Papa Francesco chiede alla Curia la testimonianza

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Ieri papa Francesco ha augurato il buon Natale alla curia ed ai dipendenti, affermando che essa è “il primo organismo chiamato alla testimonianza, e proprio per questo acquista sempre più autorevolezza ed efficacia quando assume in prima persona le sfide della conversione sinodale alla quale anch’essa è chiamata”.

Il papa ha sottolineato che il mistero del Natale consiste nel farsi carne di Dio: “Ma se dovessimo esprimere tutto il mistero del Natale in una parola, credo che la parola umiltà è quella che maggiormente ci può aiutare. I Vangeli ci parlano di uno scenario povero, sobrio, non adatto ad accogliere una donna che sta per partorire.

Eppure il Re dei re viene nel mondo non attirando l’attenzione, ma suscitando una misteriosa attrazione nei cuori di chi sente la dirompente presenza di una novità che sta per cambiare la storia. Per questo mi piace pensare e anche dire che l’umiltà è stata la sua porta d’ingresso e ci invita, tutti noi, ad attraversarla.

Mi viene in mente quel passo degli Esercizi: non si può andare avanti senza umiltà, e non si può andare avanti nell’umiltà senza umiliazioni. E Sant’Ignazio ci dice di chiedere le umiliazioni”.

Ha parlato di umiltà attraverso la storia di Naaman, che da lebbroso ascolta il profeta Eliseo: “La storia di Naaman ci ricorda che il Natale è un tempo in cui ognuno di noi deve avere il coraggio di togliersi la propria armatura, di dismettere i panni del proprio ruolo, del riconoscimento sociale, del luccichio della gloria di questo mondo, e assumere la sua stessa umiltà.

Possiamo farlo a partire da un esempio più forte, più convincente, più autorevole: quello del Figlio di Dio, che non si sottrae all’umiltà di ‘scendere’ nella storia facendosi uomo, facendosi bambino, fragile, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia.

Tolte le nostre vesti, le nostre prerogative, i ruoli, i titoli, siamo tutti dei lebbrosi, tutti noi, bisognosi di essere guariti. Il Natale è la memoria viva di questa consapevolezza e ci aiuta a capirla più profondamente”.

Per il papa l’umiltà consiste nello stare nel proprio ‘posto’ con dignità: “L’umiltà è la capacità di saper abitare senza disperazione, con realismo, gioia e speranza, la nostra umanità; questa umanità amata e benedetta dal Signore. L’umiltà è comprendere che non dobbiamo vergognarci della nostra fragilità. Gesù ci insegna a guardare la nostra miseria con lo stesso amore e tenerezza con cui si guarda un bambino piccolo, fragile, bisognoso di tutto.

Senza umiltà cercheremo rassicurazioni, e magari le troveremo, ma certamente non troveremo ciò che ci salva, ciò che può guarirci. Le rassicurazioni sono il frutto più perverso della mondanità spirituale, che rivela la mancanza di fede, di speranza e di carità, e diventano incapacità di saper discernere la verità delle cose”.

All’umiltà è collegato il ricordare capace di generare: “Ricordare significa etimologicamente ‘riportare al cuore’, ri-cordare. La vitale memoria che abbiamo della Tradizione, delle radici, non è culto del passato, ma gesto interiore attraverso il quale riportiamo al cuore costantemente ciò che ci ha preceduti, ciò che ha attraversato la nostra storia, ciò che ci ha condotti fin qui. Ricordare non è ripetere, ma fare tesoro, ravvivare e, con gratitudine, lasciare che la forza dello Spirito Santo faccia ardere il nostro cuore, come ai primi discepoli”.

Il generare del ricordo apre al futuro: “Ma affinché il ricordare non diventi una prigione del passato, abbiamo bisogno di un altro verbo: generare. L’umile (l’uomo umile, la donna umile) ha a cuore anche il futuro, non solo il passato, perché sa guardare avanti, sa guardare i germogli, con la memoria carica di gratitudine.

L’umile genera, invita e spinge verso ciò che non si conosce. Invece il superbo ripete, si irrigidisce (la rigidità è una perversione, è una perversione attuale) e si chiude nella sua ripetizione, si sente sicuro di ciò che conosce e teme il nuovo perché non può controllarlo, se ne sente destabilizzato… perché ha perso la memoria”.

E’ un invito a lasciarsi generare dal Natale: “In conclusione desidero augurare a voi e a me per primo, di lasciarci evangelizzare dall’umiltà, dall’umiltà del Natale, dall’umiltà del presepe, della povertà ed essenzialità in cui il Figlio di Dio è entrato nel mondo.

Persino i Magi, che certamente possiamo pensare venissero da una condizione più agiata di Maria e Giuseppe o dei pastori di Betlemme, quando si trovano al cospetto del bambino si prostrano. Si prostrano. Non è solo un gesto di adorazione, è un gesto di umiltà. I Magi si mettono all’altezza di Dio prostrandosi sulla nuda terra…

Cari fratelli e sorelle, facendo memoria della nostra lebbra, rifuggendo le logiche della mondanità che ci privano di radici e di germogli, lasciamoci evangelizzare dall’umiltà del Bambino Gesù. Solo servendo e solo pensando al nostro lavoro come servizio possiamo davvero essere utili a tutti”.

Mentre nel fare gli auguri ai dipendenti il papa ha sottolineato la necessità dell’occupazione: “E per quanto riguarda il lavoro, come vi dicevo un anno fa, abbiamo cercato di garantire l’occupazione; ci siamo impegnati a non lasciare nessuno senza lavoro.

Certo, la gestione del periodo di chiusura non è stata facile; so che c’è stato qualche problema, lo so; spero che si possano trovare soluzioni soddisfacenti attraverso il dialogo, cercando di venirsi incontro, sempre nel rispetto dei diritti dei lavoratori e del bene comune”.

Infine ha sottolineato che la famiglia è il luogo in cui si manifesta la Provvidenza di Dio: “Come ci insegna la storia di Giuseppe e Maria, la famiglia è il luogo privilegiato in cui si sperimenta la Provvidenza di Dio.

Perciò voglio augurare anche a voi, a ciascuna delle vostre famiglie, proprio questo: di fare esperienza della mano paterna di Dio che guida i nostri passi sulle sue vie, per il bene degli sposi, per il bene dei figli, per il bene di tutta la famiglia.

Non sempre i disegni di Dio sono chiari; spesso si manifestano con il tempo, richiedono pazienza; richiedono soprattutto fede, tanta fiducia che Dio vuole solo e sempre il bene, il maggior bene per noi e i nostri cari. E allora bisogna fare come san Giuseppe: abbandonarsi a Dio (questo significa il sonno) per ricevere i suoi messaggi”.

(Foto: Santa Sede)

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