I Carabinieri dell’Arte oggi hanno riportato a casa una preziosa pala d’altare trafugata 42 anni fa a Vico Equense

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Questo sabato mattina 4 dicembre 2021, nella chiesa-santuario di Santa Maria del Toro a Vico Equense, il Comandante del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Napoli-Castel Sant’Elmo, il Tenente Massimiliano Croce ha riconsegnato alla Diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia un prezioso dipinto, trafugata il 28 aprile 1979. All’evento erano presenti l’Arcivescovo metropolita di Salerno-Castellamare di Stabia, Mons. Francesco Alfano; il Provinciale dei Carmelitani del Commissariato di Santa Maria La Bruna di Napoli, Padre Luciano Di Cerbo, O. Carm.; il Rettore del Santuario, Padre Gennaro Perrella, O.Carm.; il Sindaco, Giuseppe Aiello; e il parroco dei Santi Ciro e Giovanni, Don Ciro Esposito.

La preziosa opera d’arte – impropriamente definito “trittico” – è una pala d’altare datato 1555 delle dimensioni di 106×110 cm a olio su tavola, raffigurante la Madonna delle Grazie tra i Santi Arcangelo Michele ed Antonio di Padova, che si inserisce nella produzione manieristica napoletana, attribuita ad un artista della cerchia di Pietro Negroni (1505 -1567), pittore calabrese operante a Napoli.

L’opera, messa all’incanto da una nota casa d’aste, è stata individuata e recuperata dal Nucleo Carabinieri TPC di Napoli, le cui attività investigative sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Firenze, nell’ambito di una specifica attività di contrasto alla commercializzazione di opere d’arte rubate. La riconsegna dell’opera avvalora l’importanza della collaborazione fra l’Arma dei Carabinieri e gli Enti ecclesiastici, sviluppata anche attraverso la divulgazione della pubblicazione Linee Guida per la Tutela dei Beni Culturali Ecclesiastici, realizzata nel 2014 nell’ambito della collaborazione tra il Ministero della Cultura, l’Arma dei Carabinieri e la Conferenza Episcopale Italiana, che concilia le esigenze di protezione dei beni ecclesiastici, colpiti spesso da azioni criminose, e quelle devozionali.

“Ringrazio le Forze dell’Ordine per l’impegno profuso affinché la nostra città si riappropriasse di un’opera d’arte di rilevante valore religioso e civile”, era stato il commento di Don Pasquale Vanacore, Delegato per i Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, Cappellano della Delegazione di Napoli e Campania dell’Ordine Costantiniano, nell’invitare la cittadinanza a partecipare all’evento odierno.

“Non dovete ringraziarci, siamo sempre ben felici di restituire un’opera d’arte. Vorrei sottolineare l’importanza di catalogare i beni delle nostre comunità, faccio un appello a voi tutti: è necessario un piccolo impegno da parte vostra, solo attraverso una descrizione del bene e una rappresentazione degli stessi per noi sarà possibile un ritrovamento in caso di furto”, ha detto il Tenente Massimiliano Croce.

“Siamo una società che sogna poco, in questo momento di gioia grande, proviamo insieme a sognare un mondo più attento ai suoi beni, alle sue opere. Ma come si realizzano i sogni? Con ostinazione, ricercando il bene, il bello, un futuro migliore. Si realizzano assumendosi la propria responsabilità, credendo che è possibile riparare, raddrizzare, cercando una via giusta”, ha concluso Mons. Francesco Alfano.

Il recupero del dipinto della Madonna delle Grazie è stato possibile poiché dopo il furto e la successiva denuncia, sporta dal superiore dei Carmelitani dell’epoca, Padre Generoso Tarantino, una sua foto fu inserita nella banca dati del Comando dei Carabinieri del Nucleo Tutela Beni Culturali. Grazie alle indagini condotte dal Maresciallo Capo Pasquale Salamida e dall’Appuntato Scelto Matteo Scozzi, Postulante del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, diretti dal Tenente Massimiliano Croce e grazie all’impegno di Don Pasquale Vanacore, che ha presentato i documenti, comprovanti la sua effettiva provenienza dalla chiesa-santuario di Santa Maria del Toro di Vico Equense, l’opera è stato riconosciuto, sequestrato e oggi riconsegnato nel luogo della sua ubicazione originale.

Riportiamo di seguito delle informazioni sul dipinto e sulla chiesa-santuario di Santa Maria del Toro, fornite da Don Pasquale Vanacore e tratte da Wikipedia.

Il dipinto Madonna delle Michele Grazie tra i Santi Arcangelo ed Antonio di Padova, e la Chiesa di Santa Maria del Toro

Precedentemente al furto, il dipinto era esposto sulla parete laterale sinistra della chiesa di Santa Maria del Toro ed era inserito in una splendida e fastosa cornice barocca lasciata in situ dai ladri che si limitarono ad asportarne la cimasa raffigurante una testina d’angelo. In seguito la cornice fu riutilizzata per ospitare un moderno dipinto raffigurante San Giuseppe.

Il libro La Santa Visita Pastorale del 1888-92 di Mons. Giuseppe Giustiniani, Arcivescovo metropolita di Sorrento, a pagina 188, riferisce che il quadro allora si trovava sul terzo altare laterale posto a destra entrando. La sacra immagine è definita con molta precisione “Madonna del Suffragio dipinta in legno”, infatti nel dipinto la Vergine è raffigurata mentre si stringe la mammella destra da cui fuoriesce il latte  non per nutrire il Bambino Gesù bensì per refrigerare le Anime purganti (il napoletanissimo “ refrisco” del Priatorio), che dovevano trovarsi nella parte bassa della scena, probabilmente eliminata in un antico maldestro “restauro”.

Anche la presenza di San Michele Arcangelo è un richiamo alla destinazione finale delle anime dei defunti; secondo la tradizione cattolica infatti, l’Arcangelo è preposto alla presentazione al trono di Dio delle anime dopo la morte ed alla “pesatura” delle opere buone e di quelle cattive compiute in vita.

Certamente il dipinto fu commissionato dall’Estaurita di Santa Maria del Toro, ente laicale con finalità di culto e carità fondato nella prima metà del Cinquecento, che all’epoca governava la chiesa. L’edificio sacro non era ancora quello attuale bensì una cappella di modeste dimensioni ricostruita ed ampliata verso la fine di quello stesso secolo dopo la venuta dei Padri Teatini, fondati da San Gaetano nel 1524 insieme a Gianpietro Carafa, Vescovo di Chieti (Theate) con il nome di Chierici Regolari Minori; La Congregazione Teatina officerà la chiesa e resterà nel convento annesso fino alla soppressione napoleonica degli ordini religiosi, avvenuta nel 1807.

Molte erano le chiese vicane a regime estauritico. Tra di esse ricordiamo quella di Santa Maria a Chieia, oggi conosciuta con il titolo di San Francesco, San Renato di Moiano, San Michele Arcangelo di Ticciano, San Nicola e Sant’Andrea di Preazzano, San Nicola e Sant’Antonino di Arola, Santi Pietro e Paolo di Fornacelle e Montechiaro, Santa Maria di Pacognano. I Maestri Estauritari o Governatori avevano molti agganci a Napoli e spesso vi risiedevano essi stessi per molta parte dell’anno ed avendo molta disponibilità di danaro in quanto l’Estaurita gestiva molti beni frutto di lasciti e donazioni – era una piccola banca locale – si preoccupavano di acquistare il meglio della produzione artistica napoletana per le loro chiese.

Secondo le notizie storiche che possediamo, la fondazione della chiesa di Santa Maria del Toro fu opera di un gruppo di famiglie locali che vollero così garantirsi un luogo di culto vicino alle loro case, trovandosi lontano sia dal centro di Vico che dalla soprastante chiesa di Santa Maria a Chieia. L’occasione fu data dalla riscoperta in una grotta di un antico affresco raffigurante la Madonna, dimenticato e ricoperto dai rovi; la grotta si trovava sotto la strada, subito dopo il basamento del campanile. Il luogo era posto presso l’antica strada romana che collegava Stabiae a Surrentum, detta Via Minervia perché terminava presso il celebre santuario della dea posto a Punta Campanella -allora chiamato Promontorio di Minerva- ed aveva già in antico il nome di Toro nel senso di luogo elevato rispetto alla città. Altri toponimi del genere ricorrono spesso nel nostro territorio (Tuoro, Toriello, Torina, Montaro etc.) e a Priora, casale di Sorrento, sorge addirittura una chiesa con lo stesso titolo di Santa Maria del Toro.

A rendere il luogo affascinante non è solo la storia o il meraviglioso panorama che vi si gode, ma è soprattutto la leggenda che ammanta di miracoloso il ritrovamento della sacra immagine titolare della chiesa; essa, secondo il racconto riportato dallo storico locale don Gaetano Parascandolo, fu rinvenuta in seguito ad una luce prodigiosa che promanava dalla grotta, notata da una vecchietta che pascolava un toro nei suoi pressi. Un ulteriore sviluppo della leggenda voleva anche che il toro si inginocchiasse ogni qualvolta passava davanti alla grotta. Un altro racconto riferisce di una ragazza storpia, certa Caterina Bozzaotra, cui sarebbe apparsa la Madonna invitandola ad andare alla grotta per ottenere la guarigione; cosa effettivamente avvenuta non appena la fanciulla si fece portare sul posto.

La chiesa attuale è molto ampia ed ariosa, a pianta basilicale, un rettangolo absidato, affiancata da un alto e suggestivo campanile costruito a spese dell’Estaurita nel 1589, attualmente bisognoso di urgenti restauri per il distacco di parte degli intonaci e degli elementi in piperno. La navata della chiesa è ricoperta da uno splendido cassettonato ligneo a motivi floreali restaurato negli anni sessanta del secolo scorso; il presbiterio, sovrastato dalla cupola, accoglie un altare marmoreo settecentesco opera di artisti napoletani sul quale è esposta alla venerazione l’immagine della Madonna in trono con il Bambino tra le braccia e San Bernardino da Siena accanto, probabilmente staccata o ricopiata dalla grotta in cui si trovava originariamente. Ai lati dell’abside vi sono due affreschi riproducenti episodi della vita di S. Gaetano, nei pennacchi sono effigiate le quattro parti del mondo allora conosciute, nel tamburo le Beatitudini e nella cupola il Paradiso. Nella calotta dell’abside è riprodotta la scena della Pentecoste, giorno nel quale l’Estaurita festeggiava inizialmente la sua titolare Santa Maria del Toro, così come la non lontana Estaurita di Santa Maria a Chieia festeggiava la sua patrona il martedì successivo.

La chiesa, dopo la partenza dei Padri Teatini nel 1807, fu affidata al clero diocesano e poi, dal 1933, ai Padri Carmelitani del Commissariato di Santa Maria la Bruna di Napoli. Il suo ricco patrimonio è stato depauperato dai continui furti che si sono succeduti negli anni Settanta del secolo scorso. Tra le perdite più significative vi sono il quadro della Madonna del Rosario circondato dai quindici misteri, un Crocifisso ligneo seicentesco, il Bambinello della Statua della Madonna del Rosario, venerata anche con il titolo di Santa Maria del Toro e recata in processione per la città la prima domenica di settembre (Don Pasquale Vanacore).

Il Santuario di Santa Maria del Toro

Il santuario di Santa Maria del Toro è una chiesa monumentale situata nella zona collinare di Vico Equense ed appartenente alla parrocchia della chiesa dei Santi Ciro e Giovanni.

Esistono due leggende sull’origine del santuario: la prima vuole che nel 1458 un ricco signore fece dipingere su di una roccia la Vergine con il Bambino e alla sua destra San Bernardino da Siena; l’immagine fu per molti anni dimenticata e si ricoprì di rovi, fino al 1530 quando un’anziana donna, che portava a pascolo il suo toro, richiamata da una luce soprannaturale, scoprì la sacra icona. La seconda leggenda riguarda un toro che ogni volta che passava dinanzi alla rupe si inginocchiava; il fatto si ripeté fino a quando una notte, la Madonna apparve in sogno ad una ragazza storpia, Caterina Bozzaotra, chiedendole di andare alla grotta per ottenere la guarigione, evento che poi si verificò.

A seguito di queste due leggende fu eretta, tra il 1542 ed il 1549, in segno di devozione, una piccola cappella, gestita dai padri Teatini; tra il XVI e il XVII secolo, la cappella subì notevoli lavori di ristrutturazione e ampliamento e venne costruito il campanile. Nel 1807 l’intera struttura fu venduta a Saverio Parascandalo, che la trasformò in una stalla: solo alla fine del XIX secolo venne nuovamente restaurata e riaperta al culto per volere della Congregazione di carità di Vico Equense.

Lunetta sulla facciata esterna della chiesa-santuario di Santa Maria del Toro a Vico Equense.

Il sagrato della chiesa è circoscritto da un cancello in ferro fucinato e pavimentato con lastre di piperno; la facciata è divisa in due scomparti da una trabeazione: quella inferiore presenta al centro il portale d’ingresso sovrastato da una lunetta nella quale è raffigurata una Vergine col Bambino ed ai lati una coppia di paraste, mentre nella parte superiore si apre un ampio finestrone.

All’interno la chiesa presenta una pavimentazione in marmo, che ha sostituito quella originaria in maiolica, un soffitto a cassettoni del XVII secolo, realizzato in legno di tiglio e faggio ed un’unica navata, dalla lunghezza di trentadue metri, per una larghezza di dieci, lungo la quale si aprono sei cappelle, tra cui quella dedicata a Santa Maria, che presenta un altare in marmo di Carrara, sul quale poggia una statua della Vergine col Bambino, in legno, opera di uno sconosciuto, risalente al XVI secolo, che apparteneva originariamente ai principi di Satriano: la statua, che viene portata in processione durante la festa di Santa Maria del Toro, stringe tra le mani un giglio d’argento ed il bambino Gesù, quest’ultimo non originale, in quanto derubato nel 1974.

Un arco trionfale divide la navata della zona dell’altare maggiore, posto in un presbiterio quadrato, sormontato da una cupola a tutto sesto: l’altare è in stile barocco e risale alla metà del XVI secolo; vicino è posto un ambone di notevole fattura. In una nicchia absidata si trova l’affresco del Madonna col Bambino e San Bernardino di Siena. Nella cupola è affrescato il Paradiso e la Gloria di San Gaetano, attribuiti a Francesco Solimena, mentre tra le finestre del tamburo, sono raffigurate le quattro parti della Terra conosciute nel XVII secolo ossia l’Europa, l’Asia, raffigurata con l’incenso, l’Africa, con particolari tipi di frutta e l’America, con un pellerossa con frecce ed arco; ed ancora, nelle lunette sottostanti il tamburo, sono affrescate la visione del Natale di San Gaetano, l’agonia del Santo e la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. Il campanile, eretto nel 1578, è a pianta quadrata ed è alto trentacinque metri: la cella campanaria, di forma ottagonale e decorata con merli, ospita tre campane.

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