Da Lesbo papa Francesco esorta all’ospitalità

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A distanza di cinque anni papa Francesco è ritornato  sull’isola di Lesbo per incontrare nuovamente i rifugiati di Mytilene, dove vivono ancora 2200 persone, di cui il 72% proviene dall’Afghanistan ed un terzo sono minori, come ha sottolineato mons. Joseph Printezis, vescovo di Naxos-Tinos, accogliendolo:

“La ringraziamo per il Suo interesse per i migranti e i rifugiati, come anche per le società locali, come Lesbo, che hanno sopportato questo peso sproporzionato dell’afflusso dei migranti. Nel 2016 Lei aveva elogiato il popolo di Lesbo per la sua umanità e apertura di cuore verso i profughi che sono finiti sulle coste della nostra isola. Siamo onorati di questo riconoscimento e Le siamo grati”.

Lo ha ringraziato per il sostegno offerto a chi è impegnato nell’aiuto ai profughi: “La Sua parola conforta i perseguitati e fortifica i buoni Samaritani di quest’isola e di ogni luogo che li accoglie. A Lesbo e nelle altre isole greche, i profughi hanno incontrato cristiani (ortodossi e cattolici) disposti a sostenerli nella loro sofferenza…

Santo Padre, il Suo interesse sensibilizza le autorità e quelli che si impegnano per far uscire queste persone dall’impasse. La ringraziamo per essere diventato la voce di chi non ha voce. La Sua è la voce della pace. La ringraziamo per averci ricordato che nel volto di ogni rifugiato siamo chiamati a vedere il volto di Cristo”.

Papa Francesco, ringraziando le autorità per l’ospitalità, ha spiegato la visita: “Sono qui per dirvi che vi sono vicino, e dirlo col cuore. Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime”.

Riprendendo le parole del patriarca Bartolomeo nell’incontro del 2016 papa Francesco ha affermato che l’immigrazione è un problema che riguarda tutti: “Sì, è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti. La pandemia ci ha colpiti globalmente, ci ha fatti sentire tutti sulla stessa barca, ci ha fatto provare che cosa significa avere le stesse paure.

Abbiamo capito che le grandi questioni vanno affrontate insieme, perché al mondo d’oggi le soluzioni frammentate sono inadeguate. Ma mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici, tutto sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni”.

Il papa ha parlato in modo esplicito sulla situazione dei profughi, richiamando la Costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’: “Eppure ci sono in gioco persone, vite umane!

C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi, la storia lo insegna, portano a conseguenze disastrose”.

Non basta più salvare se stessi, ma occorre guardare la realtà: “E’ un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro.

La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!”

Il papa ha precisato che in questi cinque anni nulla è cambiato: “Dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria poco è cambiato. Certo, molti si sono impegnati nell’accoglienza e nell’integrazione, e vorrei ringraziare i tanti volontari e quanti a ogni livello (istituzionale, sociale, caritativo, politico) si sono sobbarcati grandi fatiche, prendendosi cura delle persone e della questione migratoria.

Riconosco l’impegno nel finanziare e costruire degne strutture di accoglienza e ringrazio di cuore la popolazione locale per il tanto bene fatto e i molti sacrifici provati. E vorrei ringraziare anche le autorità locali, che sono impegnate nel ricevere, nel custodire e portare avanti questa gente che viene da noi”.

Riprendendo le parole del presidente greco il papa ha ripreso un pensiero dello scrittore Elie Wiesel sulle vite umane in pericolo: “E quante condizioni indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte!

Eppure il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto!

E’ triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Siamo nell’epoca dei muri e dei fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli”.

Da qui lo stimolo a non arrendersi: “Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza.

E’ invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona”.

L’invito del papa è quello di ripartire dalla realtà: “Piuttosto che parteggiare sulle idee, può essere d’aiuto partire dalla realtà: fermarsi, dilatare lo sguardo, immergerlo nei problemi della maggioranza dell’umanità, di tante popolazioni vittime di emergenze umanitarie che non hanno creato ma soltanto subito, spesso dopo lunghe storie di sfruttamento ancora in corso…

Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione.

Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro, per superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui”.

E’un invito a fermare il ‘naufragio di civiltà’: “E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede invece compassione e misericordia (non dimentichiamo che questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza)”.

Riprendendo le parole di papa Benedetto XVI il papa ha esortato all’ospitalità: “La fede esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo.

Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. E il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

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