Covid 19: racconti del dolore al femminile

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“Che cosa fai, che cosa pensi, se tuo marito muore per una malattia sconosciuta, e tu non hai potuto essergli vicino negli ultimi giorni, negli ultimi istanti; se sei divisa tra i sensi di colpa per non aver saputo capire in tempo, ammesso che un tempo per capire ci fosse, che il maledetto virus (‘la bestia’, il ‘maledetto mostro’) era arrivato e la rabbia nei confronti di istituzioni che sembrano più che mai lontane e inefficienti…; se la quarantena ti tiene lontana non solo dal cimitero, ma dagli amici, dalle persone che ti vogliono bene”.

‘Condividere’ e ‘parlare’: queste due parole, insieme ad una terza, amicizia, sono il filo conduttore delle storie che compongono il libro ‘Mariti con le ali. Vedove da Covid unite dall’amore’, curato da di Laura Badaracchi e Stefania Principale. 18 storie di donne che sono rimaste vedove a causa del Covid e che raccontano in prima persona la fase della malattia e della morte del marito, e poi la loro vita ad un anno di distanza.

Donne che si sono incontrate su facebook, grazie a Laura Mambriani, il cui marito è morto di Covid a soli 58 anni. Laura ha creato un gruppo, ‘Unite dall’Amore’, in cui ognuna poteva raccontarsi, ascoltare, sfogarsi, senza essere giudicata. Un gruppo di automutuoaiuto, che adesso aspira a incontrarsi di persona, appena possibile:

“Queste storie di donne innamorate  sono importanti per la loro testimonianza. Ma sono importanti anche perché fanno toccare con mano quanto è vera quell’affermazione, ‘insieme ne usciremo’, tanto abusata da essere ormai logorata. Se il dolore si affronta insieme, è più facile trasformarlo in un terreno su cui appoggiarsi per ripartire”.

A Francesca Vocino, residente a San Nicandro Garganico (Foggia), che ha perso il marito Matteo il 25 marzo 2020 ed insieme a Stefania Principale ha raccolto le storie di altre vedove da Covid 19 contenute nel libro, abbiamo chiesto di spiegarci il motivo diraccontare queste storie al femminile:

“Il Covid 19 ha colpito più duramente la fascia maschile della popolazione, anche su scala mondiale. Molte donne si sono trovate a vivere gli effetti drammatici di una malattia sconosciuta, che in tantissimi casi ha colpito a morte i loro compagni. Alcune caratteristiche innate legano le donne tra loro pur nelle rispettive diversità: complici e solidali nelle piccole cose della quotidianità, così come nei grandi tormenti.

E poi, quando arriva l’impensabile, il virus sconosciuto e letale che scompagina l’esistenza, nel dolore più cupo e desolante si sentono accomunate dalla perdita del proprio compagno, decidendo di condividere sofferenze e gioie che la vita continua a riservare loro.

Noi l’abbiamo fatto aderendo al gruppo ‘Unite dal dolore’, poi ribattezzato ‘Unite dall’amore’, fondato da Laura Mambriani su messenger. Siamo tutte vedove da Covid e ci sosteniamo a vicenda”.

In quale modo si può superare il dolore?

“La morte, con il suo bagaglio di dolore e di sofferenza, soprattutto quando arriva all’improvviso e coglie impreparati, si può superare condividendo il dolore, andare oltre la propria sofferenza e abbracciare quella di un’altra persona.

Trovare le parole per comunicarla e saper ascoltare quella degli altri implica mettersi insieme per rendere più sopportabile ciò che sarebbe umanamente difficile da sopportare. In quest’ottica è nato fra noi un auto-mutuo aiuto che rivela un esperimento sociale senza precedenti, come lo è l’esperienza della vedovanza da Covid”.

Cosa può nascere dal dolore?

“Il dolore, attraverso la forza dirompente della parola e della condivisione, diventa col tempo più dolce e poco alla volta lascia spazio all’amore. Questo è un piccolo miracolo che succede quando si ha la consapevolezza di non essere più soli e si decide di camminare insieme.

Nella nostra esperienza la sofferenza condivisa ha fatto nascere un’amicizia tanto forte quanto insolita: ciò che ci ha unite ha agito per il nostro bene, con la certezza che anche nel dolore più atroce, ingiustificato e inaspettato si possa nascondere un fiore”.  

Cosa ha significato per voi non essere vicine al proprio marito nell’ora della morte?

“Per molte l’ultima immagine dei nostri compagni è quella di uomini forti e sani saliti autonomamente sulle ambulanze, con sintomi riconducibili a una banale influenza, con la certezza di essere curati per tornare presto alla vita di sempre.

Nessuna di noi pensava che quella sarebbe stata l’ultima volta che li avremmo visti. La negata cura e assistenza da parte dei congiunti, i mancati abbracci e saluti finali hanno reso ancora più difficile e dolorosa la separazione.

Viviamo tuttora sospese, in una sorta di equilibrio instabile: ciò che è stato negato ci ha impedito di accettare con rassegnazione la morte. E’ come se la nostra mente non avesse registrato ciò che gli occhi non hanno visto: l’ultima immagine impressa nei nostri occhi è quella di uomini vivi”.

Alcuni anni fa è sorta l’associazione ‘Il Melograno’, componente del Forum delle associazioni familiari che opera da anni per i diritti delle persone vedove: ci può spiegare il suo compito?

“Si occupa dei diritti civili delle persone vedove aiutandole concretamente, con una particolare attenzione alle famiglie giovani. Si confronta con strutture e organismi pubblici, con varie realtà culturali e sociali, promuovendo iniziative di carattere ricreativo e di socializzazione”.

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