Papa Francesco a Cipro per abbattere un muro?

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“Quanti hanno perso la vita in mare! Oggi il ‘mare nostro’, il Mediterraneo, è un grande cimitero. Pellegrino alle sorgenti dell’umanità, mi recherò ancora a Lesvos, nella convinzione che le fonti del vivere comune torneranno a essere floride soltanto nella fraternità e nell’integrazione: insieme. Non c’è un’altra strada, e con questo desiderio vengo da voi”.

Con questo messaggio papa Francesco ha espresso la sua intenzione di questo pellegrinaggio a Cipro, che è un viaggio alle radici dell’Europa, dove insiste ancora un muro che divide un’isola ed una città. Per capire meglio le intenzioni di questo viaggio papale abbiamo chiesto a Luca Jahier, membro del CESE (Comitato Economico e Sociale dell’Europa, di cui è stato precedentemente presidente), di spiegarci il valore di questa visita:

“Questa visita è un fatto di assoluto rilievo. Ricordo che durante la mia presidenza del Comitato Economico e Sociale dell’Europa lanciai un progetto intorno ai muri d’Europa, partendo da Belfast, dove ancora esistono muri che dividono la città: sono quartieri in cui la sera vengono chiuse le porte, passando a Berlino ed in tutte le città confinanti con l’Europa occidentale, e finendo  a Cipro, dove ancora esiste un muro con una zona di non transito ed altamente minata, che divide in due l’isola con una città ‘fantasma’ come Famagosta.

In Europa i muri sono ancora una realtà, che bisognerebbe capire per evitare di costruirne altri. Quelli che oggi vogliono costruire muri dovrebbero andare sia a Belfast, dove la Brexit sta creando nuove divisioni e nuovi odi tra le comunità irlandesi; sia a Cipro, imparando che non si devono costruire i muri.

Mi auguro che a Cipro, dove la situazione è bloccata (anzi in questi anni si è complicata), la visita di papa Francesco possa contribuire a rimettere in moto un processo di riconciliazione nazionale. Anche se non si arrivasse a riconciliare Cipro, perlomeno si aprano in quel muro qualche varco in più e si faccia come a Berlino, quando si passò da due ad otto varchi autorizzati. Questo favorirebbe il dialogo nella stessa città di Nicosia, che è divisa con solo due accessi autorizzati dalle due parti”.

Più volte il papa ha richiamato la drammatica situazione dei migranti in Europa, dal Mediterraneo al Canale della Manica ed al confine tra Polonia e Bielorussia. Ci può spiegare cosa sta succedendo al confine tra Bielorussia e Polonia?

“Quello che sta succedendo sta nei giornali; ora per fortuna la situazione si è un po’ distesa dal punto di vista umanitario. Numeri limitati nei confronti dei quali si è costruito per diversi interessi un conflitto geopolitico di una gigantesca portata, ben al di sopra dei numeri della situazione dei migranti.

La situazione di crisi concerneva 2000 persone nei passaggi tra Polonia e Bielorussia ed altre 5.000 nel territorio bielorusso, che sono in diminuzione con alcuni voli di rientro ha provveduto a riportarli in Iraq. I dati sono quelli resi noti da Frontex, che dice che in un anno si sono registrati 8000 passaggi illegali, con un numero di persone probabilmente molto più basso. Il numero di passaggi nel fronte balcanico e nel mediterraneo centrale è di 50/60000 persone.

E’ un fenomeno assolutamente non comparabile. Al confine polacco-bielorusso insiste una doppia questione: da una parte l’utilizzo di un numero esiguo di migranti, orchestrato da Lukaschenko con la non opposizione di Putin ad utilizzare i migranti come arma di pressione alle frontiere dell’Unione Europea per creare una situazione di conflitto e lucrarci per altri riconoscimenti.

E’ chiaro che nei giorni di massima tensione c’è stata una minaccia di Lukaschenko di interrompere il flusso di gas verso l’Unione Europea in questa partita geopolitica; dall’altra parte ritengo che il governo polacco abbia reagito in modo spropositato davanti ad una crisi con numeri esigui, scegliendo un’escalation con oltre 15.000 soldati alla frontiera e stanziando € 380.000.000 per costruire un muro di filo spinato.

Con quella somma si potevano ospitare per un anno in hotel tutte 2000 persone senza invocare una crisi geopolitica, ricorrendo all’art. 4 del trattato della Nato.

Il governo polacco mira in questa situazione a due obiettivi: quello di creare un caso politico per compattare internamente la Nazione in modo da far passare in secondo piano i problemi interni. Il secondo obiettivo è quello di ottenere, insieme ai Paesi del ‘gruppo di Visegrad’, la priorità di difesa delle frontiere esterne con un finanziamento dell’Unione Europea la costruzione dei ‘muri’ ed altri ‘conflitti’ giuridici.

Quindi sulla partita di questi 2000 ‘disperati’, che vivono in condizioni disumane alla frontiera e che muoiono come quel bambino di un anno, si è costruita una partita geopolitica spropositata, resa possibile anche da un’azione incoerente dell’Unione Europea, che da otto anni è incapace di trovare un accordo complessivo sulle politiche dei migranti”.

Perché l’Europa ritorna a costruire i muri, dopo più di 30 anni dalla caduta di quello di Berlino?

“Non credo che l’Unione europea voglia costruire i muri; infatti non ha mai finanziato i muri, ma ha cercato di costruire ponti e strumenti di cooperazione. Però un numero crescente di Stati sembra aver dimenticato la lezione del passato e preferisce la costruzione di muri e molte altre ‘innovazioni’ tecnologiche, come gli ultrasuoni che causano danni all’udito dei migranti nelle foreste greche. E’ un paradosso!

Si è dimenticata la lezione che l’Europa si è costruita con l’abbattimento dei muri, che hanno diviso in due il nostro continente. Inoltre occorre sottolineare che i muri non hanno mai fermato nessuno; anzi i muri costruiscono fortezze facilmente assediabili e provocano dolore e morte tra le persone che vogliono attraversare questi muri. Inoltre i muri favoriscono ogni sorta di criminalità organizzata”.

Come riattivare il sogno di san Giovanni Paolo II dall’Atlantico agli Urali?

“Il grande sogno di san Giovanni Paolo II della riunificazione dell’Europa era che l’Europa ricominciasse a respirare con i suoi due polmoni. Purtroppo questo suo sogno è rimasto tale e non è stato perseguito con determinazione e lungimiranza. E non è stato perseguito neppure dalle Chiese, perché respirare con due polmoni avrebbe voluto dire anche riconciliare le memorie e le tradizioni culturali.

Invece l’Europa ha pensato di riunificarsi intorno ad una stessa idea di democrazia e di stato di diritto e di condivisione di valori,  che si erano forgiati nella costituzione dell’Unione Europea dopo la seconda guerra mondiale. Oggi ci rendiamo conto che la frattura sul rispetto dei diritti fondamentali della democrazia, scritto nell’art. 2 della costituzione dell’Unione Europea, sta creando nuove divisioni tra l’Europa centro occidentale e quella orientale.

Questa unione non è pienamente riuscita intorno al valore delle libertà fondamentali. Sicuramente abbiamo riunificato i mercati, permettendo la circolazione delle persone e delle merci; però non lo abbiamo fatto per riconciliare le memorie, anzi questa riunificazione è stata vissuta dall’Europa occidentale forse con un po’ di arroganza, perché gli Stati che avevano vissuto un periodo di buio sotto il giogo sovietico, dovevano rientrare nel cammino dell’Europa occidentale. Questi Stati hanno vissuto questo non riconoscimento della loro storia e delle loro ricchezze culturali, come una sorte di ‘diminutio’.

Questo senso di frustrazione è ancora vissuto in molti Paesi dell’Europa centro orientale, in cui molti leaders hanno invocato una nuova identità nazionale anti Bruxelles.

Se si vuole recuperare l’unità, penso sia necessario recuperare quel sogno di san Giovanni Paolo II bisogna fare un grosso lavoro culturale e spirituale di riconciliazione di questa memoria, avendo il coraggio di guardare alla storia europea e riconoscendo la pari dignità di diversi punti di vista e pensando che la costruzione dell’Europa non sia fatta soltanto da Roma, Parigi, Madrid, Berlino, Atene, ma anche dalle aspirazioni e dalle lotte avvenute a Budapest, Praga, Varsavia, Zagabria, a Sofia, recuperando anche un patrimonio che è maturato sotto il giogo comunista.

Se non faremo questa operazione profonda di ascolto, di rispetto reciproco e di ricostruzione di nuove sintesi, non riscopriremo la fase più avanzata di costruzione vera e di prospettiva, che guarda al futuro. Rischieremo di cadere nella cosa peggiore per l’Europa, trasformandola solamente in un ‘bancomat’ per gli Stati con una visione solamente utilitaristica, che è la distruzione dell’Europa stessa”.     

(Tratto da Aci Stampa)

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