L’Europa è ancora ospitale come insegnava San Benedetto?

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Ad inizio novembre quattro donne, premi Nobel per la letteratura, hanno inviato un appello al presidente del Consiglio d’Europa e al Parlamento europeo in difesa dei migranti e del popolo bielorusso con un forte richiamo alla coscienza degli europei: la bielorussa Svetlana Aleksievič, l’austriaca Elfriede Jelinek, la rumena di lingua tedesca Herta Müller e la polacca Olga Tokarczuk, che hanno chiesto aiuto per i profughi del Medio Oriente bloccati al confine fra Bielorussia e Polonia:

“Come cittadine e abitanti dell’Unione Europea, ci rivolgiamo ai rappresentanti democraticamente eletti dell’Europa affinché non distolgano lo sguardo da questa tragedia! Dobbiamo renderci conto che in questa guerra ibrida le persone sono usate come ostaggi. Queste pratiche diaboliche passeranno alla storia come esempi della nuova barbarie.

Nel corso della storia d’Europa ci siamo permessi troppe volte di ignorare certe cose. Abbiamo chiuso gli occhi. Ci siamo tappati le orecchie. Abbiamo taciuto. Le esperienze del XX secolo ci hanno mostrato chiaramente che c’è un sapere che è scomodo e tormentoso. La maggior parte delle persone lo ha rifiutato, per proteggere il proprio benessere.  Oggi, questa situazione si sta ripetendo”.

Alla prof.ssa Giovanna Parravicini (ricercatrice della Fondazione ‘Russia Cristiana’ e consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura; specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa, attualmente consigliere dell’Ordine di Malta; lavora al Centro Culturale ‘Pokrovskie Vorota’ a Mosca) chiediamo di spiegarci cosa sta avvenendo ai confini tra Polonia e Bielorussia:

“Credo che ormai noi tutti abbiamo gli elementi per rispondere a questo interrogativo. Ed è, appunto, una risposta che ci interpella tutti: dobbiamo finalmente smetterla di pensare che un regime dittatoriale e sanguinario sia  semplicemente un problema interno al Paese in cui esiste. Il regime di Lukašenko ha mietuto innumerevoli vittime in Bielorussia negli scorsi anni; dall’agosto del 2020 è in atto nel Paese una disperata resistenza, di cui abbiamo avuto numerose testimonianze.

Non dimentichiamo che i primati delle Chiese cattolica e ortodossa locali, solo per citare due casi clamorosi, sono stati esautorati senza cerimonie per il loro atteggiamento ispirato a carità cristiana. Non dimentichiamo il dirottamento aereo messo in atto qualche mese fa per arrestare un blogger scomodo… Ora assistiamo a un cinico gioco giocato sulla testa di migliaia di persone ridotte allo stremo e calpestate nei diritti e dignità più elementari”.

Perché dopo più di 30 anni l’Europa ritorna a costruire muri?

“I muri si costruiscono quando si ha paura, quando non esistono certezze, e soprattutto quando non esistono ideali per cui valga la pena vivere e morire. Di fronte al problema dei migranti non esistono risposte univoche, è messa in gioco la libertà, la responsabilità di ognuno.

Alzare muri e giustificarsi con argomenti economici, o magari addirittura etici, è più comodo che mettere in discussione la nostra vita, il nostro status, le nostre sicurezze economiche e così via. Ma è altrettanto miope e illusorio, perché mai come oggi ci troviamo sull’orlo di una profonda crisi, se non di un conflitto che ci minaccia da vicino; pensiamo a quanto sta avvenendo tra Russia, Ucraina, Bielorussia e Paesi Baltici”.

A che cosa è dovuta la paura di una possibile ‘invasione’?

“Sarebbe interessante riandare alle origini dell’Europa, nata da una congerie di popoli tra cui figuravano sia i cives romani, sia anche i barbari. Quale fu l’elemento in grado di amalgamare queste popolazioni così diverse, creando da esse una nuova identità, portatrice di una civiltà altissima?

L’ideale portato da san Benedetto, che gli permise di valorizzare ogni apporto e dare una stabilità nuova e originale a un mondo che sembrava giunto sull’orlo della fine. La stessa cosa avvenne tra il XIV e il XV secolo in Russia, con san Sergio di Radonež e la straordinaria irradiazione monastica che avrebbe evangelizzato e civilizzato la Russia. Sarebbe interessante riflettere su queste esperienze”.

Allora è possibile realizzare il sogno di san Giovanni Paolo II di un’Europa unita ed ospitale?

​“Mi sembra che il sogno di san Giovanni Paolo, e poi di papa Benedetto XIV –che è poi lo stesso sogno di san Paolo VI, il quale fin dal 1964 si fece portatore della necessità di un dialogo tra le culture e le tradizioni religiosi esistenti attraverso quel ‘rivoluzionario’ documento che è la Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’– sia oggi ben espresso negli insistenti appelli di papa Francesco.

Quando nel marzo 2020, in piazza san Pietro, il papa ha parlato dell’illusorietà della convinzione di poter vivere da sani in un mondo malato, certamente non aveva in mente solo i devastanti effetti della pandemia.

L’Europa ‘unita e ospitale’, d’altro canto, è già una realtà nei testimoni: nel personale sanitario, nei volontari che hanno speso e spendono generosamente energie, fino addirittura a dare la vita, di fronte a situazioni estreme in cui si sono trovati. Ma i testimoni sono anche provocazioni a capire che la bellezza, la grandezza umana che ci dimostrano è un cammino percorribile anche per ognuno di noi”.

30 anni fa moriva don Francesco Ricci, che fin dagli anni ’60 portò aiuti nei paesi dell’Est europeo oppressi dai regini comunisti ed a Forlì fondò il Centro Studi Europa orientale (CSEO), facendo conoscere documenti inediti sulla vita della Chiesa, la cultura e la società dei Paesi dell’Est europeo. Quale nuova Europa egli sognava?

“Un’Europa irriducibile ai suoi confini geografici; un’Europa che si identifica appunto con la grandezza umana testimoniataci dai suoi santi di ieri e di oggi”.

(Tratto da Aci Stampa)

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