Caso Lisiński. Il Papa ha baciato le mani di un imbroglione. Corte d’appello di Łódź: le false accuse di pedofilia a un sacerdote furono menzogne diffamatorie e calunnie infondate

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L’11 ottobre 2021, la Corte d’appello di Łódź ha emesso la sentenza definitiva nel caso di Marek Lisiński contro Don Zdzisław Witkowski. La causa si è trascinato per quasi 11 anni e alla fine il presunto abusatore è stato assolto di ogni addebito in riferimento alle presunte molestie sessuali di cui fu accusato. La settimana scorsa, il 15 dicembre 2021, la Corte ha pubblicato la motivazione della sentenza, con grande risalto sulla stampa polacca. La sentenza della Corte ha confermato che Marek Lisiński, uno dei co-fondatori ed ex-Presidente della ormai defunta Fondazione “Nie Lękajcie Się” (Non Abbiate Paura), che avrebbe dovuto aiutare le vittime di reati sessuali commessi da sacerdoti in Polonia, era un imbroglione.

Aula Paolo VI, Udienza generale del 20 febbraio 2019. Papa Francesco bacia le mani di Marek Lisiński.

Le foto e il video che ritraggono Papa Francesco che bacia le mani di Marek Lisiński, che gli fu presentato come presunta vittima di abusi sessuali da parte di un sacerdote, il 20 febbraio 2019 hanno fatto il giro del mondo. Poi, le pubblicazioni dei giornalisti, difficili da sospettare di collusione, hanno minato la credibilità dell’eroe di questo avvenimento.

Nonostante lo scandalo del caso Lisiński scoppiato a cavallo tra maggio e giugno 2019, con gli articoli di Sebastian Karczewski, Caporedattore del mensile Non Possumus. Imperatyw per Nasz Dziennik e di Katarzyna Surmiak-Domańska e Katarzyna Włodkowska per Gazeta Wyborcza, che hanno svelato con precisione le frodi del suo ex-Presidente, la Fondazione “Non Abbiate Paura” ha continuato a funzionare ancora per un po’ di tempo.

Dopo le dimissioni di Lisiński il 29 maggio 2019, Marek Mielewczyk, uno dei co-fondatori della Fondazione, ha assunto le funzioni di Presidente. Il Consiglio era composto da Joanna Scheuring-Wielgus, deputata della coalizione politica “Nuova Sinistra”, ex membro del partito liberal-libertino “Adesso!”, conosciuta per le sue prese di posizione contro la Chiesa, attivista pro-gay e pro-aborto; Anna Frankowska, avvocato; Agata Płachecka; e Marcin Szewczyk. Alla fondazione collaborava anche Agata Diduszko-Zyglewska, assessore e giornalista di Varsavia, femminista militante legata al movimento dell’estrema sinistra radicale “Critica Politica”, organizzatrice delle Giornate dell’Ateismo, si batte per eliminare l’insegnamento della religione nelle scuole. La Fondazione ha ancora partecipato alla preparazione del disegno di legge civica sulla “Commissione verità e risarcimento per la pedofilia del clero”, ha continuato a lavorare con il gruppo di sostegno “Centrum Barbara Blaine” e con avvocati delle vittime. Poi, nel settembre 2019 il Consiglio della Fondazione, in occasione della pubblicazione del risultato dell’audit esterno che era stato commissionato, ha informato che la Fondazione sarebbe stata liquidata, perché “il numero di errori e ambiguità era troppo grande per continuare”. Il revisore esterno ha messo in discussione le spese della Fondazione dal 1° gennaio 2014 al 31 maggio 2019 per un importo di circa 120.000 PLN (circa 25.000 Euro) e ha anche rilevato che nella Fondazione mancava il controllo interno e che i libri contabili venivano tenuti in modo irregolare.

Per anni portavoce delle vittime del crimine della pedofilia da parte di sacerdoti della Chiesa Cattolica Romana in Polonia, Lisiński ha mentito sul suo passato e ha accusato falsamente Don Zdzisław Witkowski di molestie sessuali. Con questa sentenza dell’11 ottobre 2021 e la pubblicazione delle motivazioni del 15 dicembre 2021, la Corte d’appello di Łódź ha dato ragione a quanto due anni fa avevano sostenuto Nasz Dziennik e Gazeta Wyborcza, confermando le conclusioni delle loro inchieste in riferimento alla frode di Marek Lisiński.

Con la sua sentenza, la Corte d’appello di Łódź ha impugnato la precedente sentenza del Tribunale distrettuale di Płock e ha respinto la richiesta di Lisiński per un risarcimento di 1.000.000 PLN (circa 216.000 Euro) alla Diocesi di Płock, alla Parrocchia di Korzenie e a Don Zdzisław Witkowski. Invece, ha assegnato circa 1.500 PLN (circa 325 Euro) a titolo di risarcimento e circa 11.000 PLN (circa 2.400 Euro) a titolo di spese legali a Don Witkowski, che ora sta valutando ulteriori azioni legali contro Lisiński.

La Corte ha stabilito che le accuse di Lisiński di abuso sessuale da parte di Don Witkowski erano inaffidabili. Secondo la Corte, Don Witkowski – che ha negato gli abusi sessuali fin dall’inizio – ha anche dimostrato che Lisiński non era mai stato un chierichetto. Durante il processo Lisiński non ha potuto provare nemmeno di esserlo stato, mentre Don Witkowski ha presentato testimonianze credibili che confermavano le sue parole.

Con la sentenza definitiva, Lisiński ha perso la causa che ha intentato contro il sacerdote, accusandolo falsamente di aver abusato di lui sessualmente quando era un ragazzo, con lo scopo principale di ottenere benefici economici. Dopo aver analizzato, tra altro, le precedenti testimonianze di Lisiński ai Tribunale vescovili e distrettuali di Płock, la Corte è giunto alla conclusione che, pur riferendosi allo stesso incidente, Lisiński ha presentato tre versioni diverse. Tali profonde discrepanze di così ampia portata nella presentazione degli stessi eventi “non possono essere spiegate alla luce dei principi della conoscenza e dell’esperienza di vita, che devono portare alla conclusione che le affermazioni del ricorrente sono inaffidabili”, ha scritto la Corte d’appello di Lodz nella motivazione della sentenza. Quindi, la Corte ha stabilito che il sacerdote Zdzisław Witkowski è innocente e che le molestie sessuali di cui Marek Lisiński lo ha accusato non hanno mai avuto luogo.

Ma ritorniamo dai fatti. Nel 2010 Marek Lisiński ha notificato alla Curia vescovile di Płock, che a partire dalla primavera del 1981, come chierichetto all’età di 13 anni, era stato vittima di molestie sessuali da parte di Don Zdzisław Witkowski, Parroco di San Valentino nel suo villaggio natale Korzenie, vicino a Płock. Ha parlato dei dettagli con riluttanza, anche se i giornalisti si aspettavano che la persona che parlava a nome delle vittime, avrebbe usato la sua storia per pubblicizzare le attività della Fondazione. Non è successo. Nel novembre 2018, alla domanda sulle molestie, Lisiński ha risposto al giornalista di Onet, Piotr Olejarczyk: «Avevo 13 anni allora. Questi non sono ricordi facili per me, ma devo parlarne. Poi le altre vittime sanno che non sono sole. Più se ne parla, meglio la società vede che il problema della pedofilia nella Chiesa non sono casi individuali».

Mons. Piotr Libera (Szopienice, 20 marzo 1951), Vescovo di Płock dal 2007. Dottore in lettere classiche e cristiane antiche. Segretario del Nunzio Apostolico in Polonia, Arcivescovo Józef Kowalczyk (1989-1997); Vescovo ausiliare di Katowice (1997-2007); Segretario generale della Conferenza Episcopale Polacca (1998-2007).

Nel 2011, di concerto con la Congregazione per la Dottrina della Fede, il Vescovo di Płock, Mons. Piotr Libera ha avviato il processo canonico davanti al Tribunale diocesano. Un perito psicologo nominato dal tribunale affermò che “non esistono presupposti psicologici sufficienti per sostenere la veridicità di tali accuse” nei confronti del sacerdote. Conclusione: “Riconoscimento che Don Witkowski non ha commesso gli atti a lui imputati nell’atto d’accusa”.

Tuttavia, nel dicembre 2013, il Vescovo di Płock ha emesso un decreto in cui ha imposto a Don Witkowski una serie di sanzioni, tra cui il divieto di svolgere il ministero sacerdotale per un periodo di 3 anni e il divieto a vita di lavorare con i bambini.

Ma Lisiński voleva anche un risarcimento finanziario e a seguito del riconoscimento della colpevolezza del sacerdote da parte di Mons. Libera. All’inizio del 2014 scrisse una lettera al Cancelliere della Curia vescovile di Płock: “Se il Vescovo fosse pronto a pagarmi un risarcimento di 200.000 PLN (circa 43.000 Euro) per terapia, danni morali e psicologici, sono pronto a rinunciare alle mie pretese future e persino a ritirarmi dall’attività pubblica nella Fondazione”.

La Curia rifiutò. Lisiński ha intentato una causa contro Don Witkowski, ma alla prima udienza del maggio 2015, il Tribunale ha respinto la domanda per prescrizione.

Così, Lisiński ha intentato davanti al Tribunale distrettuale di Płock una causa civile contro la Diocesi di Płock, la Parrocchia di Korzenie e Don Zdzisław Witkowski, chiedendo 1.000.000 PLN (circa 216.000 Euro) a titolo di risarcimento. Quella volta il Tribunale era soddisfatto dell’accusa mossa da Marek Lisiński e del Decreto emesso dal Vescovo Libera. Il Giudice ritenne che “l’attore non era in grado di presentare prove personali” poiché nessuno dei testimoni aveva confermato la versione di Lisiński in Tribunale. Inoltre, quando dei testimoni hanno contestato la sua versione, il Giudice ha trovato le testimonianze “inutile per la soluzione del caso”. Tuttavia, il Giudice si è basato sul Decreto del Vescovo di Płock e lo ha ritenuto credibile. Quindi, la prima sentenza nel caso Marek Lisiński contro Don Zdzisław Witkowski è stata emessa il 7 maggio 2018, riconoscendo colpevole il sacerdote, obbligandolo soltanto ad inviare una lettera di scuse alla presunta vittima. Sia Witkowski che Lisiński fecero appello.

Marek Lisiński.

«”Il racconto di Zdzich” è questo: non ha mai molestato Marek Lisiński», ha dichiarato la presunta vittima in una lunga intervista di 12 pagine a cura di Marta Glanc e Szymon Piegza per Onet. Il testo fu inviato il 26 settembre 2019 a Lisiński per l’autorizzazione. Ha risposto che potevano farne quello che volevano ed è stata pubblicato il 13 marzo 2020. «Se tutta questa cosa fosse una bugia – ha spiegato Lisiński -, la Chiesa mi distruggerebbe subito. Nessuno affronterebbe nemmeno questo argomento. Sul caso hanno indagato non solo Mons. Libera, ma anche rappresentanti della Congregazione per la Dottrina della Fede. Sono stato anche visitato da periti del Tribunale che hanno confermato che frequento la terapia».

Tuttavia, Don Witkowski ha insistito sempre sulla sua versione dei fatti. Come ha risposto a Onet Piotr Feliniak, Portavoce del Tribunale distrettuale di Łódź: “L’imputato Zdzisław W. ha impugnato la sentenza nella parte che includeva la domanda in cui il Tribunale ha ordinato di scusarsi con l’attore [Marek Lisiński], perché sostiene costantemente che i comportamenti contestati dall’attore non si sono mai verificati. Sostiene, tuttavia, che l’attore ha preso in prestito denaro da lui per le cure, e quando l’imputato ha chiesto la loro restituzione, lo ha accusato di molestie».

La Corte d’appello di Łódź, all’udienza del 17 gennaio 2020 decise che avrebbe richiesto la documentazione. «Questi fascicoli contengono dichiarazioni che confermano il fatto del prestito cui fa riferimento l’imputato. La Corte d’appello, dopo aver letto gli atti del Tribunale diocesano e averli allegati, prenderà ulteriori decisioni sul caso», si legge in risposta alle domande di Onet. Quale documentazione voleva il Tribunale? Si trattava in sostanza della ricevuta che confermava il fatto del prestito ricevuto da Don Witkowski. Il documento è stato visionato dai giornalisti di Gazeta Wyborcza, che ne hanno parlato nei loro servizi. Lisiński diceva che la firma non era la sua. Durante il processo, tuttavia, un grafologo forense ha dimostrato che era la sua.

Secondo le informazioni pubblicate sul sito Wiadomości.wp.pl, Sebastian Karczewski, Caporedattore del mensile Non Possumus. Imperatyw, è stato il primo a scrivere su Nasz Dziennik dei dubbi sulla punizione del Vescovo Libera per Don Zdzisław Witkowski, per cui la Curia di Płock ha inviato una protesta all’editore. Il giornalista ha scritto il libro “La pedofilia nella Chiesa”, in cui ha descritti casi di accuse ingiuste contro sacerdoti di tutto il mondo. Uno dei capitoli è dedicato a Lisiński, al Vescovo Libera e a Don Witkowski. Scrive che Don Witkowski cadde vittima di un’accusa non confermata e che la sua punizione deriva “dalla politica spietata del Vescovo di Płock nel combattere la pedofilia, nonché dalla sua ambizione e volontà di fare carriera”.

Karczewski ha detto a Radio Zielona Góra 97.1FM, che la sentenza della Corte d’appello di Łódź per lui non è stata una sorpresa, poiché “non ci sono prove che Lisiński sia stato vittima di molestie sessuali, non è mai stato un chierichetto, figuriamoci molestato da un prete”. La Corte d’appello di Łódź non ha solo impugnato la sentenza del Tribunale distrettuale di Płock, ha detto Karczewski, ma ha anche rilevato che il Decreto del Vescovo di Płock relativo alla rimozione di Don Witkowski per 3 anni dal servizio sacerdotale era contrario alla sentenza del Tribunale diocesano. Karczewski ha sottolineato che durante il processo canonico il Tribunale diocesano di Płock ha ritenuto il sacerdote innocente e non ha emesso la sentenza, mentre il Vescovo ha informato la Congregazione per la Dottrina della Fede che il tribunale aveva pronunciato la sentenza, ha detto Karczewski. Di conseguenza, ha spiegato, il sacerdote era stato condannato e il Vescovo gli ha imposto le sanzioni canoniche.

“La corte ha confermato l’inganno”. Nel numero di dicembre 2021 del mensile Non Possumus. Imperatyw torna il tema della calunnia nei confronti di un sacerdote innocente e dell’accusa di abusi. Spiega cosa ha detto la Corte che ha ritenuto false le accuse di Marek Lisiński contro Don Zdzisław Witkowski.

Nell’intervista “Non dire falsa testimonianza” a cura di Sławomir Jagodziński per Nasz Dziennik, il Caporedattore del mensile Non Possumus. Imperatyw, Sebastian Karczewski ha affermato: «Nella sentenza annunciata l’11 ottobre di quest’anno, la Corte d’appello di Łódź ha modificato la bizzarra sentenza della Corte distrettuale di Płock del 17 maggio 2018, che ha ordinato al sacerdote chiedere scusa all’attore […]. Nella motivazione della sentenza, i Giudici della Corte d’appello hanno rilevato che il Tribunale distrettuale di Płock, nell’emettere una sentenza sfavorevole al sacerdote, ha di fatto omesso le prove disponibili indicanti l’innocenza del sacerdote, violando così il punto 1 dell’art. 233 del Codice di procedura civile. In altre parole: il Tribunale distrettuale di Płock “ha creduto alle dichiarazioni di Marek Lisiński”, sebbene non abbia trovato alcuna prova che confermerebbe la versione dei fatti presentata da lui. Inoltre, la Corte d’appello di Łódź ha sottolineato le false dichiarazioni del fondatore della Fondazione “Non Abbiate Paura”».

Aula Paolo VI, Udienza generale del 20 febbraio 2019. Papa Francesco incontra la delegazione della Fondazione “Non Abbiate Paura”, che gli consegna il falso rapporto sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana in Polonia.

A questo punto non è solo importante, ma doveroso sottolineare, che la vittima dell’inganno, delle menzogne e della frode di Marek Lisiński non è stato solo Don Zdzisław Witkowski, il sacerdote falsamente accusato, ma anche lo stesso Papa Francesco. Ricordiamo – come abbiamo riferito a suo tempo [*] – che Marek Lisiński, in qualità di Presidente della Fondazione “Non Abbiate Paura”, al termine dell’Udienza generale del 20 febbraio 2019 – un giorno prima del vertice delle Conferenze Episcopali “La tutela dei minori nella Chiesa” (21-24 febbraio 2019) presieduto da Papa Francesco in Vaticano – accompagnato da due politici della sinistra polacca. Si trattava del deputato Joanna Scheuring-Wielgus e del consigliere di Varsavia Agata Diduszko-Zyglewska, coautori del falso rapporto della Fondazione sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana in Polonia, consegnato nelle mani di Papa Francesco durante l’incontro nell’Aula Paolo VI. Ricevendolo, Papa Francesco ha baciato la mano dell’impostore Marek Lisiński, presentato da Joanna Scheuring-Wielgus come una vittima a 13 anni dell’abuso sessuale di un prete e difensore delle persone abusati sessualmente da sacerdoti polacchi. Scrisse allora un sito di informazione cattolico: “Gesto che racchiude un universo di perdono di fronte al male commesso dagli uomini di Chiesa che hanno tradito Cristo”.

Aula Paolo VI, Udienza generale del 20 febbraio 2019. Papa Francesco bacia le mani di Marek Lisiński.

Il significato di questa “beffa al Santo Padre” l’ha spiegato alcuni giorni dopo Wlodzimierz Redzioch, il 1° marzo 2019 per ACI Stampa [“Tolleranza Zero” sì, ma attenzione alle strumentalizzazioni e false accuse]: «Alla vigilia dell’incontro vaticano dei presidenti delle conferenze episcopali dedicato agli abusi dei minori da parte del clero, a Roma si sono presentati i rappresentanti della Fondazione polacca “Non Abbiate Paura” che, secondo lo scopo dichiarato, vuole dare aiuto legale e psicologico alle vittime dei preti pedofili in Polonia, aiutandole anche ad ottenere dei risarcimenti da parte della Chiesa cattolica. I rappresentanti della Fondazione si sono presentati a Roma con un rapporto sulle presunte violazioni della legge da parte dei vescovi nel contesto dei casi di abusi.

«Va detto che il Rapporto non è stato presentato in Polonia ma proprio a Roma alla vigilia dell’incontro su cui sono state puntati gli occhi di tutto il mondo. Preparato in tre lingue, polacco, inglese e spagnolo, è stato consegnato al Papa durante l’udienza generale del 20 febbraio e il giorno dopo presentato ai giornalisti, in verità quasi tutti polacchi, sulla piazza delle Vaschette a due passi dal Vaticano. La cosa che più ha colpito la gente in Polonia non è stata la foto di Francesco con sig. Lisiński, vittima degli abusi, ma il fatto che lui era accompagnato da due membri della Fondazione, ben note in Polonia. L’onorevole Joanna Scheuring-Wielgus è un membro del partito liberal-libertino “Adesso!”, conosciuta per le sue prese di posizione contro la Chiesa.

«Invece la signora Agata Diduszko-Zyglewska è una femminista militante legata al movimento dell’estrema sinistra radicale “Critica Politica”, organizzatrice delle Giornate dell’Ateismo, si batte per eliminare l’insegnamento della religione nelle scuole. Come racconta Diduszko-Zyglewska, “grazie al passaporto diplomatico dell’onorevole non è stato difficile avere i posti in prima fila all’udienza, e il Papa è stato informato dalla nostra visita e voleva quell’incontro”. Per tanta gente vedere nell’Aula Paolo VI queste due signore “mangiapreti” accanto al Papa è stato un vero shock. Ovviamente, l’interesse delle signore venute in Vaticano al fenomeno della pedofilia si limita ai casi dei sacerdoti, tenendo conto dell’estrazione ideologica degli ambienti di provenienza che promuovono il “libertà sessuale” e l’omosessualità. Ma per una onorevole che si prepara per la campagna elettorale per il parlamento europeo a maggio e per il parlamento polacco in autunno, quale potrebbe essere il modo più spettacolare d’avere la visibilità mediatica dell’incontro con Francesco?» [**].

Marek Lisiński (Foto di Lukasz Piecyk/East News).

Adesso, che la Corte d’appello di Łódź ha stabilito che Marek Lisiński ha mentito sul suo passato, che non era stato molestato dal sacerdote e che il sacerdote che aveva accusato è innocente, occorre ripetere le valutazioni già espresso a suo tempo, come l’ha fatto anche Sebastian Karczewski nella già citata intervista: “La fede cieca nelle accuse è pericolosa. Quando c’è un’accusa, il sacerdote viene immediatamente riconosciuto colpevole, senza esaminare il caso”, aggiungendo che attualmente sta indagando su una dozzina di casi di sacerdoti che sono stati accusati pubblicamente, tra i quali nessuna accusa è giustificata.

Ne abbiamo parlato il 2 febbraio 2020 [Abusi: i casi Pell, Barbarin, Lisiński e la tirannia dell’opinione pubblica. Analisi di Andrea Gagliarducci]: “I casi Pell e Barbarin, il caso Lisinki e molti altri – conclude Andrea Gagliarducci – sono tutti casi in cui i media danno forma ad una opinione pubblica che va poi a toccare anche la libertà di giudizio dei giudici. Sono casi che sarebbero da stigmatizzare. Colpisce, infatti, che quando queste accuse si rivelano false, o senza prove, tutti tacciano» [***].

Un’altra osservazione sul caso ha fatto l’amico e collega Wlodzimierz Redzioch, nel già citato articolo: «Nella serata del mercoledì 20 febbraio [2019] il mio telefono squillava senza sosta: mi chiamavano gli amici dalla Polonia scioccati dopo aver visto sui siti anticlericali le foto di Papa Francesco con due note attiviste della sinistra radicale Joanna Scheuring-Wielgus e Agata Diduszko-Zyglewska. “Perché voi che siete vicino al Papa non gli dite che c’è la gente che vuole sfruttare la sua immagine per propri interessi politici!” – mi dicevano» [**].

Aula Paolo VI, Udienza generale del 20 febbraio 2019. Papa Francesco bacia le mani di Marek Lisiński.

In definitiva, le immagini di quel “sbaciucchio di troppo” e della “beffa al Santo Padre” con la consegna nelle sue mani del falso rapporto sulla pedofilia in Polonia [*] parlano da sole (come tutte le immagini, se si guarda come persone devote e soprattutto con la particolare devozione alla lente). Sono immagini da tirare fuori quando certa gente apre bocca e dà fiato all’Uomo Nero che Veste di Bianco. Certi cattolici o non capiscono o non vogliono capire. Qui non si tratta nemmeno più di quello che fa il Regnante. Qui si tratta anche di quello che fanno i complici del Regnante insieme a lui.

E sì, perché è il caso di dirlo una volta per tutte. Certi cattolici sono complici di questo caos. Non sono vittime. È ora di dissociarsi in modo fermo. Noi ci dissociamo da certi atteggiamenti.

Ci dissociamo dalla foto opportunity con l’Uomo Nero che Veste di Bianco con le sempre prevedibili e disastrose conseguenze.

Ci dissociamo dal menefreghismo, dalla leggerezza dalla noncuranza, dalla mancata cautela.

Ci dissociamo da chi mette il prosciutto sugli occhi quando si tratta di eventi vaticani, diffondendo la velina del giorno sotto forma di “editoriale”, con la narrazione che fa passare per bianco quello che è nero, dichiarando “giusto processo” quello che è la negazione dello stato di diritto.

È ora di dissociarsi chiaramente e di prendere una posizione.

A questo punto, chi non prende una posizione chiara e ferma è complice.

Chi è complice va definito complice.

Aula Paolo VI, Udienza generale del 20 febbraio 2019. Papa Francesco incontra la delegazione della Fondazione “Non Abbiate Paura”, che gli consegna il falso rapporto sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana in Polonia.

Pochi mesi dopo quel “sbaciucchio di troppo” e della “beffa al Santo Padre”, a cavallo tra maggio e giugno 2019, Gazeta Wyborcza ha pubblicato una serie di articoli di Katarzyna Surmiak-Domańska e Katarzyna Włodkowska, incentrati sui dubbi che circondavano il caso delle presunte molestie ai danni di Marek Lisiński, informando che la Curia vescovile riteneva ancora colpevole Don Zdzisław Witkowski, nonostante i testimoni da lui riportati non fossero stati ascoltati davanti al Tribunale diocesano. Il giornale aveva raggiunto le vittime del sacerdote che, come si è scoperto, aveva molestato sessualmente dei minori. Il quotidiano riportava che Don Witkowski non lo negava, ma dichiarò categoricamente di non aver mai molestato sessualmente Marek Lisiński.

Secondo i giornalisti di Gazeta Wyborcza, il movente delle accuse di Lisiński era quello di evitare di restituire un prestito che aveva preso da Don Witkowski. Nel 2007, Lisiński si era presentato da Don Witkowski, Parroco di Korzenie, come un ex chierichetto nel bisogno di soldi, con la falsa giustificazione della necessità di curare sua moglie malata. Aveva preso in prestito 23.000 PLN (circa 5.000 Euro), impegnandosi per iscritto a restituire i soldi dopo essere tornato dalla Germania, dove aveva intenzione di andare a lavorare. Poi, il sacerdote gli avevo chiesto di restituire il prestito, dopo aver parlato con la moglie e aver scoperto che non era affatto malata. Cosa ha risposto Lisiński ai giornalisti di Onet? Ha detto che il sacerdote mentiva e che non esisteva un prestito.

Inoltre, mentre gestiva la Fondazione, Lisiński avrebbe anche estorto denaro alla 26enne Katarzyna, vittima di crimini sessuali da parte del sacerdote Roman B., aveva rivelato Gazeta Wyborcza. Un fatto che maggiormente ha scosso l’opinione pubblica in Polonia. Secondo i giornalisti, Lisiński scrisse a Katarzyna, poco dopo aver ricevuto 1.000.000 PLN (circa 216.000 Euro) a titolo di risarcimento, che aveva un cancro al pancreas e che aveva bisogno di 30.000 PLN (circa 6.500 Euro) per la chirurgia. Poi, ha ricevuto da lei 20.000 PLN (circa 4.400 Euro) come prestito e 10.000 PLN (circa 2.100 Euro) in regalo. I giornalisti hanno messo in dubbio la malattia di Lisiński e anche la storia di Lisiński sulle presunte molestie sessuali.

Un giornalista di Gazeta Wyborcza gli ha chiesto molte volte se fosse etico o morale aver preso 30.000 PLN (circa 6.500 Euro) da Katarzyna, ha riferito Lisiński nell’unico e ultima intervista dopo lo scoppio dello scandalo, ai giornalisti di Onet, dicendo che aveva risposto di sì. Ha aggiunto che, tre mesi dopo, lo pensava ancora così. In questa intervista a Onet, Lisiński ha dichiarato: «I giornalisti di Gazeta Wyborcza si sono schierati con Don Witkowski, presumendo in anticipo che mi fossi inventato tutto. Sono stufo di dimostrare di essere una vittima. Non ho più la forza, vomito tutto. Mi sono sentita violentata di nuovo, per me è difficile persino parlarne. È naturale che la vittima non voglia parlarne, ma è diventato un motivo per sostenere che tutto questo non è vero. Chiunque conosca questo argomento sa benissimo che storie del genere non possono essere inventate. D’altra parte, cosa c’era da guadagnarci? Non riesco a immaginare che, attraversando tutto questo, lo farei solo per i soldi»

Alla vigilia della prima pubblicazione di Gazeta Wyborcza, Lisiński rilasciò una dichiarazione in cui si scusò per aver mancato la fiducia delle vittime dei sacerdoti e dei membri della Fondazione “Non Abbiate Paura”. Raccontò di essersi sentito nuovamente violentato dopo le rivelazioni su di lui di Gazeta Wyborcza. Ha risposto a tutte le accuse e ha assicurato sulla malattia terminale. Il 29 maggio 2019 si è dimesso dalla carica di Presidente e il Consiglio di sorveglianza ha commissionato un audit finanziario esterno, che ha messo in discussione la spesa di circa 120.000 PLN (circa 25.000 Euro).

Nei due anni trascorsi da allora, Lisiński ha fatto smettere i giornalisti di credergli, mentre hanno continuato a sviscerare tutte le sue bugie. E mettere in evidenza il suo rapporto con i soldi. I due “prestiti” di cui abbiamo parlato e il risultato dell’audit esterno dei conti della Fondazione. Però, c’è ancora un altro filo nella storia di Lisiński legato alle attività della Fondazione e al denaro, per quanto riguarda la sua partecipazione al primo documentario polacco sulle vittime dei preti abusatori sessuali “Tylko nie mów nikomu” (Basta non dirlo a nessuno, 11 maggio 2019) dei fratelli Tomasz e Marek Sekielski. A parere del regista del film, Marek Sekielski, la collaborazione con Lisiński è stata problematica fin dall’inizio: «Abbiamo firmato il contratto con Lisiński nel 2016. Allora gli abbiamo pagato una parte del suo stipendio e praticamente non è riuscito a svolgere i suoi compiti in qualsiasi momento. Spesso annullava gli incontri poche ore prima della ripresa». Sekielski ha sottolineato che Lisiński ha reso difficile lavorare sul documentario: «Immagina la situazione in cui tre mesi prima della presentazione, qualcuno ci chiede, o addirittura ci ricatta, che se non riceve 50.000 PLN (circa 10.000 Euro), viene ritirato dall’intera produzione. Nessuno può permettersi una cosa del genere, soprattutto perché non abbiamo pagato nessuno per l’apparizione nel documentario», ha detto Sekielski a Onet.

Per quanto riguarda la richiesta di risarcimento per i presunti abusi, Lisiński aveva iniziata con la richiesta delle scuse e 10.000 PLN (circa 2.100 Euro), poi 200.000 PLN (circa 43.000 Euro) per la terapia, i danni morali e mentali. Ma cambiò nuovamente idea e chiese 1.000.000 PLN (circa 216.000 Euro), tanto quanto il Tribunale aveva assegnato a Katarzyna, che da bambina era stata violentata dal sacerdote Roman B. Questa sentenza del Tribunale nel gennaio 2018 era stata un precedente, perché indicò che la Chiesa Cattolica Romana in Polonia avrebbe dovuto sostenere le conseguenze delle azioni dei sacerdoti. Katarzyna era assistita dalla Fondazione e da Jarosław Głuchowski, un avvocato che rappresentava anche Lisiński, che l’ha rappresentato per ottenere il risarcimento di 1.000.000 PLN (circa 216.000 Euro). I fascicoli del caso, insieme al ricorso di Lisiński sono stati ricevuti presso la Corte d’appello di Łódź il 27 agosto 2018.

Quando due anni fa ha incontrato Papa Francesco, il truffatore non era andato da solo e neanche sarebbe potuto arrivare da solo nel settore del “baciamano” (tradizionalmente inteso come dato dall’ospite al Papa, non viceversa). Ci ha pensato il deputato Joanna Scheuring-Wielgus con suo passaporto diplomatico, che ha aperto le porte. Quindi occorre porsi la domanda – che oltre ogni ragionevole dubbia rimarrà retorica – è se il deputato della sinistra Joanna Scheuring-Wielgus si scuserà per aver promosso il l’impostore e truffatore sullo sfondo dello scandalo della pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana. Marek Lisiński, che per molti anni è stato portavoce delle vittime della pedofilia nella Chiesa, ha mentito sul suo passato e ha accusato ingiustamente il sacerdote di molestie, come ha stabilito la Corte d’appello di Łódź.

L’uomo ha mentito, ha provato di arricchirsi e Joanna Scheuring-Wielgus lo ha promosso. L’ha osservato dalla tribuna parlamentare del Sejm a Varsavia il deputato di PiS (Diritto e Giustizia), Paweł Lisiecki, riferendosi al fatto del bacio di Papa Francesco alla mano di Lisiński il 20 febbraio 2019: “Francesco ha parlato per un po’ con il deputato Scheuring-Wielgus, che lo ha presentato a (…) Marek Lisiński, Presidente della fondazione “Non abbiate paura”. Ha aggiunto che lo stesso Lisiński è stato vittima di molestie da bambino”. Il deputato Lisiecki ha chiesto le scuse di Scheuring-Wielgus, sottolineando che Marek Lisiński si è rivelato un truffatore, non una vittima di un pedofilo, e che “ha accusato il sacerdote perché lui stesso non voleva restituire il denaro che avrebbe preso in prestito per il trattamento di sua moglie. Il parlamentare di sinistra si scuserà? Il truffatore – ha proseguito Lisiecki – è diventato il volto della lotta alla pedofilia nella Chiesa in Polonia. È stato presentato come vittima di un pedofilo da uno dei membri della sinistra, la Signora Scheuring-Wielgus. Ecco perché esigo che il deputato salga sul podio e dica “mi dispiace”, si scusi con le vere vittime della pedofilia, si scusi con il pubblico per aver sostenuto il truffatore e si scusi con il sacerdote innocentemente accusato dal truffatore per estorcere 1.000.000 PLN (circa 216.000 Euro)”.

I giornalisti di Onet, durante il lungo incontro, hanno chiesto anche se Lisiński potesse vedere quali errori avesse commesso nella Fondazione. Senza esitare, ha menzionato per la prima volta l’eccessivo coinvolgimento in politica: «Ho pensato che dovremmo starne alla larga. Oggi penso che sia la Signora Scheuring-Wielgus che la Signora Diduszko-Zyglewska non dovrebbero essere nel Consiglio della fondazione», ha risposto Lisiński, riconoscendo di essere stato utilizzato. «Ho sentito dalle due che ho danneggiato le loro carriere politiche. Grazie al duro lavoro della Signora Scheuring-Wielgus, la Fondazione è diventata riconoscibile, ma mi sono perso in tutto questo. Oggi so di essere stato molto ingenuo», ha ammesso.

«Non sono mai stato membro del Consiglio della Fondazione o di nessuna delle sue organi», ha spiegato Diduszko-Zyglewska a Onet. «Per diversi anni ho sostenuto la Fondazione dall’esterno come giornalista e attivista sociale: pubblicando, co-organizzando convegni e manifestazioni, scrivendo lettere alle Curia e alle Diocesi, creando una mappa ecclesiale della pedofilia, stilando un rapporto sulla copertura della pedofilia, fornendo un luogo di incontro presso la sede di “Krytyka Polityczna”. Marek Lisiński in realtà non ha fatto nessuna di queste cose. Inoltre, non ha risposto alla maggior parte delle vittime che chiedevano aiuto alla Fondazione da diversi anni», ha aggiunto.

«D’altra parte, la già citata Joanna Scheuring-Wielgus oggi vuole prendere le distanze» dalle affermazioni di Lisiński, hanno specificato i giornalisti di Onet: «Non ho mai collaborato con la Fondazione per la carriera, solo per la reale disponibilità ad aiutare le vittime e la necessità di ritenere i colpevoli responsabili. Tuttavia, non me lo prenderò con Marek Lisiński. Ne ha passate tante e la sua percezione della realtà potrebbe essere distorta. Penso che Marek dovrebbe avere una conversazione onesta con se stesso. Una tale conversazione gli fornirebbe una risposta alla domanda su chi, perché e quando gli ha fatto del male», ha detto il deputato.

Da ottobre 2018 presso la Fondazione ha operato un nuovo Consiglio, di cui faceva parte anche l’Avvocato Anna Frankowska. «Non mi andava di controllare, per esempio, le spese del Signor Lisiński, e inoltre, non faceva mai parte delle mie responsabilità. Inoltre, sono stato ingannato anche perché mi fidavo così tanto di lui e non mi è mai venuto in mente che potesse mentirci», ha afferma Frankowska a Onet. Ma quali sono le conseguenze per le vittime? Il crollo della credibilità del Presidente della Fondazione “Non Abbiate Paura” ha portato al crollo dell’intera Fondazione, mettendo così in discussione l’autenticità dei resoconti delle altre vittime: «Marek Lisiński era agli occhi di molti un rappresentante di tutte le parti lese. Purtroppo, di recente ho sentito da un avvocato che il difensore di un sacerdote accusato di abusi sessuali, nell’aula del Tribunale ha messo in dubbio la credibilità della vittima, citando ciò che aveva fatto l’ex Presidente della Fondazione. Da quando Lisiński ha mentito, “tutti mentono”. Questo è il dramma più grande di questa storia, a parte la liquidazione della Fondazione stessa, ovviamente», ha raccontato l’Avvocato Frankowska a Onet.

È stata lei a essere nominata per completare tutte le formalità e chiudere ufficialmente la Fondazione “Non Abbiate Paura”. «Questo è un fallimento personale per me, sono stato molto coinvolto nel lavoro per le vittime del clero. A un certo punto, ho persino lasciato il mio lavoro in uno studio legale internazionale. Oggi, purtroppo, stiamo liquidando la Fondazione e non posso dire cosa accadrà dopo», ha spiegato Frankowska a Onet, assicurando che vuole continuare ad aiutare le vittime. «Ma avremmo bisogno di molti soldi per aprire una nuova attività, che al momento non abbiamo», ammette tristemente.

«Non credo che si possa ricostruire qualcos’altro di credibile sotto la stessa bandiera – ha affermato a Onet Artur Nowak, che, in qualità di avvocato, rappresenta le vittime dei preti pedofili. – Ma è un peccato per il potenziale delle persone. Penso che prima o poi l’afflitto crollerà, perché è semplicemente necessario. La chiave è costruire un sistema di finanziamento della terapia trasparente», ha aggiunto.

Non c’era, e probabilmente non ci sarà, in Polonia nessun’altra organizzazione come la Fondazione “Non Abbiate Paura”, ha scritto qualche sito polacco. Marek Lisiński era in gran parte responsabile della sua creazione, sviluppo e pubblicità. Ha parlato con entusiasmo nei media, ha commentato i successivi rapporti sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana in Polonia e ha parlato di progetti per aiutare le vittime dei sacerdoti. È stato lui il primo a promuovere negli spot promozionali il documentario dei fratelli Sekielski “Basta non dirlo a nessuno”. Ha affermato di essere lui stesso una delle vittime. Ha incontrato Papa Francesco per consegnargli il rapporto sui vescovi polacchi che proteggono i preti pedofili. E quando il Papa ha saputo che era una delle vittime, gli ha baciato la mano e ha pregato per lui. Si era fatto il primo portavoce delle vittime dei preti pedofili, rimasti fino allora nell’ombra. Poi, agli occhi dell’opinione pubblica è apparso come un truffatore, che ha portato la Fondazione al crollo. Al pubblico, ma soprattutto le vittime che gli hanno creduto rimasero solo delle domande. Lisiński voleva imbrogliarli? Era motivato dal desiderio di profitto? E infine, Marek Lisiński è davvero vittima di un prete pedofilo? Così è stato, per due anni, fino alla sentenza dell’11 ottobre 2021, che ha dato le risposte definitive.

Uno “sbaciucchio di troppo”, la “beffa al Santo Padre” e la consegna nelle sue mani del falso rapporto

Al caso Lisiński ho dedicato due Note sul mio diario Facebook, quando non avevo ancora aperto questo Blog dell’Editore. Visto che, purtroppo (perché ne ho pubblicato tante), Facebook ha chiuso la sezione delle Note, che non sono cancellato ma difficilmente consultabile senza l’URL, ne riporto di seguito gran parte.

Aula Paolo VI, Udienza generale del 20 febbraio 2019. La delegazione della Fondazione “Non Abbiate Paura” in attesa di incontrare Papa Francesco per consegnargli il falso rapporto sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana in Polonia.

[*] Uno sbaciucchio di troppo. Hanno beffato il Santo Padre | Parte 1 – 23 febbraio 2019

Dopo l’Udienza generale del 20 febbraio 2019, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di attivisti polacchi, guidati dal deputato Joanna Scheuring-Wielgus, accompagnata dal consigliere di Varsavia Agata Diduszko e dal presidente della Fondazione “Non aver paura” Marek Lisiński. La storia è stata ripresa da Maurizio Blondet sul suo blog Blondet & Friends il 23 febbraio 2019, fornendo ulteriori dettagli.

Joanna Scheuring-Wielgus.

Se vi domandate chi è la Scheuring-Wielgus, è un deputato polacco, attivista pro-gay e pro-aborto. All’Udienza generale ha presentato a Papa Francesco un “rapporto” su presunti “abusi” clericali in Polonia, non confermati. Accompagnava due presunte “vittime” di pedofilia clericale, tra cui appunto Marek Lisiński, presidente della fondazione non altrimenti nota “Non aver paura”, che unisce delle “vittime” presunte.

Joanna Scheuring-Wielgus e Marek Lisiński.

Lisiński ha raccontato al Papa di essere stato vittima di abusi di un prete, quando a 13 anni faceva il chierichetto in parrocchia. Sentito ciò, Papa Francesco ha pregato con lui e gli ha baciato la mano, promettendo di leggere il rapporto. Anzi di riferirne all’Incontro su “La Protezione dei Minori nella Chiesa” che stava per aprire.

Marek Lisiński.

Quando Marek Lisiński, sedicente vittima di prete pedofilo, gli aveva raccontato di aver subito presunti “abusi”, Papa Francesco ha pregato con lui e ha baciato le sue mani. La signora in rosso è Joanna Scheuring-Wielgus, che vuole trascinare la Chiesa davanti al Tribunale dell’Aja.

Il video: QUI.

Il tweet di Agata Diduszko-Zyglewska.

“Ci siamo riusciti!”. Papa Francesco si è incontrato con noi, ha ricevuto un rapporto sui vescovi polacchi”, ha detto il deputato Joanna Scheuring-Wielgus. Il consigliere di Varsavia Agata Diduszko-Zyglewska ha pubblicato su Twitter le foto dell’incontro. Con il loro falso rapporto mirano ad ottenere “le dimissioni dell’episcopato polacco”, tutto intero.

Questo, mentre la Chiesa è tra le poche organizzazioni in Polonia che ha creato apposite politiche contro gli abusi sessuali sui minori. Tuttavia, il “rapporto” attacca solo la Chiesa cattolica in Polonia. Contiene pochissimi casi di abuso accertati. La Diocesi di Opole ha già pubblicato una lunga lista. che riporta in dettaglio le molte menzogne che il “rapporto” presenta in riferimento a un sacerdote di Opole, accusato di abusi sessuali.

Nessuno ha avvertito il Pontefice che i due, degli atei militanti e noti nel loro Paese come attivisti pro-aborto e pro-gay, gli stavano giocando un tiro? Che Lisiński afferma di essere stato “abusato” dal suo parroco quando era un chierichetto a 13 anni, anche se questo non risulta alla Chiesa polacca, né a 13 anni, né dopo. Lo si conosce invece come un ex alcolista e, appunto, un attivista anticlericale. Intervistato dalla TV polacca di Stato, Lisiński ha detto chiaramente cosa si ripromette con la sua accusa: vuole guadagnarci dei soldi. Ha citato i precedenti di cause in Usa ed Australia, che hanno reso molto bene alle “vittime”, a spese degli episcopati.

Joanna Scheuring-Wielgus.

Quanto a Joanna Scheuring-Wielgus, nota nel suo Paese per le sue campagne pro-aborto (ha detto che a nessuno è permesso di chiamare un bambino non nato un “bambino” o un feto abortito un “essere umano”): “Voglio portare  la Chiesa cattolica davanti al tribunale internazionale dell’Aja; per questo sto valutando di partecipare alle elezioni europee”, così ha dichiarato ai giornali polacchi. La Scheuring-Wielgus milita nel partito “Adesso!“, anzi sarà la prossima leader di questo partito, sostituendo l’attuale capo Ryszard Petru, europarlamentare [QUI].

Il procuratore Tomasz Kwasniewski, presidente Ordo Iuris, ha risposto alla signora, beffardamente, che il mandato di eurodeputato non ha nulla a che fare con il Tribunale Internazionale dell’Aja, e quindi “può fare a meno di concorrere alle elezioni”. È chiaro a tutti che la Scheuring-Wielgus e il suo Lisiński si sono beffati del Papa e della Santa Sede, per i farsi un po’ di pubblicità gratuita.

Tutto ciò ha aggiunto un tocco di farsa alla vigilia della già tragicomico “conferenza di crisi” internazionale sugli abusi sessuali nella Chiese in Vaticano, che tace sui preti predatori seriali omosessuali (che presentano caso mai gran parte del vero problema, specie ai vertici della gerarchia). Altri hanno fatto notare che la simpatia del Papa per le “vittime degli abusi” è molto selettiva.

Il 4 febbraio 2019 un tale Arturo Borrelli, dicendosi vittima di abusi sessuali da parte di preti quando era bambino, si è incatenato davanti alla Porta di Sant’Anna della Città del Vaticano, protestando anche contro Papa Francesco: “Dice di voler stare vicino a noi vittime, io ho l’aiuto di tutti e invece mi manca proprio quello della sua Chiesa”. È stato scortato in commissariato e denunciato per procurato allarme, non baciato e sbaciucchiato [QUI].

Il Papa non ha mai voluto ricevere la mamma di un bambino, che fu abusato da un prete argentino, tale Ruben Pardo, morto di Aids, che Bergoglio a suo tempo protesse e nascose in Argentina, nella casa di riposo sacerdotale di Condarco 581 [QUI e QUI].

Secondo The Guardian [Pope Francis tells gay man: “God made you like this”. Juan Carlos Cruz, who was sexually abused, says pontiff told him God did not mind that he was gay by Stephanie Kirchgaessner – The Guardian, 20 May 2018] il prete omosessuale Joan Carlos Cruz, a 87 anni, nel maggio 2018 si sarebbe sentito dire in udienza privata dal pontefice: “Il fatto che tu sia gay non importa. Dio ti ha fatto in questo modo e ti ama in questo modo e a me non interessa. Il Papa ti ama come sei. Devi essere felice di chi tu sia”. L’allora Direttore della Sala Stampa della Santa Sede Greg Burke, non rispose alla domanda se la dichiarazione di Cruz rappresentava correttamente la sua conversazione con il Papa.

[**] Uno sbaciucchio di troppo. Hanno beffato il Santo Padre | Parte 2 – 1° marzo 2019

Polonia, “Tolleranza Zero” sì, ma attenzione alle strumentalizzazioni e false accuse
di Wlodzimierz Redzioch
VARSAVIA , 01 marzo, 2019 / 2:00 PM (ACI Stampa).
– Nella serata del mercoledì 20 febbraio il mio telefono squillava senza sosta: mi chiamavano gli amici dalla Polonia scioccati dopo aver visto sui siti anticlericali le foto di Papa Francesco con due note attiviste della sinistra radicale Joanna Scheuring-Wielgus e Agata Diduszko-Zyglewska. “Perché voi che siete vicino al Papa non gli dite che c’è la gente che vuole sfruttare la sua immagine per propri interessi politici!” – mi dicevano.

Di che cosa si tratta. Alla vigilia dell’incontro vaticano dei presidenti delle conferenze episcopali dedicato agli abusi dei minori da parte del clero, a Roma si sono presentati i rappresentanti della Fondazione polacca “Non abbiate paura” che, secondo lo scopo dichiarato, vuole dare aiuto legale e psicologico alle vittime dei preti pedofili in Polonia, aiutandole anche ad ottenere dei risarcimenti da parte della Chiesa cattolica. I rappresentanti della Fondazione si sono presentati a Roma con un rapporto sulle presunte violazioni della legge da parte dei vescovi nel contesto dei casi di abusi.

Va detto che il Rapporto non è stato presentato in Polonia ma proprio a Roma alla vigilia dell’incontro su cui sono state puntati gli occhi di tutto il mondo. Preparato in tre lingue, polacco, inglese e spagnolo, è stato consegnato al Papa durante l’udienza generale del 20 febbraio e il giorno dopo presentato ai giornalisti, in verità quasi tutti polacchi, sulla piazza delle Vaschette a due passi dal Vaticano. La cosa che più ha colpito la gente in Polonia non è stata la foto di Francesco con sig. Lisiński, vittima degli abusi, ma il fatto che lui era accompagnato da due membri della Fondazione, ben note in Polonia. L’onorevole Joanna Scheuring-Wielgus è un membro del partito liberal-libertino “Adesso!”, conosciuta per le sue prese di posizione contro la Chiesa.

Invece la signora Agata Diduszko-Zyglewska è una femminista militante legata al movimento dell’estrema sinistra radicale “Critica Politica”, organizzatrice delle Giornate dell’Ateismo, si batte per eliminare l’insegnamento della religione nelle scuole. Come racconta Diduszko-Zyglewska, “grazie al passaporto diplomatico dell’onorevole non è stato difficile avere i posti in prima fila all’udienza, e il Papa è stato informato dalla nostra visita e voleva quell’incontro”. Per tanta gente vedere nell’Aula Paolo VI queste due signore “mangiapreti” accanto al Papa è stato un vero shock. Ovviamente, l’interesse delle signore venute in Vaticano al fenomeno della pedofilia si limita ai casi dei sacerdoti, tenendo conto dell’estrazione ideologica degli ambienti di provenienza che promuovono il “libertà sessuale” e l’omosessualità. Ma per una onorevole che si prepara per la campagna elettorale per il parlamento europeo a maggio e per il parlamento polacco in autunno, quale potrebbe essere il modo più spettacolare d’avere la visibilità mediatica dell’incontro con Francesco?

Il Rapporto fasullo

Già dal primo giorno dopo la diffusione del Rapporto consegnato al Papa, le diocesi polacche hanno cominciato la pubblicazione dei comunicati smentendo i presunti dati ivi contenuti. Invece il portavoce della Conferenza dell’Episcopato polacco, p. Paweł Rytel-Andrianik ha assicurato che tutti i casi di abusi sessuali su minori denunciati nelle diocesi sono stati segnalati al Vaticano già dal 2001, secondo le istruzioni contenute nel Motu proprio di Giovanni Paolo II “Sacramentorum sanctitatis tutela” proprio del 2001. In pratica le informazioni sugli abusi raccolte in ogni diocesi vengono quindi indirizzate alla Congregazione per la dottrina della fede.

“La Chiesa in Polonia vuole essere trasparente in questa materia. Non si vuole nascondere queste patologie” – ha detto il portavoce, aggiungendo che “per anni abbiamo ripetuto: tolleranza zero per la pedofilia nella Chiesa e nella società, indipendentemente da chi sia il colpevole. Oltre all’applicazione delle norme del 2001, dal 2009 la Conferenza episcopale polacca ha adottato una serie di documenti e procedure, il cui obiettivo principale è la sicurezza dei bambini e degli adolescenti e l’individuazione di persone che potrebbero metterli in pericolo. Per di più, alcuni anni fa, su iniziativa della Chiesa, è stato istituito il Centro per la protezione dell’infanzia, che ha già formato oltre 3.000 sacerdoti nella prevenzione dell’abuso di minori. In ogni diocesi c’è un delegato che si occupa della protezione di bambini e giovani. Le vittime di reati sessuali possono ricevere aiuto psicologico, legale e spirituale”. Ma di tutte queste informazioni non c’è traccia nel fasullo Rapporto lasciato a Roma e in Vaticano.

Abbattere il monumento del presunto molestatore

All’indomani della riunione vaticana i media di tutto il mondo hanno dato la notizia dell’abbattimento a Danzica del monumento di padre Henryk Jankowski. Padre Jankowski era il leggendario parroco della chiesa di santa Brigida. La sua parrocchia divenne nei tempi degli scioperi contro il regime comunista il punto di riferimento per gli operai dei vicini cantieri navali. Nella sua chiesa egli celebrava le Messe per i sindacalisti di Solidarnosc che lo trattavano come loro cappellano. Un uomo coraggioso, dinamico ma anche esuberante era odiato e perseguitato dal regime ma non smise mai la sua attività in favore degli operai.

Quando è morto nel 2010 il sindacato e le autorità decisero di alzare a Danzica un suo monumento. E proprio quando gli occhi del mondo erano puntati sul Vaticano i media davano la notizia dell’abbattimento del monumento del “cappellano di Solidarnosc”, spiegando tale azione come gesto di protesta contro l’inerzia della Chiesa polacca di fronte agli abusi del clero. Purtroppo, la verità sull’accaduto è ben diversa. Un giornalista polacco, Tomasz Sekielski, sta da mesi preparando un film sulla pedofilia che – secondo il sedicente regista – dovrebbe essere un duro colpo per la Chiesa polacca. La prima del film è prevista per aprile 2019 e il “documento” sarà reso disponibile gratuitamente su YouTube, ovviamente anche nella versione inglese per avere un impatto mondiale.
Sekielski ha anche annunciato che presenterà il suo lavoro ai festival internazionali e non consentirà la censura o il blocco del film. E guarda caso, quest’altro mangiaprete sapeva dell’incontro in Vaticano e l’ha sfruttato per lanciare la sua futura produzione e acquistare la visibilità. Il problema consiste nel fatto che il gesto contro il monumento di un presunto molestatore è stato presentato come un atto spontaneo motivato dall’indignazione, invece si trattava di un ‘coup de théâtre’ organizzato dallo stesso giornalista-regista davanti alle camere. In questo modo Sekielski è riuscito a spacciare a tutto il mondo la sua sceneggiata come un fatto vero.

Va detto in questo contesto che le accuse degli abusi del clero sui minori in Polonia riguardano la percentuale moto più bassa paragonando gli altri Paesi, senza parlare delle percentuali più alti riguardanti altre ambienti come scuole, club sportivi, ambienti familiari.

Assolto dopo 8 anni

Anni fa p. Adam Stanisław Kuszaj, padre salvatoriano polacco, è andato in missione nella Repubblica Ceca, nella diocesi di Ostrawa-Opava: voleva servire i cattolici nel Paese che è ritenuto uno dei più scristianizzati in Europa. Non pensava minimamente che in quel Paese sarebbe finito davanti ad un tribunale accusato di molestie sessuali da un giovane di 16 anni. Otto anni fa venne sospeso dalle autorità ecclesiali e non poteva svolgere il ministero sacerdotale. Per di più, venne ritenuto colpevole dal tribunale e condannato con la sospensione condizionale della pena di prigione. Allontanato dalla sua congregazione, privo di mezzi di sostentamento e con il marchio infamante di molestatore ha dovuto cambiare completamente vita lavorando anche come operaio.

Dopo otto anni, proprio in coincidenza con il summit vaticano, il tribunale della città di Jesenik ha assolto il prete polacco. Nel processo di appello, gli amici del giovane accusatore hanno svelato che le accuse di molestie erano state inventate. Anche i periti avevano affermato che i racconti della presunta vittima erano poco credibili. Alla fine, si è scoperto che l’accusatore voleva vendicarsi del prete che non aveva voluto dargli del denaro. Come ha affermato il portavoce della diocesi ceca, Pavel Suida, dopo aver preso in considerazione questi nuovi fatti, la sospensione può essere ritirata. Anche i superiori della congregazione salvatoriana, a cui apparteneva il prete polacco, devono analizzare la nuova situazione.

Lo stesso padre Kuszaj ha dichiarato di voler tornare a svolgere il ministero sacerdotale il più presto possibile: “Questo è il mio sogno e voglio realizzarlo. Sempre volevo servire la gente e Dio prima di tutto. Mi rendo conto che ho perso 9 anni, ma ho anche nuove esperienze” – ha detto il sacerdote prosciolto alla locale radio cattolica “Proglas”.

A padre Kuszaj nessuno ricompenserà per le sofferenze subite durante il processo e causate anche dalla gogna mediatica, per il difficilmente sopportabile allontanamento dal sacerdozio, per gli anni di duro lavoro per sopravvivere. Ma il suo caso fa nascere delle domande: cosa sarebbe successo se non ci fossero stati dei testimoni che svelarono l’intrigo e se si fossero prese per vere solo le parole dell’accusatore?

Ovviamente la storia dell’assoluzione di padre Kuszaj è rimasta segregata tra le notiziole regionali di cronaca e i media mondiali non ne hanno parlato, anche se il fatto è accaduto in coincidenza con l’incontro vaticano.

La Chiesa, promuovendo la “tolleranza zero”, deve prendere in seria considerazione anche la possibilità delle false accuse mosse ai sacerdoti dalle persone disoneste e senza scrupoli, ed anche le azioni premeditate motivate ideologicamente.

[***] Abusi: i casi Pell, Barbarin, Lisiński e la tirannia dell’opinione pubblica. Analisi di Andrea Gagliarducci – 2 febbraio 2020

A questo link [QUI] si trova la condivisione dell’articolo dell’amico vaticanista di ACI Stampa e Vatican Analyst per Catholic News Agency/EWTN Andrea Gagliarducci, pubblicato il 2 febbraio 2020 sul suo blog Vatican Reporting. Si tratta di una riflessione approfondita sul caso del Cardinale Barbarin (“l’innocenza di Barbarin è stata gestita in modo tiepido dalla comunicazione vaticana”) e sul caso del Cardinale Pell (“sembra dimenticata la situazione del Cardinale Pell, ora trasferito in un carcere di massima sicurezza”).

La dittatura dell’opinione pubblica con il vergognoso plauso del pasdaran Massimo Faggioli. Scrive Gagliarducci: “Anche a sentenza di assoluzione emessa, Massimo Faggioli commentava che ‘l’assoluzione in tribunale non può ribaltare o anche completare la sentenza di colpevolezza già emessa dall’opinione pubblica, che è quella che conta davvero per la fiducia nella Chiesa cattolica’. Ed è proprio questo il tema, che accomuna paurosamente i casi del Cardinale Barbarin e quello del Cardinale George Pell in Australia, quest’ultimo in carcere per una sentenza di colpevolezza di abusi che, come ha stabilito anche il reporter Andrew Bolt di Sky News Australia (non certo un pro – Chiesa) non ha per niente ragione di esistere”. “Non solo è improbabile che il Cardinale Pell abbia commesso il crimine, è proprio impossibile”.

Inoltre, Gagliarducci accenna al caso di Marek Lisiński, un esempio come l’opinione pubblica si fonda anche su accuse false. Gagliarducci ricorda che si tratta di una presunta vittima di abusi, “che alla vigilia del summit anti abusi in Vaticano, dell’anno scorso ha presentato un rapporto falso sulle violazioni della legge da parte dei vescovi nel contesto dei casi di abusi. Lisiński era arrivato anche , con grande clamore mediatico,  ad incontrare Papa Francesco al termine di una udienza generale, insieme all’onorevole Joanna Scheuring-Wielgus  membro del partito liberal-libertino ‘Adesso!’, conosciuta per le sue prese di posizione contro la Chiesa, e Agata Diduszko-Zyglewska, una femminista militante legata al movimento dell’estrema sinistra radicale ‘Critica Politica’, organizzatrice delle Giornate dell’Ateismo, che si batte per eliminare l’insegnamento della religione nelle scuole”.

“I casi Pell e Barbarin, il caso Lisiński e molti altri – conclude Andrea Gagliarducci – sono tutti casi in cui i media danno forma ad una opinione pubblica che va poi a toccare anche la libertà di giudizio dei giudici.
Sono casi che sarebbero da stigmatizzare. Colpisce, infatti, che quando queste accuse si rivelano false, o senza prove, tutti tacciano. Perché è vero che un solo caso di abusi è già una vergogna totale, ma è anche vero che è uno scandalo lasciare un cardinale innocente in balia della caccia alle streghe perché c’è bisogno di un capro espiatorio importante, lasciando che lo scandalo si consumi di nascosto, nel silenzio di tutti e purtroppo anche dei confratelli porporati e vescovi e dai loro organi mediatici, tutti spaventati dalle aggressioni mediatiche che potrebbero subire per il fatto stesso di osare eccepire sui modi e la superficialità con cui si è giunti all’ incriminazione e alla condanna, spesso non definitiva. La risposta della comunicazione della Chiesa sembra però non andare a stigmatizzare questo problema. C’è l’idea di essere rassegnati a non poter avere mai un peso nell’opinione pubblica, a non poter mai far valere la verità. E si prendono provvedimenti che a volte appaiono più populisti che reali”.

Foto di copertina: Marek Lisiński (Foto di Łukasz Cynalewski/Agencja Gazeta).

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