)? Non dovrebbero avere problemi a scrivere qualche rogatoria al Ministero degli Esteri italiano (visto quello che hanno combinato per il caso 60SA…). Gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo… intanto continuiamo a battere il chiodo. E se poi venisse arrestata – facendo un’altra volta fa la passatrice nello Stato della Città del Vaticano per andare a comprare fotografie e video – potrà dare la colpa a noi. Saremmo in buona compagnia, color porpora.

Battuta a parte, siamo in grado di confermare, che il 23 maggio 2014, il giorno dopo lo scioglimento della Cosea, quando la Chaouqui si presentò impavida a Porta Sant’Anna a bordo della propria Smart per accedere al Vaticano, fu fermato da un gendarme in servizio per i consueti controlli di routine. Dopo gli accertamenti a conferma dell’identità della persona, verificando che il titolo di accesso allo Stato della Città del Vaticano e di libero transito era scaduto con lo scioglimento della Cosea, la Chaouqui fu condotta presso il Comando del Corpo della Gendarmeria, dove gli fu ritirato suo titolo di accesso al Vaticano.

Dopo lo scioglimento della Cosea, la Chaouqui ogni qualvolta che è tornata in Vaticano è perché è stata convocata dagli organi inquirenti, che hanno avviato il processo che l’ha vista protagonista. Sicuramente la Chaouqui non è entrata in Vaticano per sua libera scelta con piena libertà di farlo. Questo è poco ma sicuro.

Non abbiamo notizie che riguardano l’ipotetica restituzione alla Chaouqui del titolo di accesso allo Stato della Città del Vaticano. Se invece questo fosse avvenuto, rimaniamo in attesa di poter visionare quel titolo, che la Chaouqui nell’intervista concessa al Fatto Quotidiano fa intendere di possedere («Secondo lei se non avessi accesso al Vaticano starei ancora qua?»). In questo caso sarebbe necessario poter conoscere anche la motivazione perché sarebbe avvenuta la restituzione, visto che non ci risulta che la Chaouqui ricopre ancora un ruolo presso lo Stato della Città del Vaticano, la Santa Sede o un’Istituzione collegata. Nel contempo sarebbe inevitabile poter ricevere informazioni anche su chi questo ipotetico titolo avrebbe concesso.

In questo ipotetico caso, l’ultima informazione diventerebbe di cruciale importanza, perché rispetto a quanto può essere definito un bordello – usando un eufemismo -, di un fatto siamo certi: la colpa non è della Chaouqui. La responsabilità civile, penale ed ecclesiale è di chi questa persona ha selezionata e ha voluta a lavorare per la Santa Sede, nella Cosea, per la breve durata della sua esistenza. Ma se il Vaticano negli ultimi otto anni è diventato un bordello – sempre usando l’eufemismo -, che vede precedenti eguali solo in epoca Borgia, qualcosa vorrà pur dire.

Se qualcuno le ha ridato il tesserino di entrata nello Stato della Città del Vaticano l’ha fatto contravvenendo ad istruzioni esplicite di Papa Francesco, che ordinò di non farla più entrare.

Note

[1] Francesca Immacolata Chaouqui, ex membro della Cosea, il 7 luglio 2016 fu condannata nel processo Vatileaks 2. Nella sentenza depositata il 22 dicembre 2016 si legge di una fitta rete di rapporti lavorativi e personali, grazie ai quali se da una parte «non è credibilmente individuabile l’esistenza di una struttura associativa criminosa», dall’altra emerge la «responsabilità criminale» della divulgazione della documentazione «certamente rimarchevole e ragguardevole per la convenienza e la funzionalità della Santa Sede» e di «natura riservata» da parte di Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, principale protagonista dello scandalo di Vatileaks 2, insieme alla Chaouqui, unica altra condannata alla fine del lungo dibattimento, a 10 mesi con la sospensione per 5 anni.

[2] Per non lasciare un dubium al riguardo dell’espressione reo confessa: il termine reo deriva da una parola latina che ha il significato di colpevole. Reo confesso/a, quindi, è colui/costei che ammette di aver commesso un fatto. Questa espressione viene usata tipicamente nei casi di violazione del codice penale.

[3] La Cosea (Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa) venne istituita da Papa Francesco con chirografo del 18 luglio 2013, al fine di raccogliere informazioni, in cooperazione con il Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, con lo scopo di preparare le riforme delle istituzioni curiali, finalizzate “ad una semplificazione e razionalizzazione degli Organismi esistenti e ad una più attenta programmazione delle attività economiche di tutte le Amministrazioni vaticane”. La Cosea doveva “offrire il supporto tecnico della consulenza specialistica ed elaborare soluzioni strategiche di miglioramento, atte ad evitare dispendi di risorse economiche, a favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi, a perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, ad operare con sempre maggiore prudenza in ambito finanziario, ad assicurare una corretta applicazione dei principi contabili ed a garantire assistenza sanitaria e previdenza sociale a tutti gli aventi diritto”. Papa Francesco ha soppresso la Cosea il 22 maggio 2014.

“Un posto a Francesca o diventa pericolosa”: i ricatti al monsignore del marito di Chaouqui
Nelle carte dell’accusa i messaggi di Lanino a Balda: “Se non le date un ruolo nei media vaticani saranno guai”
di Corrado Zunino
La Repubblica,5 dicembre 2015


L’immagine che si è costruito – il ricattatore – Corrado Lanino la conferma a ogni atto. L’ingegnere informatico marito di Francesca Immacolata Chaouqui, che lei ha voluto spendere come un “marito di copertura” agli occhi e alle orecchie di monsignor Lucio Vallejo Balda, il 6 maggio 2014 – è agli atti del processo Vatileaks sulla fuga di notizie riservate – scrive questo messaggio sullo smartphone di Balda, capo della commissione Cosea e referente gerarchico di Francesca Chaouqui: «Monsignore, per coscienza e amore per la chiesa le dico che la situazione sta peggiorando».

“NON RIESCO A CONTROLLARLA”

In quelle settimane la commissione che indaga sulle finanze del Vaticano ha terminato il suo compito e Francesca, che coltivava il sogno di costruire la nuova comunicazione del Vaticano, è fuori da tutto. Non è nella nuova Segreteria economica – da dove è stato escluso anche Balda – e soprattutto non è nella Segreteria della comunicazione, che poi sarà affidata a monsignor Mario Viganò. La Chaouqui è senza un ruolo e il marito scrive a Balda un lungo sms: «Francesca è furiosa. Non so i fatti perché non vuole, ma so che ieri ha visto i suoi amici del governo senza dirmi niente». La minaccia è partita. «Sono preoccupato e sono sicura che lei l’ha capito, non lavora solo per Ernst&Young, ma ha molti contatti che può usare strategicamente». È quello che tutti dicono della Chaouqui, anche l’inchiesta della Procura di Roma: la “pierre” usa il suo ruolo in Vaticano per minacciare rivelazioni, attaccare nemici, scalare nuovi scalini. Continua il messaggio di Lanino a Balda: «Mettere così alla porta e trattare una persona male, umiliarla quando ha questi contatti e tutte quelle informazioni non solo di Cosea è pericoloso». Il marito fa capire che Francesca Chaouqui conosce segreti del Vaticano depositati in altre stanze, rispetto a quelle che quotidianamente frequenta. «Io l’ho tenuta buona una settimana, ora non riesco più. Non so cosa abbia in mente. Non conviene che la mettete in questa cosa dei media anche solo per sei mesi anziché dopo dover risolvere un guaio peggiore?». Nel gioco delle parti organizzato con la compagna, l’informatico scrive al religioso: «Io posso controllarla, ma non posso impedire niente. La informo passo passo se scopro cosa vuole fare». Balda risponde: «Si può screditare da sola…». E Lanino: «Non uscirà che è stata lei, non lo farà adesso, ma qualcosa farà se la vogliono fuori. Fatelo tra sei mesi».

Il 27 aprile 2014 la Chaouqui e Balda erano insieme sulla terrazza della Prefettura degli Affari Economici per il party con le olivelle e le ostie consacrate [distribuite da Balda. V.v.B.] per la canonizzazione di Papa Wojtyla [e di Papa Roncalli. V.v.B.]. Nove giorni dopo sono già alle minacce, via marito. Nicola Maio, segretario di Balda, nel corso del suo interrogatorio ha detto ai promotori di giustizia: «La Chaouqui instaurò un buon rapporto con monsignor Robert D. Murphy, segretario particolare del Segretario di Stato Pietro Parolin, e con Mark Withoos, segretario del Cardinale Pell». Il nemico di Balda. «Vantava un ottimo rapporto anche con il segretario del Cardinal Bertello». Il 9 luglio 2015, analizzando i dati sui fornitori in Vaticano, Monsignor Balda scrive al giornalista Gianluigi Nuzzi: «Quella è un’azienda molto chiacchierata, lavora molto con il Vaticano… È un contenitore che fa lavorare altri in condizioni di sfruttamento… Se la proprietà paga 100, chi poi dà effettivamente il lavoro prende 30». Due settimane dopo: «Questi hanno preso un hotel sull’ Aurelia, credo de Propaganda Fide, per derubare in Giubileo». Nel memorandum dell’8 novembre scorso il monsignor spagnolo detta, a proposito dei segreti rivelati: «Quando ho dato la password a Nuzzi l’ho fatto in modo del tutto spontaneo. Probabilmente non ero nelle condizioni di piena lucidità». Ieri il giornalista ha rivelato di aver scritto, il 25 novembre, questo sms al premier Renzi: «Come sai con un collega italiano siamo processati in uno stato estero per reati non previsti dal nostro ordinamento. Il tuo governo tace». Oggi ha spiegato: «Da allora ancora silenzio» [i due giornalisti furono assolti. V.v.B.].

Vaticano, festa con i vip per i Papi santi
L’ira di Bergoglio: “Chi ha pagato?”

Il Pontefice pretende chiarimenti sul buffet organizzato sulla terrazza della prefettura per la canonizzazione di Wojtyla e Roncalli
TgCom24, 22 maggio 2014

“Chi ha pagato quel buffet?”. Papa Francesco, il pontefice che ha riportato al centro della Chiesa povertà e sobrietà, non ha alcuna intenzione di chiudere un occhio sulla festa vip organizzata sul terrazzo della Prefettura degli Affari economici del Vaticano in occasione della canonizzazione di Wojtyla e Roncalli del 27 aprile. Bergoglio chiede chiarimenti: sul banco degli imputati Francesca Immacolata Chaouqui.

Sarebbe stata lei, membro della discussa commissione economica per la revisione economica, a organizzare il party.

Il suo nome sarebbe stato fatto dal Presidente della Prefettura stessa, il Cardinale Giuseppe Versaldi che, respingendo qualsiasi responsabilità, ha svelato la delusione di Bergoglio: “Papa Francesco non è rimasto contento, per usare un eufemismo”.

La Chaouqui, tuttavia, smentisce a sua volta di essere l’organizzatrice dell’evento che ha così fatto arrabbiare il pontefice. “Non ho chiamato nessuna azienda, non ho gestito né parterre né inviti. Ha organizzato tutto la Prefettura”, ha dichiarato al settimanale L’Espresso, che pubblica alcune missive.

E su Twitter si difende con una serie di post: “Oggi sono in tutte le edicole. Con le solite bugie. Sorrido e aspetto. Vediamo quando passerà”. E ancora: “Io avanti per la mia strada al fianco di @Pontifex_it” (il profilo Twitter del Papa, ndr).

“Guerra santa contro il buffet dei vip 18mila euro per sedie e panini”

Di certo, a quel party, lei c’era. Tanto che, proprio quel giorno, ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto: “Io non ho invitato nessuno, ho accolto chi mi ha chiesto di assistere alla cerimonia”, si legge in uno dei commenti al post.

Gli invitati – Sulla terrazza della prefettura, con la Chaouqui, c’erano tante persone, tra cui molti vip. Tra gli altri, l’imprenditore vicino al premier Renzi, Marco Carrai, il presidente dello Ior, Ernst Von Freyberg, il responsabile delle relazioni esterne di Eni, Leonardo Bellodi, Bruno Vespa, Maria Latella, Antonio Preziosi e altri ancora.

Coinvolti degli sponsor? – Papa Francesco vuole sapere tutto di quella festa. Chi ha organizzato e, soprattutto, chi ha pagato. Il Cardinal Versaldi ha così contattato diverse aziende: “Egregio, Le sarei grato se potesse darmi qualche riscontro sia circa le persone eventualmente presentatesi a lei sia circa l’importo richiesto e a quale scopo specifico. Come Lei può intendere, si tratta di un fatto grave in cui la Prefettura da me presieduta è stata coinvolta a sua insaputa e in cui l’immagine della Santa Sede risulta compromessa”.

Si parla di un contributo parecchio oneroso, fino a 18mila euro. E di inviti con tanto di stemma del Vaticano contraffatto. Un “giallo” che, secondo alcune fonti, avrebbe così deluso Papa Francesco da portarlo alle lacrime.

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