L’Unione Europea “cancella” il Natale. Card. Parolin: “Non è così che si combattono le discriminazioni”. L’umiliante retromarcia di Ms. Dalli è solo un ritiro tattico

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Ritorniamo su un argomento, a cui ho già poco dopo mezzanotte dedicato un post sul mio diario Facebook [QUI] e a cui oggi il Direttore di Korazym.org ha dedicato un Editoriale [QUI]. Riporto di seguito mio post come introduzione alla condivisione di due articoli (rispettivamente da Famigliacristiana.it e da Rossoporpora.org).

Non siamo “cristiani addormentati” e neanche “preti di stato”, quindi siamo fiduciosi di poter sentire presto la parola energica e risolutiva dal Capo della Chiesa Universale, sul tema a cui è dedicata la riflessione di Famiglia Cristiana che segue. Potrebbe cercare ispirazione presso un suo predecessore, San Giovanni Paolo II: “«Non si tagliano le radici dalle quali si è nati» (Angelus, 20 giugno 2004). Anche come Argentino lo capisce certamente.

Intanto, questa mattina sulla vicenda si espresso il Cardinal Segretario di Stato Pietro Parolin, che, perso la pazienza, ha spiegato a Massimiliano Menichetti per Vatican News [QUI], che la tendenza purtroppo è quella di omologare tutto, non sapendo rispettare le giuste differenze, alla fine si rischia di distruggere la persona.

Massimiliano Menichetti: Eminenza qual è il suo pensiero su questa vicenda? Perché accade questo?
Cardinal Parolin: «Credo che sia giusta la preoccupazione di cancellare tutte le discriminazioni. È un cammino di cui abbiamo acquisito sempre più consapevolezza e che naturalmente deve tradursi anche sul terreno pratico. Però, a mio parere, questa non è certamente la strada per raggiungere questo scopo. Perché alla fine si rischia di distruggere, annientare la persona, in due direzioni principali. La prima, quella della differenziazione che caratterizza il nostro mondo, la tendenza purtroppo è quella di omologare tutto, non sapendo rispettare invece anche le giuste differenze, che naturalmente non devono diventare contrapposizione o fonte di discriminazione, ma devono integrarsi proprio per costruire una umanità piena e integrale. La seconda: la dimenticanza di ciò che è una realtà. E chi va contro la realtà si mette in serio pericolo. E poi c’è la cancellazione di quelle che sono le radici, soprattutto per quanto riguarda le feste cristiane, la dimensione cristiana anche della nostra Europa. Certo, noi sappiamo che l’Europa deve la sua esistenza e la sua identità a tanti apporti, ma certamente non si può dimenticare che uno degli apporti principali, se non il principale, è stato proprio il cristianesimo. Quindi, distruggere la differenza e distruggere le radici vuol dire proprio distruggere la persona».

Massimiliani Menichetti: Il Papa si appresta a partire per un viaggio in Europa dove certamente cultura, tradizione e valori segnano un cammino di accoglienza. Eppure c’è chi continua a costruire un’Europa che cancella le proprie radici…
Cardinal Parolin: «Sì, mi pare che il Papa, anche nel videomessaggio che ha rivolto alla Grecia e a Cipro prima della sua partenza, qualche giorno fa, sottolinea proprio questa dimensione europea: cioè, andare alle sorgenti dell’Europa, quindi ritrovare quelli che sono gli elementi costitutivi. Certamente, la cultura greca è uno di questi elementi. Poi, il Papa fa riferimento anche a Cipro come a una delle propaggini europee della Terra Santa. Quindi mi pare che questo viaggio arrivi proprio al momento giusto, è un viaggio che ci richiama proprio a queste dimensioni fondamentali che non possono essere cancellate. Dobbiamo ritrovare la capacità di integrare tutte queste realtà senza ignorarle, senza combatterle, senza eliminarle ed emarginarle».

Per chi è curioso di capire di cosa si occupa normalmente il Commissario per l’uguaglianza, Ms Helena Dalli, può andare a leggere il rapporto sulle azioni del primo anno di “Union Equality” (espressione che diventerà una mantra come un disco rotto che ha anche rotto) [QUI] (non è molto lungo, ma basta e avanza). Questa stipendiata con i soldi dei cittadini europei ha delle idee molte chiare sull’inclusione: escludere tutto quanto non entra nei parametri che ha stabilito, soprattutto sulla base dell’ideologia gender e il politicamente corretto.

Quando ieri mi è stato segnalato l’articolo di Francesco Giubilei sul Giornale del 28 ottobre 2021 con la notizia [QUI], non avendo fatto caso al nome dell’autore, a caldo non ci avevo creduto e avevo pensato alla solita fake news. Invece, la notizia era vera oltre l’immaginazione. Ecco, un esempio del principio che la fiction deve essere verosimile per essere credibile, mentre la realtà non ha questa necessità. #statodifollia

RIFLESSIONE
Se l’Europa “vieta” il Natale e i nomi cristiani per essere inclusivi
Le linee guida della Commissione europea per una “comunicazione inclusiva” puntano ad abolire le feste cristiane in nome del rispetto per le altre tradizioni religiose e persino la distinzione tra maschile e femminile
di Antonio Sanfrancesco
Famiglia Cristiana, 29 novembre 2021


L’obiettivo è avere una “comunicazione inclusiva”. Il risultato però è grottesco. Da un documento interno della Commissione Europea intitolato #UnionOfEquality. European Commission Guidelines for Inclusive Communication [QUI] e di cui ha parlato Il Giornale arrivano indicazioni precise sui criteri da adottare per i dipendenti della Commissione nella comunicazione sia esterna che interna. Per esempio, è bandita la parola Natale con tanto di esempio: meglio evitare «il periodo natalizio può essere stressante» e dire «il periodo delle vacanze può essere stressante». È raccomandato anche usare nomi generici anziché di «nomi cristiani». Altro esempio pratico: invece di dire «Maria e Giovanni sono una coppia internazionale», bisogna dire «Malika e Giulio sono una coppia internazionale».

Parole che possono essere equivocate come “colonialismo” vanno abolite: non si può dire, ad esempio, «colonizzazione di Marte» o «insediamento umano su Marte», meglio affermare «inviare umani su Marte».

Nella premessa il Commissario per l’uguaglianza Helena Dalli ricorda che «dobbiamo sempre offrire una comunicazione inclusiva, garantendo così che tutti siano apprezzati e riconosciuti in tutto il nostro materiale indipendentemente dal sesso, razza o origine etnica, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale». E quindi: vietato utilizzare nomi di genere come «operai o poliziotti» o usare il pronome maschile come pronome predefinito, vietato organizzare discussioni con un solo genere rappresentato (solo uomini o solo donne) e ancora, vietato utilizzare «Miss o Mrs» a meno che non sia il destinatario della comunicazione a esplicitarlo. E ancora: non si può iniziare una conferenza rivolgendosi al pubblico con la consueta espressione «Signori e signore» ma occorre utilizzare la formula neutra «cari colleghi».

Un capitolo ad hoc è dedicato «culture, stili di vita o credenze». La Commissione europea ci tiene a sottolineare di «evitare di considerare che chiunque sia cristiano» perciò «non tutti celebrano le vacanze natalizie (…) bisogna essere sensibili al fatto che le persone abbiano differenti tradizioni religiose». Ma fino a che punto deve spingersi questa, diciamo così, “sensibilità”? Omettendo di chiamare Natale il Natale?

L’impressione, più che di veicolare una comunicazione inclusiva, è che l’obiettivo sia quello di cancellare alcune feste cristiane e la differenza tra genere maschile e femminile come quando la Commissione scrive che bisogna evitare di usare espressioni come «il fuoco è la più grande invenzione dell’uomo» ma è giusto dire «il fuoco è la più grande invenzione dell’umanità».

«Non si tagliano le radici dalle quali si è nati», disse Giovanni Paolo II nell’Angelus del 20 giugno 2004, un anno prima di morire. Per il Papa polacco, la battaglia per un richiamo alle radici giudaico – cristiane nella Costituzione europea non era solo una formalità o il tentativo di issare una bandiera di appartenenza ma una pietra fondamentale per costruire l’edificio del Continente nel quale se si applicano i diritti umani, la libertà dei popoli, a cominciare da quella religiosa, il rispetto e il riconoscimento della dignità di ogni persona lo si deve anche al cristianesimo che nei secoli ha forgiato la politica, la storia, l’arte e la società dell’Europa.

Da un dibattito di alto profilo sulle radici cristiane dell’Europa siamo passati, in questi ultimi anni, ai diktat del politicamente corretto che svelano, con risultati a volte farseschi come in questo caso, la deriva verso il politicamente corretto che, non di rado, è l’anticamera del pensiero unico.

Follia dell’Unione Europa, un nuovo sessantotto?
di Giuseppe Rusconi
Rossoporpora.org, 30 novembre 2021

(Seguono estratti)

Qualche considerazione sul diffondersi di vere e proprie follie antropologiche che si cerca di ‘normalizzare’ attraverso l’uso di un linguaggio ad hoc. Questa mattina, martedì 30 novembre 2021, la Commissione europea ha ritirato (temporaneamente) il documento sulla comunicazione inclusiva, i cui contenuti antropologicamente folli erano stati rivelati lunedì 29: dure le critiche espresse anche dal Segretario di Stato Cardinale Parolin.

Sempre più spesso si è costretti a porsi una domanda preoccupata: proveniente da Oltreoceano sta forse irrompendo nella società europea e dunque anche italiana il vento folle di un nuovo Sessantotto? È evidente che il clima di incertezza e di smarrimento esistenziali creati dalla situazione sanitaria e dalle misure ad essa connesse offrono un’occasione insperata a chi da tempo lavora per una rivoluzione antropologica mondiale. Lo ha rilevato compiaciuto lo stesso speculatore “filantropo” George Soros in un’intervista dell’11 maggio 2020 a Project Syndicate: “Già prima che scoppiasse la pandemia mi ero reso conto che ci trovavamo in un momento rivoluzionario in cui ciò che sarebbe stato impossibile o addirittura inconcepibile in tempi normali non solo era divenuto possibile, ma forse anche assolutamente necessario”.  E alla Repubblica del 12 agosto 2020 ha ribadito il medesimo concetto: “È una situazione rivoluzionaria con sviluppi imprevedibili. Quel che sembra impossibile nella normalità non solo diventa possibile, ma si verifica” [QUI].

Non passa ormai giorno senza che i media e i social diano notizia di iniziative e fatti che solo pochi anni fa sarebbero stati giudicati “impossibili” e semmai definiti come “roba da pazzi”. Oggi invece il tristo “politicamente corretto” dominante li fa passare da pagine e schermi come eventi che rientrano in una ormai comprovata “normalità”.

A Brussel tra le molte follie già prodotte dagli euroburocrati l’ultima – rivelata su Il Giornale dal brillante e combattivo Francesco Giubilei (Giubilei Regnani editore, Cesena) – riguarda le nuove linee-guida della Commissione europea per una “Comunicazione inclusiva”. È un testo di 32 pagine – destinato in primo luogo a tutti i dipendenti – in cui la Commissione rivendica il suo ruolo esemplare nel perseguire un linguaggio mirato al rispetto di ogni persona umana. Intenzione certo lodevole, di contrasto a quell’imbarbarimento dello stesso linguaggio che si registra da anni un po’ dappertutto e dovuto anche (oltre che a un diffuso regresso culturale) all’avvelenamento – in atto da anni – indotto da trasmissioni radiofoniche e televisive (anche dei media di Stato) e da social che fomentano i peggiori istinti.

Tuttavia molti codici di buon comportamento lessicale (ripetiamo: in sé apprezzabili per certi versi) nella realtà non sono altro che un fondamentale cavallo di Troia per il progresso della sovversione antropologica. Che- è utile ribadirlo – mostra sempre più spesso il suo volto totalitario (presentandosi magari con tratti suadenti a beneficio delle ‘anime belle’), negatrice nei fatti della libertà di espressione.

Il documento, in inglese, della Commissione non fa eccezione. Nelle 14 righe della prefazione di Helena Dalli (Commissario europeo all’uguaglianza) e nelle due pagine dell’introduzione è tutto un inno alla necessità di un linguaggio inclusivo da utilizzare nelle comunicazioni “interne ed esterne” di Brussl, con un primo assaggio di punti irrinunciabili da concretizzare. Seguono sette capitoletti dedicati a ambiti diversi (genere, lgbtiq, racial&ethnic background, culture/stili di vita/credenze, disabilità, età, un ultimo per l’accesso all’online). A pagina 7 uno schemino riassuntivo delle domande che ci si deve porre quando si prepara un materiale comunicativo. Ad esempio, per quanto riguarda le immagini, bisogna chiedersi: “Sono sicuro di non rappresentare con stereotipi le tematiche riguardanti il gender, l’età, l’etnia e altri ambiti?”. Ogni capitoletto ha una breve introduzione seguita da esempi pratici sul lessico da evitare e quello sostitutivo.

Due esempi tra i tanti nel capitolo dedicato al genere: vietato scrivere “Il fuoco è l’invenzione più grande dell’uomo”, da sostituire con “dell’umanità”. Oppure: businessman e policeman sono da sostituire con businessperson e police officer. Ancora: “Si faccia attenzione a non menzionare sempre lo stesso sesso al primo posto nell’ordine del discorso”. Nel capitolo Lgbtiq, oltre a presentare la bandiera della categoria da pubblicizzare, si prescrive di rappresentare sempre, quando si parla di famiglia, l’intero universo di quelle che noi chiamiamo “configurazioni affettive” e che la Commissione designa invece come “famiglie”. Ancora: non si deve offrire come opzione nei moduli dedicati solo il maschile e femminile, ma anche “altro” e “preferisco non dirlo”. A pagina 19 troviamo l’ambito delle culture/stili di vita/credenze: e qui non poteva mancare nell’Europa post-cristiana (anzi sempre più anti-cristiana) l’ordine di evitare espressioni come “Il periodo di Natale può essere stressante” a beneficio di… “Il periodo delle vacanze può essere stressante”. Ancora: quando si racconta un esempio bisogna evitare di attribuire ai protagonisti solo “nomi tipici di una religione” (leggi: cristianesimo e anche ebraismo). E allora no a “Maria e Giovanni sono una coppia internazionale” e sì a “Malika e Julio sono una coppia internazionale”. Ma qui ci fermiamo… non si riesce più a vedere il fondo! O forse sì: basta scrivere “colonizzazione di Marte”, viva invece l’“invio di umani su Marte”. Questo è vero progresso!

Contrordine compagni! Ritirato stamattina, 30 novembre, il documento dopo le dure critiche non solo di Polonia e Ungheria, ma anche della Vox spagnola e del centrodestra italiano. Pure del Cardinal Segretario di Stato Pietro Parolin, che così ha tra l’altro dichiarato: “Chi va contro la realtà, si mette in serio pericolo. (…) Distruggere la differenza e distruggere le radici vuol dire proprio distruggere la persona”.

La Commissione europea, confrontata con la bufera montante, ha scelto di fare retromarcia. Ha dichiarato Helena Dalli, Commissario all’uguaglianza, che “il documento non è maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su di esso”. Domanda: ma la Dalli (che deve avere una faccia tosta incommensurabile) non è la stessa che ha firmato la prefazione del documento inneggiante alla svolta antropologica? Oppure siamo davanti a un caso di sdoppiamento della personalità? A questo punto, però, niente trionfalismi. L’umiliante retromarcia della Dalli, della Commissione (e della nota lobby) va considerata solo come un ritiro tattico. Calmate le acque, il documento verrà con tutta probabilità riproposto con minimi cambiamenti. Attenti dunque a non abbassare la guardia!

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