La giustizia vaticana lasciata in mano a magistrati italiani che agiscono senza cognizione di cosa sono lo Stato della Città di Vaticano e la Santa Sede, ignorando la procedura penale e il diritto canonico

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Apprendiamo alle ore 15.56 che in Vaticano è successo un altro colpo di scena nel Procedimento penale n. 45/2019 RGP vaticano: la quinti udienza del “processo 60SA”, “processo 9+1 diventato 5+1”, comunemente detto “processo Becciu” – avviato e mai iniziato, se inizierà – prevista per il 1° dicembre 2021, è stata rinviata d’ufficio al 14 dicembre, senza motivazioni. Prosegue l’epicedio accompagnato da danze come era da costume greco.

Pasticcio è eufemismo. Diddismo suona meglio.

Bergoglio e Pignatone.

++++ AGGIORNAMENTO ++++ A seguito della notizia che si è diffusa nel pomeriggio, Franca Giansoldati ha commentato alle ore 17.39 su Ilmessaggero.it Processo Becciu, slitta al 14 dicembre l’udienza sul ruolo del Papa come testimone [QUI] con una serie di acute osservazioni, in linea con quanto abbiamo già trattato recentemente, fornendo conferma sempre più evidente di una situazione ormai fuori controllo:
«Sorpresa. L’udienza in Vaticano del processo del secolo slitta ancora: dal primo di dicembre passa al 14 dicembre. Le motivazioni di questo nuovo rinvio si conosceranno solo nei prossimi giorni, intanto la notizia sta rimbalzando in Vaticano ed è motivo di stupore poiché Papa Francesco aveva dato un preciso compito ai suoi magistrati: fate presto. E così il maxi processo che vede imputati finanzieri, funzionari vaticani, monsignori e anche un cardinale – Angelo Becciu – coinvolti nella pasticciata operazione dell’acquisto del palazzo di Londra rischia davvero di andare alle calende greche.
Un po’ come temeva il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone che, la volta scorsa, aprendo i lavori in aula, si era lasciato sfuggire una frase sibillina: «Ci vuole ancora tempo per cominciare, se riusciremo a cominciare». Si riferiva al fatto che il processo non può partire fino a quando i pm non avranno depositato tutti gli atti. «Non si possono cominciare a esaminare le questioni di questo processo se la difesa non avrà una conoscenza completa degli atti». Il punto nodale, infatti, è costituito dalle prove in mano alla difesa che sono mancanti, carenti e persino dubbie. «Troppi omissis».
Che sullo sfondo di questo caso complicatissimo si stesse delineando una guerra di posizioni tra il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi e il Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone era sembrato chiaro già all’inizio, quando il Promotore di Giustizia non aveva rispettato i termini di consegna delle prove, rifiutandosi di depositarle per supposte ragioni di privacy. Cosa che poi ha fatto in seguito, fino al nuovo stop, stavolta determinato dall’alzata di scudi di tutti gli avvocati degli imputati. In blocco i legali hanno denunciato l’impossibilità di celebrare un giusto processo in Vaticano.
In particolare, tra i punti che dovrà chiarire il 14 dicembre il Tribunale, c’è il ruolo del Papa visto che l’avvocato Luigi Panella, difensore del finanziere Enrico Crasso, ha evidenziato come nelle prove audio-video depositate (in ritardo) dal Promotore di Giustizia mancherebbero le frasi di Papa Francesco, come si sembrerebbe dall’interrogatorio fatto in aprile da Diddi a monsignor Alberto Perlasca, ex responsabile dell’ufficio vaticano e curatore dell’acquisto del palazzo, ma la cui posizione processuale è stata archiviata probabilmente in virtù della sua collaborazione con l’accusa.
Secondo l’avvocato di Crasso il Papa resta un testimone cardine dell’accusa e come tale andrebbe sentito in aula anche se le supposte dichiarazioni di Francesco non siano state depositate e messe agli atti. «Il codice italiano del 1913 che vige in Vaticano non ammette che il Monarca possa essere sentito. I promotori dicono loro stessi di averlo fatto» aveva detto Panella.
A giudicare dallo scontro sotterraneo in atto tra accusa e difesa sarà il Presidente Pignatone, a dover spiegare come procedere da ora in avanti. Lo avrebbe fatto in aula già il primo dicembre, se non avesse deciso di far slittare tutto al 14 dicembre. In ogni caso se Pignatone dovesse dare ragione all’avvocato Luigi Panella forse il processo potrebbe pure saltare. Chissà. Mentre se decidesse di confermare la versione del Promotore di Giustizia Diddi (il quale avrebbe tirato in ballo il Papa durante l’interrogatorio di Perlasca solo per citare un passaggio di una intervista papale ai giornalisti [di questa arrampicata sugli specchi abbiamo parlato QUI. V.v.B.] è scontato che sul terreno resterebbero ombre e sospetti. Elementi che naturalmente non gioverebbero a dare una immagine credibile alla giustizia vaticana già sotto l’esame dell’Europa di Moneyval. Oltre che del mondo intero». ++++

* * *

Il giorno dopo la quarta udienza del 17 novembre scorso abbiamo scritto: «”La percezione dell’ineluttabile condanna e insieme la delusione per uno spettacolo sciagurato che non giova all’autorevolezza morale degli organi centrali della Chiesa”. In questa frase dell’amico e collega Renato Farina oggi su Libero Quotidiano, è riassunto il punto a cui siamo arrivati dopo 2 anni di indagini giudiziarie e 4 udienze in un processo che non è ancora iniziato, impantanato in schermaglie procedurali. Formalismi rispetto alla sostanza. Poi, l’amico e collega Andrea Gagliarducci ieri su ACI Stampa, ha messo a fuoco la lente (strumento a cui siamo molto devoti, come lui): “Sembra, dunque, spostarsi il centro del dibattito sul processo. Non si tratta più del problema di gestione di investimenti. Si tratta ora di capire come viene esercitata la giustizia in Vaticano. E l’ingresso del Papa nello scenario sarà centrale nel corso del processo”.
Comunque, risulta difficile negare che il Papa regnante non c’entra con il processo 60SA» [Procedimento penale n. 45/2019 RGP vaticano: il Papa tirato in ballo e tutto ridotto ad un’arrampicata sugli specchi. Uno spettacolo indecoroso con Becciu già giustiziato: Prima ParteSeconda ParteTerza ParteQuarta ParteQuinta Parte].

Proseguendo oggi la nostra rassegna sul tema, condividiamo:
– L’articolo dell’amico e collega Andrea Gagliarducci su Monday Vatican del 22 novembre 2021 Sta cambiando la percezione della stagione della giustizia con Papa Francesco? («Ora è chiaro che il processo ha dei limiti. Soprattutto, è apparso chiaro che andare avanti nel processo significa anche coinvolgere il Papa»; «Colpisce soprattutto l’ingresso in scena del Papa perché prima o poi si capirà che non poteva che essere il Papa ad autorizzare certe operazioni. Ma questo è probabilmente ciò che cambia la percezione, e quindi fa paura»; «Il mandato papale copre certamente Diddi, ma è proprio questo mandato papale che mostra segni di preoccupazione su come il Papa dirige la giustizia vaticana; «Se il Papa è intervenuto nel processo, è necessario capire come fosse pienamente a conoscenza delle operazioni»).
– L’articolo su Silere non possum del 22 novembre 2021 Vaticano: braccio di ferro fra Diddì e Pignatone («Le attività compiute dai promotori di giustizia sono contra legem»).

Facciamo precedere questi due articoli da ampi stralci dall’articolo di Sandro Magister del 23 novembre 2021 sul suo blog Settimo CieloIl processo sul malaffare vaticano ha un convitato di pietra: il cardinale Pell («È risaputo che Francesco non solo era stato tenuto al corrente di ogni passo dell’operazione londinese, di fatto approvandola, ma è intervenuto di persona almeno in uno dei momenti nevralgici della vicenda, quello della trattativa della Segreteria di Stato per rilevare le quote del palazzo di Londra ancora in possesso del broker Gianluigi Torzi, infine pagate 15 milioni di euro. Ed era proprio di questa trattativa che stava parlando Perlasca, interrogato da Diddi, nel punto della sua deposizione richiamato dall’avvocato Panella».

Scrive Sandro Magister: «Pell non entra nel merito del processo che è ora in corso in Vaticano, che riguarda principalmente il mal congegnato acquisto di un palazzo a Londra da parte della Segreteria di Stato. Si limita a notare di aver intuito fin dall’inizio che quell’operazione era sbagliata e non andava fatta, e di averlo detto, purtroppo senza trovare ascolto, anzi, venendo lui stesso rapidamente privato dei suoi poteri. È comprensibile, quindi, che nel suo diario Pell si rallegri del fatto che quel malaffare sia poi finito sotto processo, anche grazie al personale “insistere” di papa Francesco.

«Ma di questo processo, giunto il 17 novembre alla sua quarta udienza, Pell non poteva certo conoscere, quando in prigione scriveva il suo diario, lo sconnesso impianto giudiziario, né la plateale violazione dei diritti della difesa, né tanto meno i possibili sviluppi, che rischiano di coinvolgere e travolgere la stessa persona di papa Francesco. Perché proprio questo ha fatto balenare l’udienza del 17 novembre. Quando il presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha dato inizio al dibattimento, le incognite erano già altissime, come ricostruito punto per punto in questo post di Catholic News Agency pubblicato quella stessa mattina [1].

«Ma poi è accaduto che Luigi Panella, avvocato difensore di un imputato, ha estratto dalla diluviale deposizione del principale accusatore del cardinale Becciu e degli altri imputati, il prelato Alberto Perlasca, la seguente frase del promotore di giustizia Alessandro Diddi che lo stava interrogando: “Monsignore, questo che dice non c’entra niente. Noi siamo andati dal Santo Padre e gli abbiamo chiesto ciò che è accaduto, e di tutti posso dubitare fuorché del Santo Padre”. Di questa chiamata a testimone di papa Francesco, però – ha obiettato l’avvocato Panella –, “noi non abbiamo nessun verbale”, e questo impedirebbe di proseguire il processo.

«Dopo una sospensione dell’udienza, Diddi ha negato che il papa sia stato “sentito a verbale” dai promotori di giustizia, perché già bastava a loro quello che egli aveva detto nella conferenza stampa in aereo del 26 novembre 2019 “nel volo dalla Thailandia al Giappone” (in realtà da Tokyo a Roma) [2].

«Ma è risaputo che Francesco non solo era stato tenuto al corrente di ogni passo dell’operazione londinese, di fatto approvandola, ma è intervenuto di persona almeno in uno dei momenti nevralgici della vicenda, quello della trattativa della Segreteria di Stato per rilevare le quote del palazzo di Londra ancora in possesso del broker Gianluigi Torzi, infine pagate 15 milioni di euro. Ed era proprio di questa trattativa che stava parlando Perlasca, interrogato da Diddi, nel punto della sua deposizione richiamato dall’avvocato Panella».

Il passaggio contestato durante l’interrogatorio dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi all’imputato Mons. Alberto Perlasca riguardante Papa Francesco fa riferimento ad una udienza che il pontefice concesse al finanziere molisano Gianluigi Torzi il 26 dicembre 2018, nel tentativo di mediare direttamente per restituire alla Segreteria di Stato la titolarità del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue di Londra. Il Papa voleva chiudere la faccenda (Foto di Adnkronos).

Prosegue Sandro Magister: «Era la fine del 2018, e Francesco si fece anche fotografare assieme a Torzi, amabilmente ricevuto a Santa Marta nel giorno di Santo Stefano. Rispondendo in seguito all’Associated Press, il tribunale vaticano confermò che il papa era entrato nella stanza in cui si conducevano le trattative invitando tutti a trovare una soluzione. Giuseppe Milanese, uno dei presenti, dichiarò a “Report”, sulla tv di Stato italiana, che Francesco aveva anche esortato a dare a Torzi “il giusto salario”. L’intervento del papa è stato inoltre confermato da Edgar Peña Paura, successore di Becciu come sostituto segretario di Stato, in un suo memorandum d’una ventina di pagine sull’intera vicenda, con vari documenti allegati.

«Vista la piega presa dall’udienza, il presidente del tribunale vaticano Pignatone ha quindi preso atto che il processo non poteva proseguire “se prima la difesa non avrà una conoscenza completa degli atti” e ha rinviato il tutto al 1 dicembre» (Sandro Magister – Settimo Cielo, 23 novembre 2021).

[1] Vatican finance trial: What’s happened so far and where is it heading? Andrea Gagliarducci Nov 17, 2021 [QUI]. [Questo articolo in inglese è un aggiornamento per i lettori statunitensi, di quanto pubblicato in italiano su ACI Stampa il 4 ottobre 2021 Vaticano, processo sul Palazzo di Londra. Tutto quello che c’è in gioco. V.v.B.].

[2] Qui è spiegato con precisione l’arrampicata sugli specchi del Promotore di Giustizia aggiunto, il Professore Avvocato Alessandro Diddi: Procedimento penale n. 45/2019 RGP vaticano: il Papa tirato in ballo e tutto ridotto ad un’arrampicata sugli specchi. Uno spettacolo indecoroso con Becciu già giustiziato – Quinta Parte. «Nel breve tempo che gli è stato concesso da Pignatone durante la pausa dell’Udienza di ieri, Diddi non ha trovato niente di meglio per arrampicarsi sugli specchi che andare a perdersi tra le nuvole. Ha detto che non è vero quello che ha detto che è andato a parlare con il Papa (peccato che quando l’ha detto all’imputato Perlasca durante l’interrogatorio, quest’ultima l’ha preso per vero), ma riferiva alla risposta di Papa Francesco alla domanda di Cristiana Caricato (TV2000) il 26 novembre 2019 sul Volo Papale di ritorno dal Viaggio Apostolico in Thailandia e Giappone» [V.v.B.].

Il 22 novembre 2021, Andrea Gagliarducci nel suo blog settimanale Monday Vatican [QUI], ha posto la domanda: Sta cambiando la percezione della stagione della giustizia con Papa Francesco? (nella nostra traduzione italiana dall’inglese): «La quarta udienza del processo immobiliare di Londra si è conclusa con un altro rinvio e altre questioni che restano pendenti. Ma l’impressione generale è che stia cambiando il modo in cui Papa Francesco ha deciso di amministrare la giustizia. Se non altro, perché il processo stesso mette in luce una serie di vizi procedurali che hanno mostrato, finora, come l’esercizio della giustizia sia stato gestito arbitrariamente da Papa Francesco.

«Il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha lavorato per correggere ogni possibile vulnerabilità giuridica. Ha autorizzato alcune modifiche che richiedono la riorganizzazione di tutto il lavoro investigativo. In questo modo, il cosiddetto maxiprocesso vaticano è diventato un processo di dimensioni standard, dividendo le cause processuali.

«Ci sono vecchi rancori tra Pignatone e il Promotore di Giustizia Diddi, il primo il pubblico ministero e il secondo l’avvocato di uno degli imputati in un processo per corruzione a Roma chiamato “Mafia Capitale” [3].

«Questo rancore, però, non è l’elemento centrale delle questioni sollevate da Pignatone a Diddi. Molto semplicemente, il modo in cui sono state condotte le indagini ha creato problemi a causa di carenze procedurali che sarebbero considerate gravi in qualsiasi altro Paese del mondo. Il modo in cui Diddi ha gestito questa situazione, con una certa noncuranza, ha indotto il Presidente del Tribunale a formulare particolari istanze a sostegno delle richieste degli imputati.

«Pignatone ha detto che non avrebbe iniziato il processo fino a quando la documentazione completa non fosse stata nelle mani della difesa. Diddi ha affermato che altri sei procedimenti penali hanno portato a scorporare parti della documentazione per proteggere il segreto investigativo. Gli avvocati hanno chiesto l’invalidità del processo per gravi violazioni procedurali.

«È sorprendente che l’attenzione del processo sia diminuita, solo per riprendere improvvisamente in alcuni casi. Ora è chiaro che il processo ha dei limiti. Soprattutto, è apparso chiaro che andare avanti nel processo significa anche coinvolgere il Papa.

«Il brusco ingresso del Papa nel caso è avvenuto quando uno degli avvocati ha presentato al Tribunale la registrazione della testimonianza di Monsignor Perlasca, che per 12 anni era stato a capo della Sezione amministrativa della Segreteria di Stato della Santa Sede. Il Promotore di giustizia blocca Perlasca in una dichiarazione, sottolineando di aver parlato con il Papa e gli aveva chiesto come stavano le cose.

«Gli avvocati difensori sostenevano che si dovesse ottenere una testimonianza del Papa, anche solo per permettere agli accusati di difendersi. Diddi ha detto di non aver mai chiesto al Papa una deposizione e che semplicemente “succede in un interrogatorio vedere il testimone di andare a sbattere contro un muro, e ho cercato di evitarlo”.

«In tutto questo colpisce la mancanza di neutralità. Una testimonianza è una testimonianza, e al testimone deve essere permesso di parlare per raccontare la sua versione dei fatti in modo completo. Correggerlo significa anche cercare di guidare le sue affermazioni. E questo a scapito dell’imparzialità del Promotore di Giustizia.

«Colpisce soprattutto l’ingresso in scena del Papa perché prima o poi si capirà che non poteva che essere il Papa ad autorizzare certe operazioni. Ma questo è probabilmente ciò che cambia la percezione, e quindi fa paura.

«Diddi dice di aver incontrato il Papa solo una volta, ma ci sono quattro rescritti di Papa Francesco che probabilmente non sono stati redatti senza essersi confrontati con il Promotore di giustizia. Inoltre, ci sono ulteriori prove di una direzione papale nella vicenda, che dovrebbe essere esplorata.

«Ma è proprio questa direzione papale che rende forte il Promotore di giustizia. Al di là della difesa processuale di Pignatone, il Promotore di Giustizia non ha cambiato di una virgola l’approccio messo in atto e ha costantemente difeso le sue mancanze attaccando gli avvocati o lamentandosi di non essere compreso.

«Il mandato papale copre certamente Diddi, ma è proprio questo mandato papale che mostra segni di preoccupazione su come il Papa dirige la giustizia vaticana. Perché, al momento, non si sa ancora dove andrà a finire questo processo, ma sappiamo sicuramente che andrà dove deciderà il Papa. E le posizioni del Santo Padre sono insondabili.

«Non solo. Se il Papa è intervenuto nel processo, è necessario capire come fosse pienamente a conoscenza delle operazioni. Perché sia un documento dell’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, sia una nota della Corte inviata qualche tempo fa a The Associated Press hanno mostrato, se non altro, il coinvolgimento del Papa in alcune fasi cruciali delle trattative.

«Il processo ora sembra cambiare volto e rischia di trasformarsi in un formidabile boomerang per la Giustizia del Papa. C’è la preoccupazione degli osservatori internazionali, che hanno già individuato i punti deboli del processo e non hanno mancato di segnalarli. E poi, perché gli stessi imputati probabilmente non esiteranno ad appellarsi a Strasburgo, a un tribunale nuovo e diverso da quello su cui sono abituati a lavorare i giudici vaticani. E come reagiranno Alessandro Diddi e gli altri Promotori di Giustizia di fronte a un’accusa circostanziata di violazioni dei diritti umani?

«Queste sono tutte questioni da considerare man mano che il processo progredisce. Ma, prima, bisognerà capire se è il processo del secolo o se è uno dei tanti processi vaticani che pochi ricorderanno».

[3] Anche se è vero che Pignatone e Diddi erano nemici su Mafia capitale, sul caso Consip però hanno agito insieme. Ma qui il punto è un altro ed è più pesante ed incisivo. Quando si parla di rapporti tra i Giudici e tra i Giudici e i Promotori di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, c’è un nesso che finora – mi risulta – è sfuggito a tutti. Nel suo ultimo rapporto Moneyval aveva segnalato il possibile conflitto di interesse dei magistrati vaticani, perché tutti Italiani che praticano in Italia, da questi liquidato come “privo di fondamento”. Ma i solerti ispettori Moneyval non si sono accorti degli intrecci di carriera e perfino a loro è sfuggito il nesso dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Il problema sta nel fatto che la giustizia dello Stato della Città del Vaticano è un sistema autoreferenziale, che non soggiace ad alcuna verifica indipendente. È tutto un circuito accademico che ruota intorno a Tor Vergata.
I due Giudici a latere del Presidente Giuseppe Pignatone nel “Procedimento penale n. 45/2019 RGP”, Venerando Marano e Carlo Bonzano sono Professori ordinari a Tor Vergata, come lo sono il Promotore di Giustizia Gian Piero Giuseppe Milano e il Giudice Istruttore Paolo Papanti Pelletier (quello che ha archiviato la posizione di Mons. Alberto Perlasca, per capirci). Il Giudici a latere Marano addirittura è stato allievo del Promotore di Giustizia Milano.
Il terzo Giudice a latere, Lucia Bozzi è Professore all’Università di Foggio, però è Componente esterno del Nucleo di valutazione dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Anche se è solo supplente, quindi, non partecipa a decisioni, almeno finché non viene a mancare uno dei Giudici a latere e nel frattempo partecipa alla celebrazione del processo.
Il Promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi, anche se è Professore associato all’Università della Calabria, comunque è stato Assistente a Tor Vergata.
Con queste co-interessenze accademiche, che garanzie di separazione degli interessi ci possono essere?
In conclusione, nel “processo Becciu” il Presidente Pignatone è l’unico esterno al “circuito Tor Vergata”. Ma, in teoria, i due Giudici a latere potrebbero metterlo in minoranza
[V.v.B.].

Infine, condividiamo l’articolo del 22 novembre 2021 pubblicato da Silere non possum [QUI]: Vaticano: braccio di ferro fra Diddì e Pignatone: «Rifiuto di depositare atti, stralcio delle vesti in pubblica piazza e richieste di mandati di cattura senza nessuna cognizione di ciò che si sta facendo. A questo si è ridotto l’ufficio del promotore di giustizia vaticano.

«L’ufficio del promotore di giustizia sta mettendo in serio imbarazzo, non solo lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede, ma anche tutti quei governi che, tramite le nunziature, hanno fornito il loro assenso alle assurde pretese avanzate. A partire dal tribunale milanese, il quale si è trovato ad assecondare le richieste di arresto e di sequestro del cellulare dell’imputata Marogna, salvo vedersi bacchettati dalla Corte di Cassazione; passando per l’Inghilterra dove i giudici hanno fatto saltare le tesi del promotore di giustizia, fino a giungere in Europa centro meridionale dove ora la Slovenia si trova in serio imbarazzo per le assurdità ipotizzate e mai provate oltre Tevere.

«La Corte di Cassazione, difatti, in merito al mandato d’arresto richiesto dal promotore di giustizia ha bacchettato i magistrati vaticani specificando che la richiesta di arresto formulata sulla base della Convenzione ONU di Merida è una argomentazione erronea. “In primo luogo perché la Convenzione può venire in applicazione solo in assenza di trattato e tra le Parti esiste un accordo specifico in tema di estradizione (l’art. 22 del Trattato del Laterano), che ammette soltanto la estradizione verso l’Italia; inoltre, la Convenzione di Merida non contiene alcun riferimento all’estradizione del cittadino e richiede comunque all’art. 44, par. 6, che lo Stato parte, che subordini l’estradizione all’esistenza di un trattato, effettui una espressa dichiarazione a tal fine (adempimento che lo Stato italiano non ha compiuto)”.

«La Corte, dopo aver spiegato ai magistrati vaticani come funzionano le cose, ha quindi ritenuto che l’arresto era illegittimo. Oseremmo dire che errori di questo tipo da parte di professori di procedura penale sono alquanto grossolani. Della decisione del giudice inglese avevamo già parlato [La sentenza della Cassazione Italiana].

«Il rifiuto di depositare gli atti

«Il 27 luglio 2021 il presidente del Tribunale Vaticano aveva ordinato il deposito di tutti gli atti da parte dell’Ufficio del promotore di giustizia. Difatti durante l’udienza di quel giorno vennero sollevate dalle difese tutte le eccezioni in merito alle violazioni del codice di rito fatte dal promotore di giustizia. Nonostante quell’ordinanza però il 9 agosto 2021 i promotori scrivono al Tribunale sollevando l’inopportunità di questo deposito.

«Con una goffaggine assurda scrivono: “Una difesa (Gianluigi TORZI) ha rilevato che nel doc. n. 251 dell’indice non è contenuta, tra gli allegati, la dichiarazione di FELACE. Essa è allegata al n. 12 della presente produzione documentale”. Come a dire, bravi loro, eccola qui. Probabilmente, torniamo a ribadire, la procedura penale non è molto chiara perché gli atti vanno depositati PRIMA e non a istanza delle parti.

«Continuano scrivendo: “Tutto il materiale estrapolato e/o estrapolabile dai dispositivi elettronici potrà essere reperito dalle difese all’interno degli hard disk degli apparati sequestrati; in ogni caso, nel corso dell’istruzione dibattimentale gli operanti potranno provvedere alla stampa e/o alla individuazione di qualunque contenuto informatico presente nei dispositivi sequestrati”. Addirittura sostengono che vi sia impossibilità al deposito perché “quanti hanno presenziato agli atti istruttori non hanno dato consenso alla riproduzione ed alla divulgazione in qualsiasi forma dei file contenenti le registrazioni e virgola anzi, hanno accettato la registrazione sul presupposto e nella consapevolezza che la stessa fosse funzionale solo ad una più fedele verbalizzazione degli atti”.

«Quindi, in ogni caso, se i legali avessero bisogno gliele facciamo avere durante il dibattimento, che si preparino oppure no, è ininfluente. Visto e considerato che chi ha detto quello che ha detto, non vuole che gli altri lo sentano, allora mandiamo queste persone a processo senza garanzia alcuna. Eppure nell’89 alla Sapienza i diritti umani fondamentali si insegnavano eccome.

«Durante quell’udienza però, come riferisce senza nascondere lo sconcerto, lo stesso Pignatone che “il Promotore di giustizia aveva chiaramente affermato che la videoregistrazione era stata effettuata con la piena consapevolezza e il consenso di tutti partecipanti e che non c’era alcun problema che ne impedisse il deposito”.

«Grazie a tutto questo trambusto si arriva all’udienza del 6 agosto e ci si ritrova punto e a capo. Le difese contestano il rifiuto da parte del promotore di giustizia di eseguire un’ordinanza e il promotore ritorna sulle sue parlando anche di una “richiesta sorprendente” ovvero la “restituzione degli atti” all’Ufficio del Promotore di Giustizia per procedere al “corretto interrogatorio” di alcuni indagati. Sostanzialmente Diddì vuole interrogare quei soggetti che, gli è stato contestato, non ha mai sentito rendendo vana tutta l’attività compiuta. Difatti gli imputati MAROGNA e BECCIU non sono mai stati sentiti dal promotore, in nessuna veste processuale. Addirittura per la prima hanno avanzato un mandato di cattura e una richiesta di estradizione ma mai è stato richiesto un interrogatorio. Soltanto ora il promotore si sveglia e chiede al Tribunale di poter risanare i propri “peccati”.

«Così, il 6 ottobre 2021 il Presidente nuovamente riordina il deposito di tutti gli atti: “Nel merito, si deve in primo luogo osservare che il deposito degli atti richiesti dalle Difese appare indispensabile al fine di assicurare la p a r condicio delle parti nella conoscenza degli atti e quindi il rispetto del principio del contraddittorio, che – con riguardo alla materia in esame – non può che essere attuato in piena rispondenza a quanto previsto dall’art. 358, comma 1, n. 4 cp.p. (in forza del quale il difensore ha facoltà […] di esaminare in cancelleria gli atti e documenti e ivi estrarne copia»): è quest’ultima norma che preclude il ricorso a forme di ostensione diverse da quelle previste dal codice di rito”.

«Non le manda a dire Pignatone, il quale scrive: “Infine, non si comprende come la tutela della riservatezza possa essere messa a rischio dalla pubblicità, propria della sede dibattimentale, di atti (gli interrogatori) che per loro natura non sono sottoposti a segreto o di dichiarazioni (come quelle rese da Mons. Perlasca) che lo stesso Promotore ha indicato come fonti di prova e ha ripetutamente evocato per motivare la sua richiesta di citazione a giudizio degli imputati”.

«Ma la domanda è la seguente: come mai il giudice istruttore ha rinviato a giudizio senza aver visto tutto questo fascicolo?
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Ordinanza del Tribunale del 6 ottobre 2021.
https://www.silerenonpossum.it/_files/200000337-ee7d2ee7d5/Tribunale%20Vaticano.pdf

«Magistrati che non conoscono lo Stato

«Dalla registrazione agli atti si evince che il promotore di giustizia professor Alessandro Diddì, il 23 novembre 2020, mentre Mons. Alberto Perlasca è intento a sottolineare, più volte, che non ha mai visto e conosciuto Cecilia Marogna, l’avvocato romano resta perplesso quando il prelato cita il pontificio consiglio Cor Unum. Il Promotore aggiunto dice: “Cos’è sto Cor?”.

«Ora ci domandiamo, voi vi immaginereste mai di andare in una delle numerose procure della Repubblica Italiana, riferire ad un magistrato di essere a conoscenza di fatti avvenuti in un ministero e sentire il pubblico ministero rivolgersi al poliziotto e dire: “Il ministero?”. Sostanzialmente, come già abbiamo detto negli articoli precedenti, Diddì non ha la minima idea di come funzioni lo Stato della Città del Vaticano. Riteniamo davvero che questi soggetti siano idonei a effettuare atti in nome del Sommo Pontefice?

«Il Pontificio Consiglio Cor Unum nasce nel 1971 dietro impulso del Concilio Ecumenico Vaticano II, Giovanni Paolo II poi diede un compito specifico di accompagnare l’attività di Caritas Internationalis.

«Oggi Silere non possum ha anche pubblicato nella sezione Iurisprudentia Diripio [QUI] una sentenza del Tribunale Vaticano dell’A.D. 2007 in cui il grande giurista e presidente del Tribunale oltre Tevere fece una attenta analisi di quello che era il principio di legalità. Il buon Dalla Torre, il quale conosceva bene il Vaticano, chiariva anche che tale principio ha la sua natura nel diritto divino e canonico, il quale è alla base della legislazione e dell’ordinamento vaticano. Questa sentenza, un precedente dello stesso tribunale, serva a qualcuno per comprendere come le leggi non possono spuntare dalla sera alla mattina con rescritti, seppur pontifici. Rescritti i quali, si chiarisce ai lettori, neppure le difese hanno mai letto il testo. Per questo motivo le attività compiute dai promotori di giustizia sono contra legem».

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