La preghiera di intercessione. Storia di una conversione nell’ultimo istante di vita

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Mio padre si dichiarava ateo e lo era. Figlio di atei da generazioni, odiava Cristo, il Papa e la Chiesa.  Se gli capitava di parlare dei sacerdoti diceva: ”Io ai preti gli voglio così tanto bene, che di ognuno ce ne farei due”. Così li avrebbe moltiplicati: sezionandoli! Come sia uscita fuori io, così fervente, solo Dio lo sa. Appunto. I miei fratelli invece, presero la piega di lui. Mia madre no. Ella era stata educata nel collegio delle orfanelle dove aveva imparato, a leggere, a scrivere, il ricamo e la fede, fede che per non far innervosire il babbo, dovette nascondere per una vita.

A tutto rinunciò il babbo (mai un cinema, un ristorante, un viaggio permise a sé stesso) per lasciarci, col duro sudore della fronte, una casa a testa, oltre a un bel gruzzoletto per ciascuno dei 3 figli e al primogenito anche un paio di ettari di fertile terreno agricolo, tuttora coltivato.

Ma guai erano a tavola per chi si faceva il Segno della Croce, prima del pasto. Proprio non lo sopportava!

Un giorno, a pranzo, rivolgendosi a me che mi stavo segnando così inveì: “Cos’è quel segno che fai? A cosa ti serve?”.

“Babbo, è il segno della Croce, con cui ringrazio Dio per il cibo quotidiano”.
Ancora più alterato, riprese: “Ah, ringrazi Dio per il pasto, anziché me che te lo fornisco? Se intendi fare così, da domani non ti presenterai più alla mia tavola e andrai a mangiare dal tuo Dio”. (Così, di necessità virtù, facevo il Segno della Croce, prima di entrare in cucina). Concluse :”E non ti azzardare a pregare per me, che io con gli amici tuoi, non voglio averci niente a che fare, chiaaaaarooooo?!?!”.

Sono disobbediente per natura agli ordini fuori luogo, così proprio da allora cominciai a pregare per lui. Di nascosto! Egli sapeva che pregavo, ma non sapeva che il Cielo lo imploravo per la sua conversione. Sì, pregavo, ma… non succedeva nulla!

Il babbo era anaffettivo. Cresciuto a suon di bestemmie non aveva ricevuto affetto e non lo dava. Riteneva grave spregio e debolezza dare importanza ai sentimenti, ai sorrisi, agli abbracci, alle carezze, alle parole gentili. Nulla ricevette di tutto ciò e nulla, ovviamente, poté dare.

Chiunque lo riteneva un burbero. Un duro. Sempre serio, severo, freddo, rigido non aveva paura di nessuno il babbo e nella maggior parte dei casi a qualunque richiesta (specie di moglie e figli) rispondeva con un: “NO!” secco, ma non sempre erano veri quei no.

Al momento opportuno sapeva stupire con eclatanti colpi di scena, come quando dopo avermela negata per mesi, il giorno in cui presi la patente, la macchina tanto desiderata, a sorpresa, me la regalò eccome. Mi prese un colpo! Non credevo ai miei occhi, quando dalla finestra del nostro appartamento al terzo piano, mi indicò essere mia quella Fiat 500 rossa, che dal concessionario aveva fatto parcheggiare sotto casa nostra. Davvero non me l’aspettavo affatto, dopo il categorico “no” che avevo ricevuto alla mia richiesta e tutti quegli altri con cui rispose alle mie ripetute insistenze.

Ancora più eclatante fu il regalo del giorno della laurea. Quando seppe che avrei avuto intenzione di iscrivermi all’università mise subito le mani avanti dicendo: “Fai come vuoi. Da me non avrai una lira!  Se ci tieni, andrai a lavorare. Volere è potere! (Era il suo motto!) Se poi riuscirai a laurearti, il babbo ti farà un bel regalo”. Così feci io e così fece lui. Al pranzo di laurea, trovai un mazzo di chiavi vicino alle posate, quelle del bilocale che aveva acquistato per me, ma per i 5 anni del corso di studi, neanche un caffè, neanche a Natale o il giorno del compleanno. Zero! Chi se lo sarebbe mai sognato, dopo tanta astensione collaborativa una ricompensa così!

Ah, se sapeva tenere i segreti il babbo! E come teneva fede alla parola data! Alla durezza del suo cuore, non ci ho mai creduto. Inutile che faceva il serio, che ridicolizzava e rifiutava gli abbracci. No. Non ci ho mai creduto che fosse così duro il suo cuore. Mia madre ci credeva ed anche i miei fratelli. Io no. Mai ci ho creduto! Era un cuore tenero il suo, che non sapeva come esprimersi, incatenato da un’educazione e da un contesto familiare che non gli dettero scampo.

E pregavo per la sua conversione, ma… niente!

Questo cuore, per quello che era, si rivelò quando per motivi professionali mi allontanai di circa 700 km dalla casa paterna. Il babbo era ormai anziano. Qualche acciacco serio lo aveva già avuto. Con la separazione geografica, cominciò a cercarmi. Anche 3 o 4 volte al giorno mi telefonava. E pensare che in casa era difficile che rivolgesse la parola a qualcuno di noi. Muto se ne stava. La malattia cominciò a prendere sempre più possesso delle sue forze. Si sentiva solo, impotente.

Era stato un leone il babbo e questa cosa qui me l’ha attaccata. Io ero e sono, molto fiera di mio padre!

Continuavo a pregare, con audacia, insistenza e perseveranza per la sua conversione, ma… niente!

Quando morì erano trascorsi 3 anni in cui avevo pregato (sempre di nascosto) 3 Rosari al giorno per lui.

Una volta, in uno dei miei rientri nell’abitazione paterna, ero in ferie, lo trovai abbattuto, curvo sulle spalle, dimagrito. Ammansito, triste, solo. Grave! Avvicinatami, gli detti un bacio. Fu la prima volta che non si ribellò. Normalmente lo respingeva.

Sorprendentemente mi chiese: “Dimmi, figlia, cosa ti dà Gesù? Perché Lo pensi da così tanto tempo?”. Era la prima volta che nominava il nome di Dio: aveva 85 anni!

Risposi: ”Babbo! Io con Gesù non mi sento mai sola!”

Fece un sorriso interrogativo e molto stupito mi sembrò come se stesse pensando che allora Gesù Cristo poteva essere la soluzione anche per la sua di solitudine, che da malato, né sentì il morso eccome, non uscendo più di casa da tempo, con la conseguente interruzione di ogni rapporto sociale.

Finiscono le vacanze. Rientro al lavoro. Continuano le telefonate. Stavolta chiama anche mamma, verso fine novembre, e dice che è il babbo è gravissimo.

Continuano i miei Rosari ai quali si aggiunge la richiesta specifica, che il babbo restasse vivo fino alle prossime vacanze natalizie, quando lo avrei raggiunto di nuovo, dalla Lombardia, dove insegnavo. “Non portartelo via prima che lo riveda, Gesù! Lasciacelo fino a Natale, anzi fino all’Epifania”. Gesù acconsentì e così fu. Grazie. Morì il 14 gennaio.

Arrivano le vacanze di Natale e lo raggiungo. È in casa, molto grave, ancora per qualche giorno, poi fu ricoverato in ospedale. Monitorato il cuore, ossigeno fisso, flebo, aghi e tubi vari, con un filo di voce, dal suo letto, mi dice: “Figlia, non te l’ho mai detto, ma il babbo ti ha sempre voluto tanto bene. Te lo dico adesso, perché so che me ne sto andando!”. Fu la prima e l’ultima volta che mi dichiarò verbalmente il suo amore, e fu così immensa la potenza di questa frase, che in un attimo mi sentii amata da lui, da sempre e per sempre e fu come se me lo avesse sempre detto colmando ogni debito d’amore pregresso.

Avevo preparato da tempo la risposta a questa frase, che mi aspettavo, cosi gli risposi: “Babbo! Prima cosa se te ne vai tu vai in Paradiso, perché sei l’amore mio ed io lassù ho più di una conoscenza! Seconda cosa, mi saluti tutti quelli che conosciamo: zio Spartaco, zio Gino, zia Michelina, la nonna ecc. Terza cosa mi prepari un posto, perché dopo un po’ vengo su pure io”.
Fece un sorriso smagliante da orecchio a orecchio. Era felice. Fu pieno di gioia. E la verità rende felici, anche i cuori duri.

E continuavo a pregare per la sua conversione, ma…niente!

Il suo stato era così grave che dopo un po’ andò in coma. Chiamai un sacerdote per l’estrema unzione. Mia madre e miei fratelli non erano d’accordo che venisse il sacerdote, perché dicevano che questo contrastava con la sua volontà. Dovetti di nuovo agire di nascosto per non contrastare la Volontà di Dio. L’unica che conta sul serio.

Il sacerdote accettò di raggiungerlo in ospedale, ma dovetti prima informarlo che se il babbo fosse uscito dallo stato di coma, quando si fosse trovato davanti agli occhi un prete, avrebbe potuto, pur con le poche forze che gli restavano, prenderlo a botte. Il sacerdote non si lasciò intimorire dalla probabilità e venne comunque alle ore 20.00 di un sabato sera, quando il turno di custodia parentale toccava a me e tutti i miei familiari erano a casa. Agimmo come ladri di notte, io e il prete, per fornirlo del Sacramento.

In ospedale: io e mio padre, in coma. Pregavo, pregavo, pregavo, ma… niente!

Arrivò il sacerdote. Con calma preparò gli occorrenti per impartirgli l’unzione degli infermi e cominciò una serie di preghiere e atti che compì con grande concentrazione, tranquillità e fervore, proclamando, più o meno, quanto segue: “Oh, Padre Santo, guarda questo tuo figlio sofferente. Riconosci in queste sofferenze il Tuo Dilettissimo Figlio in Croce. Guarda come soffre, Padre. Assistilo e purificalo per il Sangue di Tuo Figlio!”. E mentre ungeva con l’olio santo la sua fronte, gli occhi, le orecchie, le labbra, le mani e i piedi, disegnando segni di croce su ogni parte che di quel corpo toccava, pronunciando le parole:” Perdona tutti i peccati commessi nella sua mente, i peccati commessi con gli occhi, con le labbra, perdona i peccati commessi con ciascuna di queste mani e di questi piedi” concluse il rito, che il babbo ancora dormiva nel coma e all’apparenza sembrava non fosse successo nulla. (Se non altro, il sacerdote fu salvo dall’eventualità di prendere le botte).

Terminato il sacro rito, ci allontaniamo dal suo letto, dirigendoci verso la porta della sua stanza d’ospedale e gli domando: “Don, quindi ora mio padre è purificato, come se si fosse confessato?”. Il don risponde di sì. Incalzo: “Scusi don, come è possibile che sia stato purificato se non è nelle condizioni di intendere e di volere?”. Riprende:” Quando inzuppi uno straccio sporco in acqua e sapone, poco importa che lo straccio sia consapevole. Lo straccio si lava, eccome. Così succede all’anima messa in contatto con lo Spirito Santo. E così è successo a tuo padre. Stai a vedere. Poi mi dirai”.

Non ebbi nulla da aggiungere e lo salutai, ringraziandolo di cuore, mentre faceva per andarsene.

Ritorno al suo capezzale. Il babbo è sempre in coma. Sembrava non fosse accaduto niente. Continuai a pregare per tutta la notte. All’alba vado a casa riposare, mentre mia madre si avvicendava nel turno di assistenza, la quale, da testimone, mi riferì poi quanto segue.

La mattina, che successe all’estrema unzione, era domenica. Racconta la mamma che entrato nella stanza un sacerdote per la distribuzione della Comunione, il babbo esce dal coma e riprende l’utilizzo della favella che aveva perso già da qualche giorno. Mentre il sacerdote invita gli ammalati ed i loro familiari ed assistenti a farsi il segno della Croce, mio padre, lentissimamente, perché intubato, porta la mano destra al centro della fronte. La mamma pensa che si stesse grattando la testa. Poi porta, lentissimamente per via dei fili delle flebo sulle braccia, la mano al centro del petto e la mamma pensa che si stesse grattando il torace. Poi porta la mano destra sull’omero di sinistra, allo stesso modo, ma quando con la mano piena di aghi e di fili raggiunge il proprio omero destro, la mamma capisce che si stava facendo il segno della Croce.

Non solo. Il babbo chiese espressamente di ricevere la Santa Eucarestia, ma la mamma glielo impedì, perché non sapendo che aveva ricevuto l’estrema unzione e conoscendo che mai era stato in chiesa, né si era mai confessato, volle impedire che commettesse l’ennesimo peccato mortale. Certo! Rimase stupita di quella richiesta e di quel segno di Croce fatto spontaneamente sul letto di morte, forse il primo segno di Croce della sua vita, dopo quello di rito nella circostanza della prima comunione, cresima e matrimonio. Questo mi raccontò la mamma.

E mia sorella, in un’occasione futura mi mise a conoscenza che qualche ora prima di morire il babbo le confido di essersi dato via l’anima: ”L’ho data a quello lì”, disse, indicando con la mano il Crocifisso appeso alla parete di fronte al suo letto.

Quando morì, alle ore 20.00 di un 14 gennaio, ero appena arrivata in Lombardia. Mio padre sapeva che sarei giunta a destinazione alle ore 20.00 ed egli a suo modo mi volle accompagnare per l’intero viaggio, prima di spirare. La mamma disse che nel momento del trapasso aveva un sorriso sul volto, che neanche il giorno del matrimonio e per tutta la vita gli aveva visto fare. Il prete disse che il babbo era andato in Paradiso.

Io e il babbo ci amavamo tanto. Ci amavamo con poche parole e tanti fatti. Ed è stato bellissimo per me donare la vita spirituale ad un uomo che mi aveva fornito della vita carnale.

Continuate a pregate, anche quando sembra che con la preghiera non succede niente. Perché non è vero. Specie quelle finalizzate alle conversioni, Dio non può non esaudirle, dato che Cristo stesso ha offerto la Sua Vita, la Sua Resurrezione e la Sua Passione per questo scopo ed in particolare le 3 ore di agonia sulla Croce, le volle sopportare proprio per le conversioni dell’ultimo istante di vita.

Come sei grande Signore!!! Grazie ti siano rese!

Questa testimonianza è stata pubblicata oggi su Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti.

Foto di copertina: il babbo di Veronica.

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