Mercoledì 8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria e antica Festa Nazionale del Regno delle Due Sicilie

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Il Presidente del Real Circolo Francesco II di Borbone, Gr. Uff. Dott. Paolo Rivelli, ci ha invitato alle celebrazioni di mercoledì 8 dicembre 2021, in occasione della Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, antica Festa Nazionale del Regno delle Due Sicilie, presso la Chiesa di Santa Maria di Materdei, nella Piazzetta Materdei, rione Materdei di Napoli a Napoli.

Le celebrazioni iniziano alle ore 11.30 con la processione e la deposizione di un omaggio floreale ai piedi della Guglia dell’Immacolata di Materdei. Segue alle ore 12.00 l’ingresso solenne dell’Immagine dell’Immacolata Concezione e la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da Don Salvatore Candela. Al termine della Santa Messa segue la tradizionale cerimonia di benedizione delle bandiere storiche sul sagrato della Chiesa di Santa Maria di Materdei.

Poi, per gentile concessione di S.A.R. il Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie, Gran Maestro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, alle ore 17.30 nella Chiesa di Santa Maria di Materdei verrà offerto un Concerto per la Solennità della Immacolata Concezione. L’Orchestra San Giovanni, diretto da Keith Goodman, con il baritono Maurizio Esposito [QUI], eseguirà: G. Paisiello, Inno del Re; F. Haendel, Cantate Dominum; P. Mascagni, Ave Maria; Anonimo, Canto dei Popoli del Regno delle Due Sicilie nel 1861; E. Morricone, Tre brani; A.C. Adam, Cantique de Noel; F. X. Gruber, Stille Nacht; D. Shostakovich, Valzer; I. Berlin, White Christmas; Sant’Alfonso M.de Liguori, Quanno nascette Ninno.

Il concerto si caratterizza per l’esecuzione del “Canto dei Popoli del Regno delle Due Sicilie nel 1861” nella sua prima esecuzione pubblica moderna, in versione orchestrale ad opera del Maestro Keith Goodman, grazie anche alla disponibilità dell’Archivio Centrale di Stato di Napoli (Fondo Questura di NapoliGabinettoI serie, busta 6).

Il 17 ottobre 1861 Francesco Petrelli, Ispettore della prima Divisione della Questura di Napoli, riceve nel suo ufficio Giuseppe Albano, “figlio del fu Michele, di Napoli, di anni 49, Professore di musica, e 1mo flauto della Cappella Reale”. Albano deve riferire all’ispettore Petrelli un avvenimento singolare accadutogli poche ore prima. Si era recato, come era solito fare, ad intrattenersi nel negozio di strumenti a fiato al numero 29 di Largo Castello gestito da Cesare Ruggiero, “figlio del fu Nicola, nativo di Airola”, ma napoletano d’adozione da quattro decenni. Il Ruggiero gli aveva allora consegnato un plico sotto fascia pervenutogli in negozio all’indirizzo di Vincenzo Albano, fratello del dichiarante, “professore di flauto nel Real Teatro di S. Carlo”. Giuseppe Albano lo aveva aperto e, con sua grande sorpresa, si era reso conto che il plico conteneva niente meno che “un inno messo in musica” celebrante il deposto Re Francesco II di Borbone. Ignorando – a suo dire – il mittente e la provenienza del compromettente collo, si era affrettato ad andare in questura per denunciare il fatto e “darne partecipazione per suo discarico”.

Ricevuta la denuncia, lo zelante Ispettore Petrelli manda subito a chiamare il Ruggiero. Questi conferma la deposizione dell’Albano e, anzi, aggiunge che il plico gli era stato consegnato alle due e mezzo pomeridiane da un “portalettere della regia posta”, insieme con una lettera “direttagli da suo figlio Giovanni, che trovasi in Torino come cantante”. Non solo: il Ruggiero esibisce al pubblico ufficiale lo spartito della sovversiva composizione, che Petrelli puntualmente manda al Questore.

Il curioso incidente, però, non termina qui. Il Segretario generale della Questura comunica l’accaduto al Direttore compartimentale delle Poste nelle Province meridionali, il piemontese Carlo Vaccheri, raccomandandogli “di far verificare se trovinsi tuttavia in posta altri pieghi siffatti per impedire che sieno portati al loro destino” e di permettere a un delegato della stessa questura di interrogare tutti i postini che avevano prestato servizio in quella fatidica giornata del 17 ottobre “per conoscere, se sia possibile, con ogni maniera di segreto, a quali altre persone sono stati trasmessi de’ fogli somiglianti”.

Due giorni più tardi Vaccheri dà riscontro alla richiesta, avvertendo che la sera del 16 ottobre precedente erano arrivati a Napoli, provenienti da Roma, 42 stampati, “fra quali 40 giornali, ossia stampe periodiche”. Considerato che quaranta “sono appunto gli stampati ordinari che giungono in ogni giorno da Roma”, il direttore compartimentale delle Poste conclude con impeccabile logica: “È da supporsi che un solo od al più due fossero i pieghi contenenti l’Inno Borbonico di cui è menzione”.

Vaccheri assicura di aver fatto anche interrogare i capiservizio, i quali avevano risposto di non ricordarsi d’aver notato un altro piego uguale a quello presentato; garantisce infine di aver impartito le opportune disposizioni “pel sequestro di quegli altri esemplari che fossero per arrivare”.

Qui si conclude l’affare, per quanto ne sappiamo.

Ma le carte del fondo Questura dell’Archivio di Stato di Napoli, da cui sono tratte le precedenti citazioni, ci hanno lasciato in eredità anche lo spartito dell’inno, recante sul frontespizio il titolo Canto dei Popoli del Regno delle Due Sicilie nel 1861, nonché l’indicazione – quasi certamente fittizia – del presunto stampatore, la “Litografia Partenopea a Toledo”, e perfino quella del prezzo di vendita: 60 grana.

Il Canto, come si è detto, è pervenuto in una versione per canto e pianoforte di 92 battute. Le prime venti sono in mi bemolle maggiore, 4/4, “Allegro Maestoso”. Seguono 48 battute in 2/4, “Tempo di Polka”, in la bemolle maggiore. Infine si torna al tempo iniziale: 24 battute, 4/4, in mi bemolle maggiore (Filo dritto, 13 ottobre 2021).

La bandiera delle Due Sicilie è un patrimonio storico e culturale, segno di Identità, coesione e appartenenza

Il Real Circolo Francesco II di Borbone, nel giorno in cui si celebra l’Immacolata Concezione di Maria, Protettrice del Regno delle Due Sicilie, invita a radunarsi a Napoli per invocare lo sguardo benevolo della Madre di Dio, in virtù di una antica devozione particolare da parte dei popoli, che storicamente appartenevano al suo territorio. Invita ad assistere alla Solenne Celebrazione Eucaristica e per far benedire le antiche bandiere, in segno di riconciliazione a Lei con la propria cultura e le proprie tradizioni.

La bandiera delle Due Sicilie è un patrimonio storico, culturale e identitario di grande virtù per il Meridione d’Italia e in questo momento storico, la mancanza di valori ha causato una profonda crisi nella società, con l’avanzata del deserto spirituale e culturale. Questa bandiera, lungi dall’essere un simbolo politico, è la rappresentazione dell’identità, della coesione e dell’appartenenza alla antica nazione dei popoli dell’Italia Meridionale, oggi parte fondamentale e imprescindibile dell’Italia, con un altissimo valore evocativo. Infatti in essa è racchiuso quasi un millennio di storia del Sud d’Italia e dell’Europa, il suo significato simbolico parte dagli Altavilla, passando per gli Svevi, gli Aragonesi e gli Angiò arriva attraverso i Borbone ai nostri giorni. Questa bandiera racchiude e incarna oltre al Meridione anche la storia e le radici della cultura cristiana europea, indipendentemente dal fatto che simboleggi una nazione, una regione o una città, porta con sé l’idea di un gruppo di uomini uniti dal medesimo destino. Essa diviene un potente veicolo di emozioni che suscita un sentimento di comune appartenenza e incarna i tre valori fondamentali peculiari di una comunità di persone: identità, coesione e appartenenza.

Due regni, “uniti” dal 1130, quando Ruggiero d’Altavilla, meglio noto come Ruggiero il Normanno, partendo dalla Sicilia estese i suoi domini fino a Napoli. Uomo di straordinaria cultura, Ruggiero parlava correntemente arabo, greco, latino e siciliano, incrementò sempre la cultura, fosse essa importata o autoctona e lasciò libertà di credo religioso a tutti i sudditi del suo regno. Lo stemma che portò con sé consisteva in una banda duplicata divisa a sua volta in cinque quadrati per due colori: il rosso e l’argento in campo azzurro. Secondo la cultura tedesca pare che l’azzurro e l’argento simboleggino un animo che ha come vocazione quella di acquistare per sé domini e il colore rosso, così frequente anche nella cultura mediterranea, nel medioevo era strettamente legato alla vittoria sui propri nemici.

La bandiera del Regno delle Due Sicilie riporta lo stemma della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie. posto più vicino all’inferitura che non al battente. Lo stemma riporta una serie di simboli cari ai Borbone delle Due Sicilie, i simboli dei Farnese, degli Asburgo, della Borgogna, della Castiglia León, di Aragona, degli Svevi-Aragonesi, dei Medici, del Portogallo, dell’Austria, dei Borbone-Angiò, della Borgogna, della Fiandra, del Tirolo, del Brabante, del Regno di Gerusalemme, di Granata, dell’Ordine dello Spirito Santo, dell’Insigne e Reale Ordine di San Gennaro, del Reale e Distinto Ordine Spagnolo di Carlo III, del Reale ordine di San Ferdinando e del merito, del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, dell’Ordine del Toson d’Oro.

Il Regno delle Due Sicilie era il più grande degli Stati d’Italia prima dell’unificazione italiana. Fu formato come unione del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli e si estendeva lungo il Mezzogiorno e l’isola della Sicilia. È durato dal 1815 al 1860, quando fu annessa dal Regno di Sardegna per formare il Regno d’Italia nel 1861.

La Solennità dell’Immacolata Concezione

La Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria che si celebra l’8 dicembre in ricordo del dogma formulato da San Pio IX (al secolo Giovanni M. Mastai Ferretti) 8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, con cui dichiarò la Santissima Vergine Maria immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Chiuse così un dibattito teologico plurisecolare, dando rilievo alla continuità della fede e alla tradizione devota. Per mezzo del suo vicario, il Cardinale Costantino Patrizi, fece sapere ai fedeli di Roma, che tutto il mondo alzava inni di lode alla Santissima Vergine Immacolata Madre di Dio. Schiere di fedeli esprimevano con esultanza la loro devozione e rivolgevano le loro preghiere alla Madre del Signore. Tanto più il giubilo e la festa in onore dell’Immacolata Concezione pervadevano Roma, la città santa.

Poi l’evento successivo all’8 dicembre 1854, tanto più significativo quanto lo si connette alla formulazione del dogma. L’11 febbraio 1858 si avrà a Lourdes (Lorda in lingua occitana) la prima apparizione della Vergine Maria a Santa Benedette Soubirous. Ma delle diciotto apparizioni in totale, una delle più importanti fu la sedicesima, che avverrà il 25 marzo 1858. “La bella signora” rispose alla domanda della piccola contadina, che le aveva chiesto chi fosse. Bernadette raccontò: «Lei, allora, alzò gli occhi al cielo, unendo, in segno di preghiera, le Sue mani che erano tese e aperte verso la Terra, e mi disse: “Que soy era Immaculada Councepciou” (Io sono l’Immacolata Concezione)». La Madonna parlò con Bernadette nel dialetto guascone di quel territorio, l’unica lingua che la piccola contadina parla. Bisogna tener presente che Bernadette, analfabeta, non sapeva neanche cosa volessero dire quelle parole, certamente incomprensibili a una bambina che non aveva neanche frequentato il catechismo e che, anche se così fosse stato, era nell’impossibilità di entrare in un mistero di “alta teologia” così profondo, come quello della concezione immacolata della Vergine Maria. Eppure, furono proprio quelle parole a colpirla così tanto che rimasero impresse nella su memoria durante il camino per andare riferire al suo parroco, Don Peyramale che sorpreso da tale espressione, tanto che fu proprio questa a dissipare ogni dubbio sulla veridicità della testimonianza di Bernadette, perché quattro anni prima Papa Pio IX aveva promulgato il dogma dell’Immacolata Concezione. Rendere autentiche le parole della piccola contadina, in questa maniera fu la Beata Vergine Maria stessa, a confermare il dogma.

Scipione Pulzone da Gaeta, L’Assunta, 1587, Cappella d’Oro, Chiesa dell’Immacolata Concezione, Gaeta.

Il mistero della Madre Celeste Immacolata custodito a Gaeta

«A Gaeta, nella Cappella d’oro, qualcosa accadde, sino a indurre il Segretario di Sua Santità a predisporre il massimo silenzio ed isolamento. In quella notte fredda, l’altare era rimasto illuminato non solo dai ceri quando la Madre Celeste appoggiò il suo sguardo d’amore sul volto del suo servo prediletto» (Don Paolo Capobianco).

Dal 24 novembre 1848 al 12 aprile 1850 Papa Pio IX fu esule a Gaeta a seguito della rivolta della Repubblica Romana, ospite di Re Ferdinando II di Borbone (sovrano del Regno delle Due Sicilie dall’8 novembre 1830 al 22 maggio 1859). Nel suo soggiorno a Gaeta, Papa Pio IX amava pregare innanzi all’immagine della Vergine Maria di Scipione Pulzone nella Cappella d’Oro della Chiesa dell’Immacolata Concezione. Ed è lì che ha avuto l’ispirazione per la stesura del Dogma dell’Immacolata Concezione. Proprio da Gaeta il 2 febbraio 1849 Papa Pio IX scrisse la lettera enciclica Ubi primum per consultare l’episcopato mondiale in merito alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria.

Su questi avvenimenti, esiste una versione storica, «proposta dal Brunetti: “Quando Pio IX il 25 novembre del 1848 si rifugiò a Gaeta (dove San Leonardo da Porto San Maurizio aveva nel ‘700 espletato una delle sue circa 300 missioni evangelizzatrici), il Re delle due Sicilie Ferdinando II gli offre ospitalità, ma dietro suggerimento degli Alcantarini di Napoli (che a Gaeta avevano l’importante Santuario della Montagna Spaccata) e per mezzo del suo Ambasciatore il Duca di Serracapriola, curatore degli affari economici dei francescani, gli chiede come contraccambio la definizione dogmatica dell’Immacolata. Nella sua risposta all’inviato reale Pio IX dichiara che le grandi parole di San Leonardo e le suppliche del mondo cristiano non gli lasciano più riposo e che è ben risoluto all’azione. Infatti il 2 febbraio 1849 pubblica da Gaeta l’enciclica Ubi Primum, nella quale chiede all’episcopato di tutto il mondo di fargli conoscere con lettere il suo pensiero e quello dei fedeli riguardo all’Immacolata Concezione”.
«Il ricorso ai Vescovi della cristianità con le modalità dell’Ubi Primum, in fondo non è altro che quel “Concilio per iscritto e senza spese” preconizzato da San Leonardo presso Clemente XII e Benedetto XIV, nella citata lettera profetica. Il risultato finale è noto: l’8 dicembre 1854 il dogma è proclamato con l’Ineffabilis Deus.
«In definitiva si può affermare che la devozione, la propensione privata, le emozioni e le suggestioni gaetane di Giovanni M. Mastai Ferretti hanno avuto, certo, la loro parte a rafforzare la determinazione che Pio IX sembra aver assunto già nel momento che si sentì sulla fronte la tiara pontificia: porre fine alla secolare controversia teologica e di definire l’Immacolata Concezione.
«In questa ricostruzione tra il vero e il verosimile, ci piace sottolineare la grande propulsione a favore della proclamazione del dogma che venne dal Sud, dal clero del Reame delle Due Sicilie.
«Si espressero favorevolmente: il Cardinale Arcivescovo di Capua, il Cardinale Arcivescovo di Napoli, i Vescovi di Chieti, Manfredonia, Anastasiopoli (in partibus), L’Aquila, Lipari, Tursi, Oppido, Sessa, Policastro, Nocera e Nusco» (Francesco Schiano, La “Cappella d’Oro” il luogo del mistero, Rete del Regno delle Due Sicilie, 8 dicembre 2012).

Le statue dell’Immacolata a Napoli in piazza di Gesù Nuovo e nella piazzetta di Materdei, a Parlermo davanti alla chiesa di San Domenico

Il giorno dell’8 dicembre ha un legame speciale con l’antico Regno delle Due Sicilie. La devozione della dinastia Borbone e del popolo delle Due Sicilie alla Vergine Maria era sempre stata forte. Il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia furono riuniti nel Regno delle Due Sicilie l’8 dicembre 1816 con la promulgazione della legge fondamentale del Regno. Da allora per tradizione questo giorno era Festa Nazionale nelle Due Sicilie. Dall’8 dicembre 1854 Maria Immacolata divenne anche la Protettrice, la Patrona di questa antica nazione, che ancora oggi dispiega il suo manto protettivo sui suoi popoli. L’8 dicembre 1857, Papa Pio IX inaugurò e benedisse a Roma il monumento dell’Immacolata, detto di Piazza di Spagna, interamente finanziato dal Re Ferdinando II delle Due Sicilie, che ogni anno per tradizione vede gli omaggi floreali del Papa e di tanti cittadini e istituzioni.

L’Obelisco dell’Immacolata Concezione o Guglia dell’Immacolata Concezione a Napoli, un gigantesco simbolo di devozione mariana napoletana, si innalza in una delle piazze simbolo del centro storico di Napoli, piazza del Gesù Nuovo, attraversata dalla via Spaccanapoli, tra l’omonimo convento e il complesso monumentale della Real Basilica di Santa Chiara. Il gesuita Francesco Pepe lo volle erigere nel 1747, per onorare la gloria del dogma dell’Immacolata Concezione, con grande costernazione del Duca Monteleone che temeva l’abbattimento dell’alta e svettante costruzione sulla facciata del suo palazzo Pignatelli di Monteleone, posto a pochi passi di lì, visto che Napoli è stata funestata da rovinosi terremoti che dal medioevo hanno distrutto sistematicamente quasi tutti i monumenti più importanti della città. Tuttavia le proteste del Duca Monteleone non ottennero il favore del Re Carlo III [*], che, invece, avrebbe voluto collaborare alla grande “colletta” popolare voluta da Padre Pepe, il quale rifiutò per riuscire da solo – e riuscendoci – a mettere insieme la cifra per pagare gli artisti che collaborarono alla realizzazione dell’Obelisco dell’Immacolata, secondo il progetto di Giuseppe Genoino, eseguito da Giuseppe Di Fiore, aiutato dall’architetto gesuita Filippo D’Amato tra i più fiorenti architetti di quel periodo. Per le sculture marmoree, invece, vennero ingaggiati Matteo Bottiglieri e Francesco Pagano che seguivano le orme del pittore, scultore e architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro. In quegli anni la guglia era circondata da una cancellata sulla quale originariamente erano poste dodici lanterne. La statua in rame della Beata Vergine Maria posta in cima, ogni 8 dicembre viene onorata con una corona di fiori in occasione della Solennità dell’Immacolata Concezione. Sul basamento, decorato con fiori, medaglioni, panneggi, si innalza il primo livello dove sono scolpite quattro coppie di puttini con gli emblemi dell’Immacolata (il sole, le stelle e la mezzaluna). Al secondo livello corrispondono quattro santi gesuiti: Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio, San Francesco Regis e San Francesco Borgia. Alla stessa altezza sono scolpiti i rilievi con quattro episodi evangelici legati a Maria: l’Annunciazione, la Nascita della Vergine, la Presentazione al Tempio e l’Assunzione (o Coronazione di Maria della SS. Trinità). Nell’ultimo registro ritroviamo ancora altri quattro puttini e, successivamente, due ovali, contornati di decorazioni, accolgono i busti di San Luigi Gonzaga e San Stanislao Kotska.

[*] Carlo Sebastiano di Borbone e Farnese (Madrid, 20 gennaio 1716 – Madrid, 14 dicembre 1788), primogenito di Filippo V di Spagna in seconde nozze con Elisabetta Farnese, è stato Duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I dal 1731 al 1735, Re di Napoli con il nome di Carlo dal 1734 al 1759, Re di Sicilia con il nome di Carlo III dal 1735 al 1759, Re di Spagna con il nome di Carlo III dal 1759 fino alla morte. Il suo titolo dinastico era, come si legge nei decreti legislativi, Re della Sicilia al di qua e della Sicilia al di là del Faro.

La Guglia dell’Immacolata di Materdei a Napoli [QUI], nella piazzetta di Materdei, lo slargo prospiciente via Ugo Falcando, prima di essere collocato nel luogo attuale, si trovava nel chiostro dell’ex-conservatorio della Concezione. Nel 2003, dopo pressioni da parte di comitati locali, il monumento fu sottoposto a restauro. Nel giugno 2004, inaugurato nel suo ritrovato splendore e nella sua nuova collocazione, gli abitanti della zona applaudirono quanti avevano contribuito a realizzare un sogno, all’ombra del filare di arance. Illuminata anche di sera, la guglia fu eletta a simbolo della continuità e dei legami tra generazioni e secoli pur diversi e distanti, ma uniti dalla comune volontà di rafforzare memoria e identità della Città.

La Vergine che svetta sulla Guglia, un tempo coronata come una regina, col braccio sinistro sostiene Gesù Bambino che mantiene un libro, mentre stringe nella mano destra il globo terrestre, consapevole del proprio potere e del proprio destino. Sotto i piedi della Madonna, sotto lo scoglio, scolpiti in un raffinato bassorilievo, affiorano due minuscoli cherubini ridenti. I panneggi dell’abito drappeggiato, ricoperto dal mantello, hanno movenze sinuose ed eleganti e lasciano appena intuire un incedere solenne e lieve.

La statua, di gusto vaccariano, è alto 10 metri, in marmo bianco e piperno e presenta i tipici caratteri dell’arte barocca, linee morbide e ardite, volumi e fregi sfarzosi. Agli angoli del monumento si trovano quattro piccole basi in marmo e piperno, della stessa fattura e provenienza della Guglia.

La statua che oggi domina lo slargo dove si trova la guglia è una copia dell’originale, ritenuta dopo i restauri opera di Domenico Gagini e databile verso il 1470, custodita nel Museo Civico di Castel Nuovo per evitare che il prezioso monumento ripiombasse nel deterioramento che aveva subito per molto tempo fino al restauro. Un’altra copia è stata donata alla chiesa di Santa Maria di Materdei.

La statua di Santa Maria Materdei originale. Purtroppo l’ossidazione della corona della Vergine, in bronzo dorato, con il tempo era stato assorbito dal manto, ora striato in blu-turchese.

Dato il grande scarto temporale tra la statua di Gagini e la Guglia, sono state fatte molte ipotesi sull’origine. Si sostiene che la statua sia stata posta sul piedistallo per fungere da modello per la più famosa (e coeva) guglia dell’Immacolata di Piazza del Gesù Nuovo, voluta dal gesuita Francesco Pepe, che nel 1743 aveva fondato il Conservatorio della Concezione, dove il monumento era in precedenza collocato. Questa ipotesi è stata fatta (in parte) propria da Francesco Divenuto per spiegare l’origine del piedistallo barocco. Il Divenuto infatti sostiene che il monumento sarebbe stato una prova che avrebbe permesso a Giuseppe Genuino, il progettista della Guglia del Gesù, e ai suoi collaboratori di controllare gli elementi figurativi. Successivamente sarebbe stata collocata nel conservatorio. Sappiamo inoltre che Giuseppe Astarita partecipò al concorso per la Guglia del Gesù e questo avvalora la tesi dell’attribuzione a lui della Guglia di Materdei. Tra le ipotesi riguardo l’origine della statua, si pensa che fu collocata originalmente all’interno di Palazzo Sanseverino, posta solo successivamente in testa alla struttura per fungere da modello alla realizzazione della Guglia dell’Immacolata in Piazza del Gesù. Un’altra teoria, invece, propende nell’affermare che la statua si trovasse in una qualche cappella del quartiere, trasferita poi sulla Guglia per darle maggior risalto.

La Colonna dell’Immacolata Concezione a Palermo si erge davanti alla Chiesa di San Domenico e fu progettato dall’architetto Tommaso Maria Napoli per la piazza denominata in quel tempo Piazza Imperiale. In alto sul grosso capitello si può ammirare la statua bronzea dell’Immacolata, scolpita da Giovan Battista Ragusa. I lavori iniziarono l’8 Dicembre del 1724 e si conclusero il 23 ottobre 1726. La colonna è stata accorciata in corso d’opera per consentire ai padri domenicani di vedere l’immagine della Madonna fin dall’altare maggiore della chiesa, attraverso la grande finestra centrale del prospetto principale. Coronano il basamento del monumento le quattro statue degli Arcangeli Gabriele, Michele, Rafaele e Uriele. All’altezza del plinto della colonna furono poste le statue bronzee di Carlo VI e della moglie Elisabetta Cristina di Brunswick, sostituite una prima volta, nel 1750, dalle statue di Carlo III e della moglie Maria Amalia Walburga, anch’esse rimosse per volere del Card. Ernesto Ruffini, che le sostituì con le statue ancora esistenti di Pio IX e di Pio XII. Per iniziativa Cardinale Ruffini, nel 1954 iniziò la consuetudine di infiorare la statua l’8 dicembre e un vigile del fuoco, ogni anno, depone ai piedi della SS.  Vergine un serto di fiori a nome della cittadinanza. Si ricorda, ancora, che il Senato di Palermo, nel 1624, ha giurato, a nome dei palermitani, con il cosiddetto “patto di sangue” di difendere il dogma dell’immacolato concepimento di Maria Santissima, sino all’ultima goccia del proprio sangue.

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